Il Pozzo

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Quel pomeriggio d'inizio estate faceva molto caldo, due ragazzi, Sofia ed Ezio, si erano incontrati per passare qualche ora insieme, mangiare un gelato e tenersi per mano. Ma tutto ciò era per Sofia di una noia micidiale, lei preferiva vivere delle emozioni forti, esplorando le campagne e le foreste circostanti, leggere libri d'avventura o guardare film cult. Così decise di coinvolgere Ezio in un'ardimentosa e proibitissima azione. Voleva organizzate una piccola spedizione a tema horror nella cantina del nonno, quella proibita dove nessuno poteva entrare. Quando lo disse a Ezio, egli ebbe paura. A tutti i ragazzi nella valle era state raccontate macabre leggende di crudeli segregazioni, alcune persone erano state portata all'interno dei sotterranei della villa dell'antico palazzo medioevale e non avevano più fatto ritorno. Il vecchio Sartori lo aveva acquistato un quarto di secolo prima, ma quella cantina era lì da almeno cinquecento anni. "Ho rubato la chiave per entrare nella cantina del nonno, se mi ami, questa notte verrai con me. Ci saranno anche Aurora, Giorgia e Lucillo"disse Sofia. Ezio era terrorizzato, ma a lei non sapeva dire di no. Lei lo dominava totalmente. "D'accordo, dimmi a che ora dobbiamo incontrarci", "A mezzanotte" disse lei, poi gli sorrise raggiante, lo baciò sulle labbra e se ne andò. Ezio rimase imbambolato per alcuni minuti, confuso e felice. Era la prima volta che Sofia lo baciava. Tornò a casa euforico, non vedeva l'ora che arrivasse la mezzanotte, e per qualche ora si dimenticò della cantina proibita. Sartori si affacciò al balcone del suo ufficio, da dove poteva dominare tutte le sue terre. Aveva gli occhi di ghiaccio e folti baffi argentei, fece fortuna vendendo il suo vino Gutturnio in tutto il mondo. Si accese la pipa meditando sul futuro. Aveva messo in piedi un impero partendo dal nulla, ma la vita non gli aveva fatto sconti: era rimasto vedovo a cinquant'anni e, soprattutto, il suo unico figlio era un incapace. Si chiamava Umberto, ed era così stupido che non avrebbe potuto condurre nemmeno un'edicola o fare le consegne a domicilio, figurarsi dirigere una mega-ditta come la vinicola Sartori. L'avrebbe portata al fallimento in pochi anni se mai un giorno fosse stato chiamato a guidarla. Era un vero deficiente, lo sapevano tutti, ma era anche il suo unico erede e quindi senza dubbio un buon partito con un certo fascino. E così Vittorio Sartori era riuscito a trovare al figlio una brava moglie, istruita, capace ed intelligente, Adriana Caruso. In futuro avrebbe affidato a lei le redini della sua azienda, o ancora meglio, se fosse vissuto abbastanza, direttamente alla nipote Sofia. Ella aveva già compiuto vent'anni, aveva lo stesso carattere di suo nonno e per fortuna non era stupida come suo padre. Portava lunghi capelli biondi raccolti in due grosse trecce, andava bene a scuola, era un tipo sportivo, amava correre e le piaceva comandare. Esercitava la sua influenza tanto sulle amiche quanto sul suo fidanzato. Poteva far di lui ciò che voleva, e le piaceva anche approfittarne, lasciando trapelare una latente devianza verso il sadismo. A mezzanotte i genitori di Sofia dormivano tranquillamente nel loro letto. Almeno così credevano tutti, Umberto era uscito fuori casa, ignaro del fatto che il padre lo avesse avvistato dall'alto della terrazza per recarsi in un luogo sconosciuto alla sua famiglia. Il cielo era terso ed una luna giallognola epustolosa galleggiava nel buio. I cinque giovani con scarpe da ginnastica e vestiti con abiti scuri giunsero davanti all'ingresso della cantina proibita. Ci erano arrivati attraversando il giardino silenziosi, protetti dalle tenebre. La porta per accedere alla cantina si presentava davanti a loro misteriosa ed inquietante, come una raccapricciante bocca di teschio spalancata, con grosse ante in ferro arrugginito chiuse tra le fauci scheletriche. "Avanti, seguitemi" ordinò Sofia, dopo aver aperto il lucchetto che serrava il catenaccio. Le pesanti ante in ferro si aprirono cigolando, quel tanto che bastava ai corpi esili e pieni di vita dei cinque adolescenti per sgattaiolare all'interno dell'edificio, poi ella le richiuse dietro di sé provocando un sinistro frastuono. "Accendi la torcia elettrica" ordinò ad uno dei quattro. Lucillo eseguì il comando ed un debole fascio di luce cominciò a scandagliare l'oscurità dalla quale erano rimasti avvolti. L'ambiente nel quale si erano introdotti apparve ai loro occhi come lugubre e greve. Era una specie di lungo e largo corridoio sormontato da un basso soffitto a volta in mattoni chiari. Dal centro del soffitto, nella parte centrale della cantina, pendevano come arti mozzati delle grosse pancette arrotolate, coppe piacentine e salami. Non vi erano finestre, ma soltanto delle strette feritoie che davano sul cortile del palazzo ed erano schermate dall'interno con dei vecchi paraluce di legno consumati dall'umidità. Lungo le pareti laterali erano accatastate a stagionare migliaia di pregiate bottiglie di vino Gutturnio. Verso la fine della cantina, qualche metro prima del muro di fondo, si poteva osservare una piccola quantità di pietre accatastate in modo circolare. I ragazzi si avvicinarono per curiosare e videro che era un buco così abissale da non vedersi il fondo. Giorgia chiese a Sofia "Cos'è questo?", lei gli rispose "il pozzo delle lame". "Mio nonno mi ha raccontato che fine facevano le persone che venivano portate qui sotto". "Le torturavano e poi le gettavano in questo pozzo" gli altri la guardano coi loro sguardi allibiti, "dobbiamo trovare l'interruttore della luce" suggerì Giorgia, avendo notato alcune vecchie lampadine penzolare lungo le pareti tra i cumuli di bottiglie. "Buona idea" condivise Lucillo, illuminando i muri adiacenti l'ingresso alla spasmodica ricerca di un quadro elettrico. "Eccolo!" disse esultante Sofia, appena il fascio di luce passò sopra ad un vecchio interruttore. "Accendi la luce" ordinò ad Ezio. Il ragazzo si avvicinò esitante all'interruttore e dopo qualche attimo di incertezza premette il pulsante. Una flebile luce rischiarò il tetro ambiente attorno ai ragazzi. Anche se era stata illuminata, una sorta di sinistra sensazione di malessere si poteva percepire per tutta la lunghezza di quella dannata cantina. "Quello cos'è?" indicò Aurora, puntando il dito verso un punto della stanza in mezzo a due cataste di bottiglie. Era sconvolta, ed un afflato di autentico ribrezzo le sfigurò la faccia in un'espressione di genuino terrore. "Che schifo!" urlò Giorgia. "Veramente disgustoso" aggiunse Lucillo puntando la torcia in quel punto nel tentativo di illuminarlo meglio. Vi era una gabbia arrugginita per l'allevamento dei conigli. La maggior parte degli scompartimenti erano vuoti, ma in due di essi vi erano intrappolati tre nauseanti ratti neri e grossi come gatti. Uno stava chiuso da solo, gli altri due assieme. Quello solo sembrava mansueto. Nell'altro scompartimento un ratto si muoveva nervosamente dando segni di evidente aggressività, mentre il secondo giaceva morto con la pancia sventrata, era stato mangiato dall'altro. Appena Lucillo si avvicinò per ispezionare meglio le gabbie, il sorcio aggressivo cercò di saltargli addosso, ma fu fermato dalla rete metallica alla quale si aggrappò emettendo degli orribili squittii. Egli si ritrasse istintivamente. "Mi viene da vomitare, fanno ribrezzo" disse tenendosi una mano sullo stomaco "Mio Dio, ma chi diavolo ce li ha messi dentro la gabbia?" chiese Aurora. "Soltanto mio nonno ha le chiavi di questa cantina. Ma quello fissato con i ratti è senza dubbio mio padre, ne parla in continuazione" disse Sofia, mentre osservava affascinata le ripugnanti creature. Giorgia proseguì oltre e si avvicinò con prudenza al pozzo delle lame. L'apertura della cavità era sigillata da una grata in ferro ribaltabile. Si presentava di forma circolare e di diametro piuttosto modesto. Una persona ci sarebbe passata a fatica. Lucillo provò ad illuminare l'interno del foro, ma il buco scuro e abissale sembrava non avere fondo. Nel punto più basso raggiunto dal fascio di luce della torcia, si vedevano luccicare le prime lame che come artigli spuntavano dalle pareti. Un indefinibile e disgustoso puzzo di morte fuoriusciva dalle viscere della terra in cui il canale sembrava immergersi senza fine. "E adesso cosa facciamo? Questo posto mette i brividi" osservò Aurora. "Hai ragione, dovremmo andarcene, ho paura anch'io" disse Giorgia, Lucillo lasciò cadere 50 centesimi nel centro del pozzo. Non si udì nessun rumore, la moneta fu inghiottita dall'oscurità. "Non andremo da nessuna