LOYALTY TEST (PARTE TRE)

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Nicholaj era quello che aveva riportato il minor numero di ferite, ed era anche l'unico in grado di guidare la macchina, voleva portare subito la sorella in ospedale dato che continuava a perdere sangue, ma lei si rifiutò, scuotendo con forza la testa.

"No, dobbiamo tornare alla Villa. Non sto così male, ho quasi smesso di sanguinare, tranquillo" rispose Nadja, sforzandosi di sorridere per essere convincente, ma lui sapeva benissimo che stava soffrendo e non per la spalla martoriata; accese il motore e si allontanò velocemente dal centro della città, mentre i primi soccorsi stavano già giungendo: durante il breve tragitto tutti e tre rimasero in silenzio, erano sia sconvolti per James che preoccupati per quello che avrebbero potuto trovare al loro ritorno.

Il gemello entrò per primo, dicendo agli altri due di fare attenzione e di rimanere in silenzio, perché c'era la concreta possibilità che fossero ancora in pericolo; all'interno dell'abitazione, però, regnava una quiete quasi innaturale, rotta solo dal rumore dei loro passi circospetti.

"Sembra che non ci sia nessuno" commentò Peter, mentre delle gocce di sudore gli scendevano lungo le guance, miste alla polvere dei palazzi che erano crollati; la rossa si staccò dal piccolo gruppetto e zoppicò in direzione delle camere, macchiando di liquido scarlatto la parete alla sua sinistra, c'era qualcosa che le diceva di andare in quella direzione: non voleva veramente farlo, ma una forza la stava spingendo proprio là.

Quando varcò la soglia della stanza da letto di Rhodey spalancò la bocca, in un urlo silenzioso, davanti alla scena macabra che le si presentò; i suoi nervi crollarono definitivamente: si chinò in avanti, vomitò e poi iniziò a gridare, richiamando l'attenzione di Peter e Nicholaj che corsero subito in soccorso della ragazza.

Il primo si occupò di lei mentre il secondo trovò il coraggio di avvicinarsi al corpo del loro allenatore.

Gli toccò il polso destro ed il collo, rimase in silenzio e poi scosse la testa, facendo capire che non c'era più nulla da fare.



Tony era nel salotto del proprio attico, a guardare New York da un'enorme vetrata, con un bicchiere di whiskey in mano; ora che era tornato ad essere completamente solo aveva tanto tempo per pensare e la sua mente andava in automatico a quando gli Avengers erano una squadra operativa, prima che il Generale Ross desse loro un ultimatum con gli accordi di Sokovia.

C'era stato qualcosa, fin dal principio, che aveva fatto capire al miliardario che non sarebbero resistiti molto a lungo, ma quando poi c'erano stati gli eventi che avevano riguardato Ultron, quando nella squadra si erano aggiunti anche Rhodey, Sam e Wanda, aveva creduto per davvero che forse, forse, gli Avengers sarebbero stati un progetto a lungo termine, se non anche a tempo indeterminato.

Aveva le proprie colpe? Si, ma non sentiva di essere l'unico, anche gli altri avevano la loro parte consistente.

Steve, Natasha e Charlotte avevano sempre interposto i loro interessi personali; perfino lui aveva messo da parte il proprio ego, ma loro non lo avevano mai fatto veramente.

Ormai, però, non aveva senso rinfacciare colpe passate.

Steve e Clint non c'erano più e niente avrebbe potuto farli tornare indietro.

Thor e Bruce erano scomparsi ormai da tempo senza lasciare alcuna traccia di sé: il primo sicuramente perché impegnato con i suoi doveri ad Asgard, ed il secondo perché stanco di quella vita.

Natasha aveva abbandonato tutto a sua volta e si era trasferita in Wakanda da T'Challa, quando lo aveva sentito era rimasto perplesso ma poi, ripensandosi, aveva capito che quei due erano fatti l'uno per l'altra: due personalità forti che avevano bisogno di un proprio simile che apprezzasse una tale qualità.

An Unexpected Host; American, Patriot, Soldier (✔️) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora