Capitolo 13.

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<<Dai Anna, dobbiamo andare!>> affermo prendendola per mano, asciugandomi ancora le lacrime.
Che vergogna, ho davvero pianto davanti a Giovanni. È vero, il motivo non era futile, però...

Mia sorella torna a sedere a terra, sbadigliando.

<<Ma io sono stanca!>> ribatte, strofinandosi gli occhi.

Roteo gli occhi verso l'alto, esasperata. La conseguenza a tutte le attenzioni che le danno i miei genitori è proprio questa: ha sette anni e si comporta ancora come una bambina di quattro.

Pronta a sgridarla per il suo comportamento infantile, mi volto verso di lei e le lancio un'occhiataccia.

Prima che io possa dire qualsiasi cosa, il ragazzo accanto a me si abbassa davanti alla bambina, sedendosi sui polpacci.

<<Vuoi che ti prenda in braccio?>> chiede Giovanni, sorridendole dolcemente.

Subito mi oppongo, scrollando il capo.
Ci manca solo che ora inizi a viziarla anche lui.

<<No Giova! Stai già morendo di freddo, non voglio che...>>

<<Hey, tranquilla!>> mi blocca prima che io possa finire, guardandomi e sorridendo.

<<No, dai!>> mi lamento.

Ignorandomi, torna a guardare Anna e protende le braccia verso lei che, senza farselo ripetere due volte, si aggancia al suo collo. Giovanni torna in piedi, sostenendola.

Lo osservo con disappunto, incrociando le braccia sotto il petto.
Non c'è cosa che odio di più di chi non mi ascolta.

<<Sei... un testardo.>> commento trattenendomi dall'usare insulti più pesanti, ossevandolo avviarsi verso l'uscita del parco.

<<Sono fatto così, mi dispiace.>> mi risponde scherzosamente, senza fermarsi.

Sospirando esasperata, lo raggiungo velocemente.
Perché non riesco ad arrabbiarmi con lui? Se un'altra persona mi avesse risposto così mi sarei incazzata come non mai.

<<Siamo in tre...come facciamo?>> chiedo appena arriviamo al motorino, prendendo i due caschi dal sellino.

Giovanni ci pensa un po' su poi, notando che mia sorella si sia addormentata, sorride e le accarezza i capelli.

<<Riporta Anna a casa, io vivo qui vicino.>> dice sorridendo teneramente.

<<Sicuro?>>

<<Al 100%!>> afferma, convincendomi.

Dopo che sono salita sullo scooter, lui posa mia sorella dietro di me e le allaccia il casco sulla testa.
La fa poggiare alla mia schiena, sussurrandole poi all'orecchio di stringermi più forte che può.

<<Ciao Giova, e grazie ancora per tutto. Sei un tesoro.>> lo saluto, pentendomi subito dopo dell'ultima frase. Quanto sono stupida.

Lui ridacchia, scrollando lentamente il capo.

<<Ci vediamo domani Maia.>> risponde.

Metto in moto, partendo e osservandolo dallo specchietto del motorino. Anche lui resta immobile a guardarmi, inserendo le mani nelle tasche dei pantaloni.

Non appena non è più visibile, torno concentrata sulla strada. Porto un braccio sulla schiena di mia sorella, tenendola ancora più stretta a me e guidando con una mano sola.
Le luci dei lampioni illuminano la strada, mentre il cielo si colora di un blu profondo e scurissimmo.
E i fanali dello scooter non risplenderanno mai come il sorriso che lentamente si è formato sul mio volto, dopo aver ripensato alla giornata di oggi.
Ho provato così tante emozioni diverse in poche ore, che mi sembra di essere un'altra persona, diversa dalla ragazza apatica e insensibile che ero prima. È una sensazione così bella, che mi sembra di star guidando un aereo invece di uno scooter. Mi sembra di star volando.

Possibile che solo un ragazzo abbia potuto sconvolgere così tanto la mia giornata?

...

Riporto subito Anna dai miei genitori. Dopo vari abbracci, smancerie e ringraziamenti, salgo le scale e entro in camera mia.

Per la prima volta nella mia vita mi sento terribilmente in colpa, un'altra emozione in più da aggiungere alla lunga lista delle nuove sensazioni provate oggi.

Giovanni è così gentile con me e io non faccio altro che usarlo, facendomi prima aiutare nello studio e poi nella vita. Come posso ricambiare ciò che ha fatto per me?

Mentre rifletto, decido di chiamarlo, tanto ormai dovrebbe essere a casa.
Il telefono squilla per qualche secondo prima che il ragazzo risponda.

<<Pronto?>> dice.

<<Giovanni, sono Maia. Tutto ok? Sei arrivato a casa?>> chiedo, afferrando il cellulare con entrambe le mani e gettandomi sul letto a pancia in su.

<<Ancora no....>> risponde lui tentennate.

<<Come!?>> esclamo, balzando a sedere.

<<Si...non abito proprio in centro...>> risponde sussurrando, quasi come se abbia realmente paura della mia reazione.

<<Ma tu mi avevi detto che...>> inizio confusa.

<<No problem, tra una mezz'oretta sono a casa.>> mi interrompe, provando a tranquillizzarmi, invano.

<<Senti, vaffanculo! Vuoi farmi sentire in colpa a tutti i costi!?>> esclamo nervosamente.

<<L'ho fatto solo per non darti problemi, dovevi riportare a casa Anna.>> si giustifica <<Ora devo andare... qui non prende bene il telefono.>> aggiunge prima che io possa rispondere.

<<Va bene...a domani.>> lo saluto, sospirando.

<<Ciao, buonanotte!>>

Riaggancio, sdraiandomi di nuovo sul materasso.
Che stronzo, poteva dirmelo che non viveva "li vicino". Prima o poi questo ragazzo mi farà impazzire.

Stanca dalla giornata e dallo studio, mi addormento in pochi minuti.

...


Un altra stanza luminosa, di nuovo. Questa volta però la camera è molto più grande ed è arredata con mobili interamente bianchi, non c'è più solo un letto.
Facendo qualche passo in avanti, capisco di essere in una stanza di ospedale. Il suono di un elettrocardiogramma riecheggia tra le mura, rompendo il silenzio.
Mentre cammino, noto che tutti i materassi sono vuoti e in perfetto ordine, tranne l'ultimo. Appena arrivo davanti a quel letto, vedo un ragazzo sdraiato su un fianco che guarda la finestra accanto a lui. Allungo una mano verso di lui per farlo voltare e capire chi sia ma, quando tocco la sua spalla, tutto scompare.


...


Mi sveglio sudata e con il fiatone. Non ne posso più di questi sogni, ormai sono diventati incubi ricorrenti.

Voltandomi verso l'orologio appeso sul muro della mia camera, noto che è già mattina. Sono circa le cinque, ma ormai il sonno non tornerà sicuramente.

Per dimenticare l'incubo terribile, decido di affrontarne uno ancora più grande... ripassare matematica.
Fortunatamente ricordo ancora tutto quello che Giovanni mi ha spiegato ieri, contro ogni mia aspettativa.

Alle sette in punto mi alzo dal letto, mi lavo, mi preparo lo zaino e mi vesto.
Leggings neri, felpa nera e converse rosse.
Appena sono pronta scendo in cucina e mi prendo una brioche alla marmellata dalla credenza.

<<Mamma io vado, a dopo!>> grido.

Non ottengo nessuna risposta.
Che stia ancora dormendo?

Prima di uscire di casa, entro lentamente nella stanza di mia sorella. Ieri mi ha fatta davvero preoccupare a morte, ma se non fosse stato per lei probabilmente non avrei passato l'intero pomeriggio con Giovanni.

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