parte sino all'alba" sentenziò Sofia. Poi appoggiò il suo zaino sul pavimento in pietra e cominciò a tirare fuori gli oggetti che aveva preparato per l'occasione: una stuoia arrotolata, 5 candele rosse di grosso diametro, un accendino, un cavatappi, bicchieri di carta, cartine per sigarette, tabacco e due grammi di marijuana. Distese la stuoia poco distante dal pozzo e vi sedette sopra invitando gli altri a raggiungerla. L'enorme topo di fogna era aggressivo è continuava ad agitarsi dentro la gabbia muovendo la lunga coda schifosa. Ezio fu il primo a sedersi, poi arrivarono anche Lucillo, Giorgia e Aurora, la più carina delle tre ragazze. Erano tutti seduti in circolo, giovani e belli, e con le candele spente a fianco ai loro piedi. "Lo sapevate che la provincia di Piacenza è la più infestata d'Italia?" disse Sofia, mentre stappava una bottiglia di Gutturnio presa dalla catasta più vicina. "Infestata da cosa? Dai topi?" chiese Aurora indicando i ratti nella gabbia. "No, sto parlano di fantasmi", "Sofia ha ragione" convenne Lucillo, "ogni castello ha il suo spettro, su queste colline, e nel piacentino di castelli ce ne sono tanti" "Ma tu cosa ne sai?" disse Giorgia ridacchiando. "Il più famoso è il Conte Pier Maria Scotti" spiegò Sofia, mentre versava da bere a tutti. "Fu pugnalato a morte nel 1514 vicino al castello di Agazzano. Il suo cadavere fugettato nel fossato senza essere sepolto e non fu mai più ritrovato. Nelle notti di luna piena, molti testimoni nel corso dei secoli, raccontano di aver visto il suo fantasma vestito di nero aggirarsi intorno al maniero brandendo una spada e terrorizzando i presenti". Tra i giovani scese il silenzio, Sofia aveva catturato la loro attenzione. "Un altro fantasma famoso è quello di Rosania Fulgosio. Si racconta che la sventurata sia stata murata viva dentro una stanza segreta del castello di Gropparello dal marito geloso, Pietrone da Calcagno. Aveva scoperto che lei se la faceva con un cortigiano e la sua vendetta fu spietata. Le testimonianze ci dicono che da più di ottocento anni, nelle notti tempestose, è possibile udire strazianti urla femminili provenire dai sotterranei del castello." "Queste storie mettono i brividi" disse Aurora buttando giù una sorsata di vino e stringendosi al petto le ginocchia. Tutti sghignazzarono. Poi uno strano e terribile rumore, come di qualcosa che gratta sul legno e che sembrava provenire dalle profondità della cavità, ridusse i ragazzi al silenzio. "Avete sentito tutti?" domandò Giorgia sbiancando. Gli altri annuirono "Veniva dal pozzo o mi sbaglio?" chiese Aurora. "Mi è sembrato proprio che venisse da lì" confermò Lucillo, I ragazzi restarono nuovamente in silenzio, ma si poteva soltanto avvertire lo zampettare ributtante del ratto nero che si agitava nella gabbia. "Coraggio, sarà stata solo una suggestione, non può esserci nulla di vivo in fondo a quel buco" cercò di rassicurali Sofia, mentre accendeva le candele intorno a loro. "Sono proprio necessarie le candele accese?" domando Giorgia, sempre più pallida, "mi mettono angoscia". "Servono a creare la giusta atmosfera per il nostro piccolo party gotico" spiegò Sofia. "Allora dove eravamo rimasti?", "Ci stavi raccontando dello spirito inquieto di Rosania" disse Lucillo. Sofia sogghignò osservando i volti cinerei delle ragazze: "Cosa succede? Avete paura?" La guardarono incredule. "Tu non ne hai?" chiese Giorgia, buttando giù la sua dose di Gutturnio. "Io non ho paura di niente". "Sta bene" disse Aurora con tono di sfida, allora vai a dare un occhio a quel cratere, visto che sei tanto coraggiosa, mettici dentro un braccio." Gli altri ammutolirono, mentre Sofia, per nulla preoccupata, si avvicinò al pozzo con lentezza teatrale, vi si inginocchiò davanti e ancora più lentamente infilò la mano e tutto il braccio destro tra le maglie della grata sino quasi a toccarla con la testa. "Così può andare bene?"chiese sorniona, sapendo di aver vinto la prova. I ragazzi applaudirono, Giorgia ed Ezio la incoraggiarono: "Brava... sì... che dura... così... brava..." All'improvviso però, il volto di Sofia si fece serio, poi scuro, poi una smorfia di sofferenzale imbruttì la faccia e lei cacciò un pauroso urlo di dolore. Cercò di tirare fuori il braccio dalla cavità, ma sembrava che qualcosa la trattenesse. "Aiuto...mi fa male... aiutatemi... vi prego!" urlava Sofia. Giorgia, ormai bianca come un cencio urlò a sua volta e cominciò a piangere, Aurora, terrorizzata, strillava tirandosi i capelli, Ezio era paralizzato dal panico. Soltanto Lucillo, poco prima intento a preparare un paio di spinelli con cartine, tabacco e marijuana, accennò una minima reazione cercando di scappare verso l'uscita della cantina. "Siete dei cacasotto" gridò Sofia, tirando fuori il braccio dal pozzo e rimettendosi in piedi. "Era solo uno scherzo, ci siete cascati tutti" disse sghignazzando. "Sei una stronza, sono quasi morta di paura" protestò Aurora "Non era divertente" piagnucolò Giorgia, ancora scossa. Lucillo fece finta di nulla, e tornò a sedere riprendendo a rollare le canne. "Raccontaci un'altra storia di spiriti e fantasmi piacentini" propose Ezio, per darsi un tono, e per dissimulare la paura e nascondere la figuraccia che aveva appena fatto. "Con piacere, ne conosco ancora molte in effetti" disse Sofia tornando a sedere. Ezio la guardò camminare a piedi nudi sulle pietre del pavimento estasiato con occhio rapito e cuore innamorato. "Allora la sapete la storia del cuoco Giuseppe?". "E chi cazzo è il cuoco Giuseppe?" domandò Lucillo, con aria adirata per la fugura da vigliacco che gli avevano fatto fare prima. "Era il cuoco del Castello di Rivalta, circa trecento anni fa. Secondo la leggenda fu ucciso per vendetta dal maggiordomo per aver avuto un rapporto con la moglie di esso. E così da allora, sino ai giorni nostri, certe notti dentro al castello si sentono terrificanti rumori di pestata, inquietanti strepitii, come di catene trascinate che terrorizzano tutti quanti provenienti dalle cucine: suoni di coltelli, pentole e carne sbattuta." Sofia non terminò di pronunciare le parole "carne", che si udì un frastuono assordante anche se questa volta fu breve, poi di nuovo la calma. I giovani si guardarono impauriti, persino sulla fronte di Sofia si era formata una scintillante pellicola di freddo sudore. "Non è che per caso c'è qualche fantasma anche in questo palazzo?" chiese Aurora, ridacchiando in modo isterico. Il volto di Sofia si adombrò, mentre tutti gli sguardi erano su di lei. "Qualcosa si racconta..." ammise infine, dopo un prolungato silenzio. "È successo durante la guerra... C'era una banda di partigiani. Pare che il capo fosse una carogna e che abbia fatto passare brutti momenti ai nazisti e ai loro alleati fascisti. Nell'inverno del 1944 il suo gruppo è stato sgominato e lui è stato catturato vivo." "E lo hanno portato qui?" chiese Giorgia pallida, stringendo la mano ad Aurora. "Esatto, lo hanno interrogato per alcuni giorni proprio in questa cantina e non stiamo parlando di interrogatori con una lampada sulla faccia e le mani legate dietro la schiena. No signori, si sono scomodati dall'alto comando per mandare dei professionisti della tortura e farlo cantare, hanno usato tecniche come "lo squassatio" con una corda o "Lo strappamento", si dice che fosse un osso duro e siano addirittura ricorsi al "carégon veneziano", detto anche "tortura del fuoco". "E il partigiano ha mai confessato?" domandò Lucillo mentre finiva di preparare il primo spinello. "Se ha parlato, oppure si è portato all'inferno i suoi segreti non te lo so proprio dire" disse Sofia versandosi altro vino nel bicchiere. "Quello che so, è che non è uscito vivo da questa cantina e alla fine lo hanno spinto giù nel buco della morte." Giorgia e Aurora erano ancora più spaventate. "Forse, adesso vuole uscire dal pozzo per vendicarsi" ipotizzò Lucillo, abbassando gli occhi sulle forme del seno di Aurora, ben evidenziate dalla sua maglietta aderente. "Adesso vi faccio vedere io qualcosa di veramente spaventoso" disse Sofia alzandosi in piedi. Ezio, seduto sulla stuoia, la guardava con occhi devoti, desideroso di compiacerla, come se lei fosse la sua dea. Lei si guardò attorno con fare annoiato, poi piantò lo sguardo in faccia a Ezio. Era in piedi davanti a lui e lo sovrastava fisicamente e psicologicamente. "Ascoltami bene" cominciò a spiegare appoggiandogli un piede sul ginocchio, "adesso voglio che tu faccia fuori quello schifoso sorcio nero che continua ad agitarsi nella gabbia." "Cosa? E come posso riuscirci?" domandò Ezio incredulo, senza togliere gli occhi dal piede di Sofia. "È facile, la vedi quella tanica da dieci