7. A S H L E Y

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7. A S H L E Y

Il mio ufficio è enorme. Voglio dire, se pensavo che quello precedente fosse già abbastanza grande per me e Clara, questo è davvero un sogno. È grande tanto quanto il mio soggiorno... una scrivania leggermente più piccola di quella del signor Styles giace vicino alla vetrata, al centro un tappeto e sulla sinistra una semplice libreria. I soliti oggetti d'arredamento sparsi per la stanza mi fanno sospirare sollevata, almeno non è proprio lugubre come il proprietario. Dovrei avere foto di amici e anche un cane sulla scrivania, ma in realtà ho solo una foto di mamma e papà insieme sotto la torre di Pisa, in Italia. Il cielo è nuvoloso, rispecchia il mio umore di oggi alla perfezione. Mi appunto i numeri da chiamare durante la giornata accanto al telefono e memorizzo il mio account sul nuovo pc. Come al solito Karen mi ha fornito una valanga di documenti, solo che questi riguardano tutti gli affari che Styles sta gestendo al momento. Povera Silvia.

Ancora giù da ormai due giorni, salto la mia pausa pranzo continuando a revisionare pile e pile di documenti. Improvvisamente la porta del mio ufficio viene aperta e Harry Styles fa la sua apparizione non notandomi nemmeno. Mi schiarisco la gola, attirando finalmente la sua attenzione cattura in precedenza da alcuni fogli. "Oh, signorina Stewart. Credevo fosse in pausa pranzo." "Non ho molta fame. Posso aiutarla?" prendo un respiro. "No, ero solo venuto a ritirare i primi tre fascicoli revisionati. Conto di avere il resto entro fine giornata." Parla. "Saranno sulla sua scrivania prima delle cinque." Rispondo leggermente assente. Mi capita spesso di avere crolli emotivi, ma non posso permettere che accada adesso, di fronte al mio capo. "Bene." Mi osserva distaccato per poi avviarsi verso la porta. Quando se la richiude alle spalle, porto entrambe le mani sul viso e sospiro. Mi sento così sola, triste.

Alle cinque e dieci minuti sono fuori l'ufficio di Styles, tengo in mano il cellulare e quasi mi stupisco quando vibra. Oh, mia madre.

"Ehi, mamma." Mi fermo davanti alla porta del mio ufficio. "Tesoro, come stai?" "Un'altra domanda?" "Tesoro, non prendi più quelle pillole, vero?" chiede preoccupata la donna. "No, mamma. Ho smesso, non tocco più niente da un po'." "Bene, è la cosa giusta da fare. Qui ci manchi tanto." "Anche voi mi mancate. Come sta Dusty?" "Quel cane rompe sempre le scatole, il solito." Accenno una risata mentre sento gli occhi riempirsi di lacrime. "Ti- ti richiamo, mamma. Sono a lavoro e non posso parlare." Deglutisco a fatica. "Oh, va bene. Ci sentiamo, tesoro. Papà ti saluta." Parla dolcemente la donna per poi attaccare.

Cosa diamine c'è di sbagliato in me? Perché devo essere così sola? Perché a nessuno va mai bene come sono? Scaccio una stupida lacrima dalle mie guance e dopo essermi ricomposta almeno un po' marcio verso l'ascensore. Una volta entrata, le porte stanno per chiudersi quando una mano le blocca facendole riaprire. Styles. Il mio sguardo viene catturato dal pavimento mentre lui si accomoda dentro l'ascensore pronto a ripartire. Forse dovrei ricominciare a prendere quelle compresse, il Daparox mi era utile in passato. Il mio cellulare vibra una seconda volta notando che a chiamare questa volta è mio padre. "Ciao, papà." Mi costringo a rispondere. "Ehi, amore. Come va?" "Sto bene. Tu?" "Bene. Ascolta, ho parlato con la mamma e mi ha detto-" "Non ci posso credere, sempre la solita. Sto bene." Scatto, interrompendolo. Ignoro completamente il mio capo e ascolto le parole uscire dalle labbra di mio padre. "Ti ha vista agitata e si è preoccupata, amore. Se tu mi garantisci di stare bene e non prendere più quelle pasticche, io ti credo." In questo momento vorrei solo distruggere questo fottuto telefono. "Non ero agitata, papà. Sto bene e lei deve davvero smetterla di usarti per assicurarti che non prenda più niente." Cerco di mantenere il mio tono basso. "Si preoccupa, è normale." La difende mio padre. "Certo. Comunque, sto uscendo da lavoro, ci sentiamo." Non attendo oltre, chiudo la chiamata e mi affretto ad allontanarmi dall'ascensore e lo sguardo soffocante del mio capo.


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