-Quando gli parlerai?
Aurora sbuffò, uscendo di casa con una Giulia che continuava a riempirla di domande su come avrebbe affrontato Robert e soprattutto stava diventando pesante quel quarto grado di prima mattina.
Si voltò di scatto non appena vide un lontananza un'auto che pareva quella di Brian.
-Ascoltami bene ricciolina mia: gli parlerò non appena usciremo da quello studio artistico okay?
-Ma non sai se è a casa, e non hai il suo numero.
La rosa abbassò lo sguardo con un labbro arcuato con disprezzo, sapendo quello che stava per dire.
-E nemmeno un cellulare....
Giulia sbuffò.
-Te ne comprerò uno io, anzi, te ne comprerai uno tu con lo stipendio che riceverai.
Disse acida, superando Aurora che dovette spostarsi di lato prima di farsi colpire da una spallata.
-Come fai ad essere sicura che mi piacerà?!
Brian stava per arrivare ne era sicura.
-Perché quando incontri nuove persone ti piace sempre.
Rispose stizzita, sporgendosi dal bordo del marciapiede per vedere se stesse arrivando il suo ragazzo surfista.
La pittrice fece qualche passo verso di lei, alzando debole una mano mentre la implorava con lo sguardo.
-Ehi dai, perché sei così...
-Stronza?
Concluse lei, beh forse con un termine troppo volgare ma il senso era quello.
Giulia la fissò a lungo, riducendo le labbra ad una sottile linea severa ed invisibile.
-Perché non volevo dirti che avevo un ragazzo, tanto sapevo già che non ti avrebbe convinto e ora ne ho la prova.
Aurora fece un altro passo sempre con il braccio mezzo alzato e una mezza parola in bocca che però non uscì mai dalla sua gola arida.
-So scegliere da sola, non mi servi più tu che mi aiuti ad uscire dalla solitudine, non sei un eroina.
-Ma...
La cuoca non fece in tempo ad esprimere il suo stupore e quel pizzico di delusione, che una Mustang rossa vecchio modello inchiodò davanti a loro e dal finestrino si sporse proprio Brian che fece loro segno di montare a bordo.
Per tutto il viaggio Aurora restò seduta sul sedile posteriore a pensare a quella frase detta da Giulia con un disprezzo che non sentiva da anni. Forse aveva ragione lei, forse doveva smetterla di intromettersi in ogni situazione, dire la propria e fare di tutto per cambiare l'opinione altrui.
Aveva detto che Brian non la convinceva e dentro di lei sentiva già quel desiderio di iniziare a consigliare a Giulia altri ragazzi, ma se era davvero innamorata allora non doveva più aiutarla nelle scelte... a meno che non fosse l'amica in persona a chiederlo esplicitamente.
Passò tutto il viaggio a cercare di guardare la riccia, ma lei era troppo occupata a ridere e scherzare con il fidanzatino che ancora non la convinceva, ma stette con la bocca chiusa perfino quando lo vide sfiorarle la coscia.
Aveva i pugni stretti, ma non intervenì per il volere di Giulia e dato che ancora non le sembrava vero che fosse guarita dalla perdita di memoria.
Non si cambia per delle critiche certo, ma per degli amici si può eccome.
-Eccoci arrivati.
Scesero dall'auto e entrarono in quel edificio dallo stile tipico newyorkese, anche se quelle finestre ad arco le ricordavano più Boston.
Salirono con l'ascensore fino agli ultimi piani, entrando in uno spazio bellissimo e molto colorato.
-Oh.Mio.Dio.
Esclamò in italiano, osservando quel bancone circolare che pareva il centro di tutto dove c'erano quattro segretarie al computer, i muri tappezzati da schizzi di vernice o cornici o quadri di ogni stile e colore. La moquette sotto i suoi piedi era stravagante e fatta a mano, si capiva.
Davanti a lei vide un cartello stradale vecchio stile che indicava i vari reparti:
>Uffici ceramica
>Uffici design
>Uffici critica
>Uffici restaurazione
>Uffici artisti
Era formato da cinque gruppi, un'unico alveare dove l'ape regina a quanto pare era quell'uomo in giacca e cravatta che si era avvicinato sorridente proprio ad Aurora che ancora in estasi ammirava il viavai di persone.
-Salve, sono Jacob e tu devi essere la ragazza di cui Brian mi ha parlato.
Era abbastanza alto per superarla, capelli cortissimi e blu elettrico con occhi uguali. Si strinsero la mano e la rosa iniziò a raccontare della sua passione del dipingere quadri e l'uomo l'ascoltò attentamente.