litri, mezza piena di gasolio agricolo nell'angolo accanto l'ingresso?" Ezio annuì, iniziando ad eccitarsi mentre lei spostava il piede dal ginocchio sopra la coscia. "Farai una bella doccia di gasolio al ratto, e poi gli darai fuoco con l'accendino di Giorgia". "Che schifo!" protestò Aurora. "Almeno smetterà di agitarsi e squittire" convenne invece Lucillo, accendendo uno degli spinelli che aveva appena terminato di preparare. Ezio si alzò, incapace di disobbedire ad un ordine di Sofia. Dopo aver recuperato la tanica di gasolio ne aprì il tappo, e con due colpi secchi lanciò un paio di getti addosso alla pantegana. La bestia reagì con furore, tentando di attaccarlo, ma le strette maglie della gabbia erano una prigione invalicabile. Vi si aggrappò mordendo le sbarre e squittendo in modo atroce. Poi Ezio, dopo aver riposto la tanica di gasolio a distanza di sicurezza, si accostò nuovamente alla gabbia con l'accendino acceso nella mano destra. Quando fu abbastanza vicino passò la fiamma sopra una delle zampe del sorcio aggrappate alle maglie di metallo. La creatura si trasformò in una palla di fuoco, iniziò a lanciarsi con veemenza da un lato all'altro della gabbia nel disperato tentativo di fuggire, emettendo raccapriccianti squittii di rabbia e dolore. La forza della pantegana era tale che, complice anche il calore del fuoco, le maglie di ferro si piegarono in più punti ed Ezio dovette indietreggiare spaventato, temendo che riuscisse a sfondarle. Una disgustosa puzza di carne bruciata si diffuse per tutta la cantina. Giorgia si era coperta gli occhi per non assistere alla scena, mentre Lucillo continuò a fumare, le sue attenzioni erano tutte rivolte al fondo schiena di Aurora, involontariamente offerto ai suoi occhi mentre lei, piegata sulle ginocchia, vomitava in un angolo. Alla fine il grosso sorcio nero si adagiò agonizzante al centro della gabbia. Il muso era contratto e la bocca, dalla quale fuoriuscivano gli affilati incisivi, era semiaperta e contorta in una smorfia feroce. Gli occhi pieni di odio e cattiveria fissavano Ezio in modo spaventoso. Sofia guardò l'intera esecuzione affascinata dalle fiamme e dall'efferata azione. Poi, senza provare il minimo rimorso, prese una seconda bottiglia divino, la stappò e nuovamente riempì i bicchieri per tutti. Ezio tornò a sedere accanto a lei profondamente turbato. Giorgia e Aurora, particolarmente sconvolte, cercarono di riprendersi bevendo vino, mentre Lucillo era già mezzo-partito per gli effetti della marijuana. Fu allora che si sentirono nuovamente agghiaccianti rumori, come di unghie che grattano sul legno, provenire da dentro il pozzo. Tra i ragazzi calò nuovamente un glaciale silenzio. Questa volta il rumore si protrasse per alcuni interminabili secondi e lo sentirono tutti: difficile sostenere che si trattasse di una semplice suggestione. "Voglio tornare a casa" urlò Giorgia tra le lacrime. "Oh, Gesù... Che cazzo era quel rumore, lo avete sentito tutti vero? Veniva dal sottosuolo!" gridò Aurora. Lucillo ora rideva senza senso con lo sguardo perso nel vuoto e le pupille dilatate, come se il suo cervello fosse partito per un viaggio lontano da lì. Sofia prese in mano la situazione. "Ezio, prendi la torcia e seguimi, andiamo a vedere cosa succede in quel dannato pozzo" Ezio eseguì, ma tremava e se la stava facendo sotto. Prima che potessero raggiungere l'apertura della cavità i rumori erano cessati. Sofia esaminò con la torcia elettrica le profondità del canale senza vedere altro che qualche lama scintillante spuntare dalle pareti. "Non si vede un cazzo di niente qui dentro" informò il gruppo. "E i rumori? Si sentono ancora i rumori?" indagò Aurora. "No, non si sente più nulla, a parte una gran puzza di merda in decomposizione, sembra il cesso del diavolo". "Guarda, qui c'era una porta" osservò Ezio indicando il muro in fondo alla cantina. "Hai ragione e sembra che sia stata murata di recente" intuì Sofia ispezionando la malta ancora fresca tra i mattoni" Ezio si avvicinò incuriosito per osservare meglio la porta murata. Lucillo continuava a ridacchiare completamente estraniato, mentre Giorgia e Aurora tremavano terrorizzate in disparte. "Lo senti anche tu?" domandò Sofia avvicinando l'orecchio ai mattoni. Ezio si appoggiò letteralmente alla parete per poi ritrarsi subito dopo spaventato. "Santo