Capitolo 41.

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No, non mi butto. Non posso arrendermi così, è da vigliacchi.
C'è gente che lotta contro malattie molto peggiori della mia e sorride comunque ogni giorno.
Io devo ritenermi fortunato.

Mi allontano dal cornicione, rincamminandomi lentamente verso le scale. Meglio tornare in stanza prima che qualcuno si accorga della mia assenza. Passerei guai seri.

Scendo le prime rampe, giungendo a quelle tra il quarto e il terzo piano.
Mi siedo a terra, poggiandomi contro la ringhiera e cercando di riprendere fiato. Ormai sono arrivato, devo resistere ancora un po'.

Torno in piedi, sorreggendomi con lo scorrimano. Scendo qualche gradino finché, improvvisamente, sento le gambe non sorreggermi più.
Inizia a girarmi la testa, mentre tutto ciò che ho intorno comincia a sbiadire.

Non avrei dovuto staccare tutto e uscire fuori, ho fatto un enorme cazzata.

La testa comincia a farmi malissimo e, dopo molti giorni di assenza, ricompare anche la nausea.

Mi appoggio pesantemente contro la ringhiera metallica, sentendomi sempre più male.
Ho bisogno di aiuto, non sto per niente bene.

Cerco di scendere le scale. Se restassi qui nessuno mi troverebbe.
Dopo due o tre gradini la vista si offusca di nuovo e le gambe cedono del tutto. Cado rovinosamente dalle scale, finendo contro un muro e accasciamdomi a terra.
Sento il sangue scorrere lungo il mio viso, scendendo dalla mia nuca.
Insieme ad esso il corpo dolorante, lo stomaco in fiamme...
"Sono solo...nessuno mi ha sentito..." penso tirandomi su e poggiando la schiena contro il muro.
Respirando affannosamente e strizzando gli occhi cerco di sopportare il dolore. Mi sento a pezzi.
In quel momento sento dei passi salire le scale.

<<C'è qualcuno? Ho sentito un tonfo...>> sussurra una voce maschile.
Immediatamente riesco a riconoscerla. È Giorgio.

Batto una mano contro il muro alle mie spalle. Provo ad emettere un qualsiasi rumore, per spingerlo ad arrivare fino a me.

Come speravo, inizia a salire lentamente. Appena giunge davanti alla mia rampa di scale, corre velocemente nella mia direzione.

<<Giovanni? Che ci fai qui?>> chiede sorpreso, corrugando la fronte. Probabilmente con la scarsa luminosità neanche mi aveva riconosciuto.

Prende un mio braccio e lo posiziona dietro le sue spalle, tirandomi su e sorreggendomi.

<<Giorgio...chiama qualcuno...mi sento male...>> sussurro io, toccandomi la fronte e poggiandomi di nuovo alla parete.

Il sedicenne strabuzza gli occhi, scrollando il capo.

<<C-come ti senti male!? No no Giovà... forza, torniamo giù...>> risponde balbettando e cercando di aiutarmi.

Ovviamente lui è mingherlino quanto me e, per quanto io possa essere leggero, con il mio peso su di se riesce a muovere solo qualche passo.

<<Giò, chiama qualcuno!>> esclamo innervosendomi, cercando di fargli intuire quanto critica sia la situazione.

Spingo entrambe le mani contro la mia pancia, inginocchiandomi poi a terra. Il dolore è insopportabile.

Lui sospira, passandosi una mano sul volto.

<<Ok...torno subito...resisti...>> afferma poi con molta più sicurezza, scendendo le scale il più velocemente possibile.

Subito lo sento chiedere aiuto a gran voce, attirando l'attenzione di qualche medico in giro per il reparto.
Sento delle voci...forse qualcuno sta gridando di raggiungermi, ma il tutto arriva alle mie orecchie solo come un suono indefinito e ovattato.

Nel frattempo io mi piego in avanti, giungendo con il viso a pochi millimetri dal pavimento.
Con l'immenso dolore che provo mi è difficile anche respirare

Poco dopo, Giorgio torna con alcuni dottori. Due di loro mi afferrano dalle braccia, sollevandomi dal suolo.

<<Perchè lui è qui!? Non doveva assolutamente uscire dalla sua stanza!>> esclama uno dei medici, prendendosela con quello che probabilmente era di "guardia" al reparto.

Subito dopo si rivolge a Giorgio, rimproverando anche lui.
<<Stessa cosa tu! Torna subito nella tua camera!>>

Per prima cosa vengo riportato al mio piano e depositato su una barella.
Mi vengono fatte varie radiografie, constatando che fortunatamente non abbia nessun osso rotto. Mi sono procurato solo qualche livido e una leggera distorsione ad una caviglia, pur avendo fatto una brutta caduta.
La ferita sulla nuca è irrilevante. Nulla che non possa essere medicato con qualche punto.
Almeno qualcosa deve pur andare per il verso giusto nella mia vita.

Vengo riportato nella mia stanza, per poi essere depositato di nuovo sul mio materasso. Tutto ciò di cui mi ero liberato in precedenza viene riattaccato alle mie braccia e ai miei polsi, "legandomi" nuovamente al mio letto.

Mi fanno assumere diversi antidolorifici, finché la mia situazione non torna stabile.

Prima che resti di nuovo solo, i dottori mi chiedono se domani verra qualche mio parente. Purtroppo non posso sapere quando tornerà mia madre, ma l'unica cosa che so per certo e che verranno Maia e Andrea nel pomeriggio...
I miei interlocutori rispondono che "va bene comunque" e escono dalla camera, dicendomi di chiamare nel caso mi sentissi di nuovo male.
Il resto della notte trascorre stranamente tranquilla, e anche la mattinata.

Andrea's pov

Alle due di pomeriggio siamo già sul treno. Maia è euforica e non vede l'ora di arrivare a Milano. Durante il viaggio decidiamo di approfittarne per studiare qualcosa, sempre con un sottofondo musicale sparato nelle orecchie. Precisamente, ascoltiamo la musica del mio iPod, condividendo le cuffiette.
Per molte volte, Maia mi costringe a riprodurre la canzone "Catch & Release", ritenendola tranquilla e perfetta per non confondersi le idee durante lo studio.
Dopo un'ora lascio che si addormenti poggiando la testa sulla mia spalla, essendoci entrambi già stancati di fare i compiti.
Mentre è assopita, la osservo sorridendo.

Io voglio bene a Giovanni, un mondo di bene...ma amo Maia...non posso farci nulla...
Silvia non è la ragazza adatta a me. Solo ora mi sto rendendo conto che la ragazza dei miei sogni sia sempre stata qui, a pochissima distanza da me.

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