-Hai qualche opera da farmi vedere?
Balbettò.
-Ecco, veramente...
-Si, ne ho portato uno.
La bloccò Giulia, tirando dalla borsa un piccolo quadretto che aveva dipinto mesi fa dove rappresentava l'orizzonte visto dal ponte di Brooklyn.
Guardò la riccia che non la degnò di uno sguardo.
-Sono qualcosa di sensazionale, dipingi con le dita vero?
-Esatto.
Jacob entusiasta l'accompagnò verso destra.
-Credo che il tuo posto sia negli uffici degli artisti, vedi qui noi dipingiamo i quadri che vogliono i clienti sai, come secoli fa. Ma possiamo dare consigli per chi vuole mettere un dipinto in casa propria e altre cose, sei perfetta per questo.
Dopo le solite burocrazie alla fine ottenne il lavoro il giorno stesso, ma non appena uscì dall'ufficio del capo vide davanti a lei cinque persone che la studiavano accuratamente.
-Sei quella nuova?
Chiese una donna dai capelli neri e sguardo inquietante.
Sentendosi osservata aggrottò la fronte.
-Si, e voi siete i miei nuovi colleghi?
Il gruppo si scompose quando un uomo si fece avanti stringendole la mano calorosamente.
-Io sono Marshall e lei è Dorothy, mia moglie.
Strinse la mano ai coniugi, dovendosi poi confrontare con quella scontrosa del gruppo che le strinse forte la mano, stretta che ricambiò volentieri.
-Sono Vicky Viper.
Disse con voce sprezzante e cupa.
-Jon, piacere.
Si presentò un ometto dal carattere timido e riservato.
-Amanda Morstan, tu sei?
La rosa si lasciò rapire dalla dolcezza che emanava quella ragazza bionda dagli occhi color del miele più caldo e buono, le dava sicurezza e simpatia. Un ottimo segno.
-Aurora, sono italiana.
-Allora sappiamo chi ci farà la pizza!
Esordì Marshall, facendo ridere tutti compresa la pittrice a tutti gli effetti.
Non appena uscirono dallo studio si sentiva euforica dopo aver incontrato quel gruppo di persone che sarebbe diventato il suo gruppo di amici più stretti, anche se con Vicky doveva andarci leggera prima che le staccasse la testa da come la fissava.
Con una scusa si fece mollare proprio davanti a casa di Robert dato che, alzando di molto lo sguardo, aveva visto le luci accese all'attico.
Attese che la Mustang sgommasse via e poi si fiondò dentro il grattacielo.
Bussò alla porta del suo uomo, la quale venne subito aperta.
-Aurora ciao, hai bisogno?
La fece entrare in casa, facendola sedere sul divano mentre lei si preparava a saltare quel masso sullo stomaco troppo pesante da sopportare.
-Brutta giornata?
Si fece più vicino, accarezzandole la guancia con il pollice e solo in quel momento notò che indossava degli occhiali da lettura. Lo rendevano più...dolce e intellettuale, le piaceva.
-Ho trovato lavoro, in uno studio artistico è vicino a casa tua.
Sorrise sinceramente contento per la sua donna, abbracciandola mentre le donava un bacio sulla tempia.
-È fantastico tesoro, ma ancora non mi spiego perché questo broncio.
Nonostante il suo pollice le stava sfiorando il contorno delle labbra, abbassò lo sguardo e inspirò profondamente.
Prese tutta se stessa prima di guardarlo dritto nelle pupille, lasciando che i due mari si agitassero per brillare, la bocca tremava.
-Tu e Stella dove vi incontrate?
-Dal dottore come sempre, perché?
Ribatté abbassando di getto la mano e stringendola sul ginocchio di Aurora che sussultò.
-Scusami.
Gli occhi di giada lucidi facevano pena a chiunque, ma non a Robert che la guardava con una maschera più fredda del ghiaccio dato che era freddo lui di suo.
-Allora perché la fai entrare in casa tua?
Qualunque cosa sarebbe successa, non era affatto pronta.*l'atmosfera nell'ufficio e con il gruppo sarà molto alla Ally McBeal, tra l'altro vi consiglio di leggere la one shot dedicata alla serie che ho appena pubblicato. Non riesco a correggere eventuali errori di battitura, perdonate. Commentate e votate altrimenti vi crucio...*
Qua da Shinimal è tutto
Al prossimo capitolo.
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Until The Wheels Fall Off
RomansaSequel di Let's Hurt Tonight. "We see what we want." "Well, love has made me blind."