Cielo... i rumori del pozzo... vengono da lì dietro". "Proprio così. Coraggio datti da fare e cerca di aprire un buco in questo muro" Ezio impallidì, impaurito. "Allora? Cosa stai aspettando?". "Potrebbe essere pericoloso, e poi...se ci scoprono?". "Non fare il fifone, e non farmi incazzare. Voglio che apri un passaggio in quella porta murata e tu lo farai". Lo sguardo infervorato ed il tono perentorio non ammettevano repliche. Ezio raccolse un grosso chiodo arrugginito abbandonato sul pavimento e cominciò a scavare la malta nei punti dove gli sembrava che fosse più malleabile. Dopo alcuni minuti di paziente lavoro era già riuscito ad estrarre dal muro un paio di mattoni, aprendo una piccola feritoia. Da dietro al buco soffiava un sozzo e gelido spiffero d'aria puzzolente, ripugnante come un sudicio vento proveniente dall'inferno. "Vuoi veramente che continui?", "Certamente! Non osare fermarti" Ezio continuò, tolti i primi mattoni il lavoro procedeva più spedito e certosino, e dopo circa un quarto d'ora il buco nel muro era già sufficientemente grande per poterci entrare. "Passami la pila" disse Sofia infilandosi nel varco. Ezio le passò la torcia elettrica restando poi imbambolato a guardare il suo flessuoso corpo scomparire dentro l'apertura. "C'è una scala di pietra" disse ella da dietro la porta murata. "Venite" affermò con invito curioso. I suoi amici avevano paura, e poi il puzzo mortifero che proveniva da dietro quell'arcata era nauseante. Ma nessuno di loro poteva resistere al fascino e alle richieste della ragazza, e così, facendosi coraggio e aiutati da una irresistibile curiosità, Ezio e Aurora la raggiunsero per scendere assieme a lei fino alle angoscianti profondità dove quella scalinata di pietra li avrebbe condotti. Giorgia invece, paralizzata dal terrore, rimase tremebonda a fianco di Lucillo che, rovinato dalla droga, si era addormentato appoggiato ad una catasta di bottiglie di Gutturnio in stagionatura. La scalinata di pietra era ripida e stretta e si attorcigliava su sé stessa come una lunga chiocciola senza fine. Dopo diversi minuti e moltissimi gradini, avvolti dalle tenebre e dal fetore sempre più intenso, i tre adolescenti arrivarono al livello inferiore, dentro una stanza circolare scavata nel tufo. Nel centro del soffitto a cupola si apriva un canale attraverso il quale filtrava una flebilissima luce. Dal pavimento in terra battuta al centro della stanza spuntavano lance e lame acuminate. Sofia con la torcia elettrica ispezionò quell'antro diabolico. In un orribile carnevale della follia, la luce artificiale illuminò un susseguirsi di spaventose, macabre, disgustose edicole collocate lungo tutta la circonferenza della stanza. In corrispondenza di ogni edicola, si vedevano sul pavimento e sulla parete decine di croci di legno e piccole lapidi di pietra. "Mio Dio!" esclamò Aurora sconvolta, "i cadaveri dei condannati al supplizio del pozzo sono stati sepolti direttamente qui sotto." "Ed ecco spiegati i misteriosi rumori" aggiunse Sofia, mentre il fascio di luce della torcia elettrica inquadrava un gigantesco sorcio intento a rosicchiare una croce di legno sgangherata. Poi la luce della torcia cominciò ad indebolirsi. "Faremmo meglio ad andarcene da qui sotto prima che la pila si spenga" osservò Ezio con voce tremante. Si udì un nuovo angosciante stridio, un clangore cigolante di metallo arrugginito. Aurora e Ezio si strinsero impauriti al corpo di Sofia. Lei diresse la torcia verso l'apertura al centro del soffitto da dove provenivano i suoni di ferraglia e tutti trattennero il respiro. Dai bordi del canale, piccole lacrime di sangue gocciolavano pigramente precipitando silenziose sul pavimento. "No!!! Haaa... noo... pietà... nooo... Aiutooo!!!" Erano le urla disperate di Giorgia. Subito dopo, un ultimo straziante grido disumano si accompagnò ad orribili suoni di carne sbattuta, tessuti strappati e muscoli lacerati. Poi un corpo tragicamente martoriato fu sputato fuori come carne masticata dal buco al centro del soffitto, e si andò a sfracellare sopra le lame che spuntavano dal pavimento sottostante. La faccia orribilmente sfigurata di Giorgia fissava ora nel vuoto con un solo occhio vitreo, mentre una lancia insanguinata spuntava dall'altra cavità oculare dopo avergli trapassato il cranio. I ragazzi urlando per lo spavento