Capitolo 56.

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Ci dividiamo in un due macchine e ci avviamo verso il ristorante in cui avevano prenotato. È distante qualche chilometro dall'ospedale, non è vicinissimo, ma è l'unico nei dintorni.
Appena entriamo nel locale un cameriere ci accoglie gentilmente e ci accompagna fino al nostro tavolo. Mi siedo tra Andrea e Pietro, con difronte Maia. Parliamo del più e del meno, ognuno racconta particolari su di lui e sulla sua vita.

Da quello che ho capito Luca ha conosciuto Andrea a Roma, e Maurizio è il suo migliore amico. Invece, anche se Pietro e Giorgio già li conosco, ho scoperto che frequentano lo stesso liceo e sono diventati molto amici da circa tre anni.
Conosco anche Matteo e Federico, ma non sapevo che quest'ultimo avesse origini romane.

Le loro vite sono molto interessanti, tutti sono fidanzati e pensano al loro futuro. Ascoltarli mentre chiacchierano mi mette di buon umore, anche se sono consapevole che io non potrò mai programmare la mia vita come loro.
Non potrò andare all'università, non potrò intraprendere una carriera, non potrò sposare Maia, non potrò diventare padre. Non potrò avere un futuro, eppure sono felice.

Per tutta la durata della cena ci divertiamo, non pensiamo ad altro. Siamo spensierati, come bambini.

<<Tutto ok?>> domanda Andrea nel bel mezzo della sera, sussurrando e sporgendosi verso di me.

Annuisco.

<<Non potrebbe andare meglio.>> rispondo sorridendo sinceramente.

Mentre mangio la mia pizza osservo Maia sorridere e divertirsi alle battute degli altri. Com'è bella.
Incrociando il mio sguardo mi guarda perplessa e io, sorridendo, le faccio cenno di uscire. Entrambi ci alziamo dal tavolo con una scusa e usciamo dal locale. Appena chiudo la porta del ristorante alle nostre spalle, lei si volta verso di me e mi stringe le mani. La tiro verso di me facendola poggiare sul mio petto, con i nostri visi a pochi centimetri l'uno dall'altro. Elimino quella minima distanza, baciandola.
Il nostro bacio si fa sempre più passionale. Ridendo la prendo in braccio e lascio che intrecci le gambe attorno alla mia vita e le braccia attorno al mio collo.
Purtroppo non sono abbastanza forte da poterla sostenere a lungo, quindi sono costretto a poggiarla ad un muretto alle nostre spalle. Fortunatamente è abbastanza alto da far si che i nostri visi siano comunque alla stessa altezza.
Delicatamente allontana le mani dal mio collo e si stacca da quel interminabile bacio per riprendere fiato. Le sorrido e le do un ultimo bacio a stampo prima di sedermi accanto a lei.
<<Ti amo Giovanni, non dimenticarlo mai.>> sussurra sdraiandosi sul muretto e poggiando la testa sulle mie gambe.
<<Anch'io cucciola, per sempre.>> rispondo guardandola negli occhi e sorridendo, accarezzandole una guancia.
Inizialmente sorride anche lei, godendosi quella carezza, ma dopo pochi secondi si rattrista e i suoi occhi diventano improvvisamente lucidi. Torna a sedere accanto a me e osserva il cielo stellato con sgaurdo pensieroso.
<<Cos'hai?>> domando preoccupato, corrugando la fronte.
<<Nulla...vorrei solo poterti credere.>> risponde sospirando.
<<C-cosa? Non capisco...>> chiedo perplesso.
<<Vorrei davvero che questo durasse per sempre...>>. Già, la malattia. Deve rovinare sempre tutto.
<<Anch'io lo vorrei, ma sai bene che non possiamo farci nulla. Possiamo solo goderci questi momenti di felicità, cercando di dimenticare per un po'.>> dico voltando il suo viso verso di me. Lei scrolla il capo sconsolata, abbassando lo sguardo.
<<Io non riesco a dimenticare, è un difetto che ho sempre avuto.>> spiega.
<<Non è un difetto. sono felice di sapere che non mi dimenticherai mai.>>. Sorridendo la bacio e scendo dal muretto.
<<Torniamo dentro, o gli altri inizieranno a preoccuparsi.>> aggiungo porgendole la mano. L'afferra sorridendo e salta anche lei giù dal muretto. Mentre camminiamo incrocia le sue dita con le mie, stringendo la presa. Prima di entrare nel ristorante la bacio per un ultima volta.

Per il resto della sera parlo tranquillamente, sopratutto con Pietro. È simpaticissimo, fa morire dal ridere. Mentre aspettiamo che il cameriere porti il dolce, Giampy (soprannome inventato da Giorgio) mi domanda se posso accompagnarlo al bagno. Sorridendo mi racconta che da piccolo restava sempre chiuso nei bagni dei locali, quindi ha paura di rimanere bloccato. Ridendo mi alzo dal tavolo con lui e, insieme, cerchiamo il bagno. Mentre cammino per la grande sala avverto un leggero mal di testa che, però, scompare quasi immediatamente. Non ci faccio caso e proseguo. Dopo aver trovato la stanza, Pietro entra dentro e chiude la porta. In quel momento torna il forte dolore precedente e con lui anche la nausea. Inizio a preoccuparmi, ma poi ricordo le parole del dottore.

Mi aveva avvertito che sarebbe potuta tornare un po' di febbre, dovuta dallo sforzo di camminare a lungo o alla confusione.
Notando il lavandino mi avvicino ad esso e mi sciacquo il viso.

Le cose non migliorano.

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