Capitolo 26.

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Il tempo va avanti. La scuola continua, le giornate continuano...la vita continua.
Qualunque cosa possa accaderti il mondo va avanti, sempre...per tutti.
Sono passati parecchi giorni dalla nostra telefonata con Giovanni e, dopo quella volta, non l'abbiamo più sentito.

Girano voci secondo cui per molti giorni non sia stato cosciente. Dicono anche che si temesse il peggio, ma che si sia ripreso e abbia continuato a lottare con tutte le sue forze.

Purtroppo Andrea ha detto che la madre del nostro amico l'ha informato del fatto che Giovanni non possa rispondere spesso al cellulare.
È molto impegnato con visite, operazioni...

Abbiamo provato a telefonare molte volte, ma risponde sempre la madre.
Ci dice perennemente che il figlio non può parlare o che è in un'altra sala...

Almeno, anche parlando con lei, possiamo sapere come sta Giova. È una persona molto aperta, soprattutto con Andrea.

Ormai io e lui teniamo il conto alla rovescia per quando potremo andare a trovare Giovanni: manca davvero poco.

...

<<Mi raccomando, si puntuale questo pomeriggio.>> si raccomanda Andrea ridendo, mentre usciamo dall'entrata principale del liceo.

Ieri sera la madre di Giova ha telefonato Andrea e gli ha riferito che Giovanni ora può essere visitato da chiunque. Subito abbiamo colto l'occasione, organizzando la nostra giornata a Milano.

<<Come potrei far tardi!>> affermo sorridendo gioiosamente e cercando le chiavi dello scooter nella tasca della felpa.

<<Allora a dopo. Ci vediamo sotto casa mia alle tre.>> mi ricorda, salutandomi e andando verso la fermata dell'autobus.

Sono emozionatissima. Non vedo l'ora di averlo tra le mie braccia.

Alle 14:45 dico ad Andrea di scendere, lo sto aspettando sotto casa. So di essere in anticipo, ma non ne posso davvero più di attendere. Abbiamo deciso di andare con il mio motorino fino alla stazione e di prendere il treno per Milano, dove è ricoverato Giovanni.

Arriviamo in ospedale circa tre ore dopo, ma ora che sono qui la mia felicità si è trasformata in un misto tra ansia e paura.

Sono preoccupata, non so bene di cosa. Ho il terrore che possa essere cambiato e che non sia più il mio Giovanni. Andrea nota il mio stato d'animo e si avvicina, sorridendo.

<<Coraggio...ormai siamo qui...>> mi rassicura.

Ricambio il sorriso e mi avvio verso l'entrata, seguita da lui.

L'ospedale è enorme ed è pieno di gente. Ovunque io mi giri noto una persona che piange o cose del genere. È un ambiente tristissimo. Mentre Andre chiede informazioni sulla stanza di Giova, osservo una bimba che gioca in sala d'aspetto con una signora anziana in pigiama. É così tenera, probabilmente è la nipotina di quella donna. Vedendo quella scena non posso fare a meno di sorridere.

<<Andiamo Maia, dobbiamo salire al terzo piano.>> mi richiama Andre, riportandomi alla realtà.

Ci avviciniamo ad un ascensore, cliccando sul pulsante per "prenotarlo". Quando le porte si aprono, entrambi esitiamo nell'entrare. All'interno c'è una donna stretta tra le braccia di un signore, il quale cerca di tranquillizzarla con parole dolci sussurrate al suo orecchio. E lei piange, quasi gridando. Ripete un nome femminile tra le lacrime, insieme ad altre parole incomprensibili.

Mi volto verso il ragazzo alla mia destra, osservando il suo volto traumatizzato.

<<Salite o scendete?>> sussurro. E' l'unica cosa che mi viene in mente di chiedere, sperando di poter evitare il viaggio fino al nostro piano con loro.

<<Scendiamo in obitorio.>> risponde l'uomo, anche lui con il mio stesso tono di voce.

C'è un altro momento di silenzio tra di noi, finché Andrea non mi afferra per un braccio.

<<Prendiamo le scale. Non è un problema.>> dice rivolgendosi prima a me e poi ai due sconosciuti.

Il signore annuisce e chiude le porte dell'ascensore, sparendo dietro le due lastre di metallo.
Entrambi restiamo ancora paralizzati per qualche secondo, li davanti. Quello dell'ospedale è un ambiente completamente sconosciuto a noi. Vedere quella donna piangere probabilmente per la morte di un suo caro mi ha come sconvolta, anche se non conosco neanch'io bene il motivo.

Mi volto a guardare Andrea, il quale deglutisce e individua la rampa di scale che dobbiamo salire. Anche lui non ha apprezzato per nulla quello che ha visto.

Non posso sapere cosa abbia pensato Andre per rimanere così sconvolto, ma quello che è passato per la mia mente si. Dopo tutte le voci che girano sul conto del nostro amico, chi può dirci che i prossimi due a piangere in quell'ascensore non potremmo essere proprio io e lui?

Scaccio subito quel pensiero lontano dalla mia testa, scrollando il capo.
Non è da me tutto questo pessimismo.

<<Vieni Maia...>> il mio amico attira la mia attenzione, facendomi un cenno con il capo verso le scale per il piano superiore.

Le rampe sono lunghissime e quando arriviamo davanti alla stanza, ci fermiamo qualche minuto per riprendere fiato.

<<Entra prima tu...>> dico ad Andrea con voce tremante.

<<Cos'hai? Sei preoccupata?>> mi domanda, confuso.

Annuisco, allungando le mani davanti a me e osservandole. Solo ora mi rendo conto di quanto stiano tremando.
Lui le afferra, stringendole tra le sue.

<<Sta tranquilla. Andrà tutto bene.>> mi rassicura, sorridendomi e stringendomi in un abbraccio, immediatamente ricambiato.

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