si ritrassero istintivamente verso la parete circolare della stanza. A quella profondità nessuno poteva sentirli all'esterno. Ezio inciampò sul femore di uno scheletro legato ad una catena di ferro e cadde urlando. Sofia illuminò quel punto che non avevano ancora perlustrato portando alla luce le numerose ossa torturate di altri sventurati condannati a morire là sotto. Aurora divenne pallida come un cadavere e svenne cadendo in avanti. Il corpo privo di sensi rimbombò sul pavimento. "Lucillo ci sei ancora?" urlò Sofia in direzione del buco nel soffitto. Ezio intanto si era rialzato stringendosi a lei come una cozza agli scogli. Nessuno rispose. "E adesso cosa facciamo?". "Torniamo di sopra, tu caricati Aurora sulla schiena". Ezio eseguì all'istante, non vedeva l'ora di andarsene da quell'inferno. "Come cazzo avrà fatto Giorgia a cadere nel pozzo..." disse Sofia, mentre risalivano la ripida scalinata. "Temo che qualcuno l'abbia spinta dentro, forse Lucillo è impazzito, o forse lo ha fatto per via della droga" suggerì Ezio ansimando. Aurora era bella, anche da svenuta, ma pesava più di quaranta chili e lui era già scoppiato a metà della salita. La torcia elettrica ormai quasi del tutto esaurita emetteva solo una fioca luce, praticamente inutile. Sofia decise di spegnerla per conservare quel poco che restava in caso di emergenza. Lei e Ezio, che per di più aveva Aurora in groppa, dovettero procedere al buio, lentamente. "Ti prego fermiamoci un poco, non ce la faccio più, sono stanco". "Sei senza fisico" commentò Sofia con disprezzo. All'improvviso un vento gelido e puzzolente salì lungo la scalinata e investì i loro corpi. "Cosa cazzo sta succedendo?" gridò Ezio mentre gli si scompigliavano i capelli. "Non lo so" gli urlò lei di rimando, cercando di aggrapparsi alle pareti per non cadere. Aurora riprese i sensi, confusa impiegò qualche secondo per capire che si trovava sulla schiena di Ezio, poi si sentì sollevare dal vento putrescente ed una forza invisibile iniziò a trascinarla verso il basso. Aurora gridò il suo sgomento con tutto il fiato che aveva in gola. Ezio allungò un braccio e riuscì ad afferrarla per la maglietta, ma il risucchio era troppo potente, l'abito si strappò e la ragazza fu ingoiata dalle tenebre sotto di loro. Lei si sentì avvolgere il petto nudo da qualcosa di freddo, pulsante e viscido mentre il suo corpo precipitava sempre più in basso. Vide la cosa fluorescente che l'aveva presa. Sbarrò gli occhi. "Via! Vattene Via! Aiutatemi, Aiutooo!" Si udirono altre orribili urla di terrore provenire dal fondo della scalinata poi finalmente il vento si placò e tornò il silenzio. "Usciamo da qui, e alla svelta" balbettò Sofia, ma le gambe erano pesanti e riusciva a muoverle con fatica. Ezio allungò le mani tremanti nel tentativo di aggrapparsi a lei. Continuarono a salire tenendosi per mano, con il cuore in gola ed il fiato corto, allungando il passo man mano che la luce proveniente dalla cantina sopra di loro si faceva più forte. Quando finalmente arrivarono in cima e riuscirono a superare la porta murata erano esausti. Ezio era fradicio di sudore e verde dalla paura, Sofia sconvolta, anche se cercava di nasconderlo. Davanti ai loro piedi nudi e sporchi la grata di ferro ribaltabile era stata aperta, e oltre il pozzo un giovane avanzava verso di loro barcollando come uno zombie. Sulla faccia grottesca era stampato una specie di sorriso stupido, mentre gli occhi cerchiati di nero roteavano follemente nelle orbite. Dalla testa gli spuntava il grosso chiodo di ferro arrugginito che Ezio aveva usato per scavare il passaggio nella porta murata. Il corpo crollò sulle ginocchia poco prima di raggiungere l'apertura della cavità e poi cadde di lato emettendo un ultimo gemito gutturale. "Cazzo! Hanno ammazzato anche Lucillo!" gridò Sofia isterica. Ezio spalancò la bocca. Un rivolo di sangue e cervella uscì dalla testa perforata di Lucillo rovesciata sul pavimento di pietra. Si sentirono nuovi rumori provenire contemporaneamente da dentro quel buco e da dietro la porta. Sembrava il suono di un vecchio giradischi, ed il motivetto orecchiabile era inconfondibile, persino Sofia, Ezio e tutta la loro generazione lo avevano già sentito almeno una volta in vecchi film di guerra o in qualche documentario storico di quelli che davano in televisione.

Fischia il vento e infuria la bufera

scarpe rotte e pur bisogna andar

Poi qualcosa di spaventoso e maleodorante cominciò a fuoriuscire dal pozzo fluttuando lentamente.

a conquistare la rossa primavera

dove sorge il sol dell'avvenir

Era una gelatinosa presenza fluorescente vagamente simile ad una figura umanoide e puzzava di cadavere in avanzato stato di decomposizione.

Ogni contrada è patria del ribelle,

ogni donna a lui dona un sospir,

Il corpo indefinito era coperto da una lacera divisa militare sporca di fango e sangue.

nella notte lo guidano le stelle,

forte il cuor e il braccio nel colpir

Le scheletriche mani ossute con le dita nere e livide si protendevano già verso i ragazzi. "Gesù, Giuseppe e Maria", mormorò Ezio divenuto bianco come la panna.

Se ci coglie la crudele morte,

dura vendetta verrà dal partigian;

La sua faccia orribile era coperta dalle mosche, deturpata dall'odio e dalla sanguinaria sete di vendetta, e attraverso la bocca distorta in un ghigno mostruoso e disumano, si intravedevano putridi denti marci ed un moncherino di lingua bluastra.

ormai sicura è già la dura sorte

del fascista vile e traditor.

"Non ucciderci", implorò Sofia singhiozzando, "Non farlo... per favore, ti prego..." Gli occhi dello spettro erano torbidi e diabolici e iniettati di sangue e brillavano di una sinistra luce assassina. Sul capo portava un bucherellato berretto da ufficiale con l'emblema comunista della falce e del martello. La mano sinistra del fantasma, viscosa e palpitante, si strinse attorno alla gola di Ezio in una morsa fatale, poi il braccio destro penetrò nel petto per strappargli il cuore. Un copioso rigagnolo di sangue uscì dalla bocca del ragazzo tingendogli il mento di rosso. Sofia gridò, chiese aiuto, implorò pietà, ma la sua anima fu avvolta dal nero sudario dell'oscurità. Fuggì il più velocemente possibile da quel luogo, lascianodo il povero Ezio indietro tra le mani di quella cosa. Poi non sentì più niente di niente e si dimenticò anche dell'esperienza vissuta nella cantina proibita. Una settimana dopo Umberto, il figlio idiota di Vittorio Sartori, fu processato per il triplice omicidio di Giorgia, Lucillo ed Ezio. Il corpo di Aurora non fu mai ritrovato, risulta tutt'ora scomparsa agli occhi della comunità e i suoi genitori la stanno ancora cercando. Il giorno in cui fu pronunciata la sentenza di primo grado, Sofia, l'unica sopravvissuta, era presente nell'aula del tribunale. Condanna all'ergastolo, fu il verdetto. Suo padre fu trascinato via in manette con la faccia inebetita. Lei osservò la scena a pugni stretti. Poi aprì lentamente la mano sinistra che nascondeva uno stemma insanguinato con la falce e il martello. Alzò lo sguardo verso i giudici ed una perversa luce omicida brillò nei suoi folli occhi color del ghiaccio. Poi si volto è con lo stesso sguardo guardò suo nonno, che mostrava noncurante un sorrisetto sulle sue labbra.

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