Capitolo 12

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Jungkook's pov

Ero indeciso se fare qualche domanda a Jimin riguardante la sua vita, il suo passato, per conoscerlo meglio. Molte volte avevo utilizzato frasi ambigue, ma sembrava non volerne cogliere il senso, oppure semplicemente non voleva aprirsi. Quando si alzò dal letto, lasciandomi solo in stanza, mi guardai attorno. Tralasciando l'ottimo sesso che avevamo fatto, mi sentivo rilassato e felice di essere lì. Jimin mi aveva completamente stregato in poco tempo, e ogni giorno che passava mi sentivo inevitabilmente sempre più legato a lui, quasi senza poterne fare a meno.

<<Jimin? Dove sei finito?>>, lo chiamai. Sentì una voce lontana rispondermi, ma non capii nulla. Mi vestii velocemente e lo cercai. Si trovava in cucina, intento a preparare la cena.
<<Pensavo volessi farti una doccia>>, mormorò prendendo una pentola e riscaldandola sul fornello.
<<Volevo, ma senza di te non è la stessa cosa>>, sussurrai al suo orecchio. Potevo sentire come si stesse agitando sotto il mio tocco, ed io amavo l'effetto che avevo su di lui.
<<Sono stanchissimo, e domani mattina devo lavorare>>, affermò appoggiando la testa al mio petto. Si lasciò andare alle mie coccole, mentre le mie mani percorrevano la sua schiena, accarezzandola.

<<Forse lavori troppo non credi? Non parli d'altro Jimin. Non hai qualche svago, ad esempio sport? Amici?>>, domandai. Sembrava esserne ossessionato e questo finirà per nuocerlo.
<<Mi servono quei soldi, devo mantenermi in qualche modo e ormai sono grande. Questo è quello che fanno gli adulti responsabili>>, affermò scocciato. Mi diede un ultimo sguardo e tornò a fare il cuoco. Lunatico il ragazzo.
<<Certo, lo capisco, sto solo dicendo che dovresti prenderla con più calma e serenità. Non puoi affrontare tutto in maniera così pesante. Penso che ormai te l'abbia detto mille volte come la penso>>, dissi gentilmente. Non volevo vederlo arrabbiato, ma questo modo che aveva di approcciarsi alla vita proprio non mi andava bene. Sembrava che qualcuno di stesse correndo dietro, che non avesse tempo di godersi nulla, per paura di qualcosa più grande di lui che non riusciva a controllare.

<<Se non ti piaccio, lasciami stare. Trovati qualcun altro con cui giocare>>, rispose andandosene. Che diavolo! Mi ritrovai a fare qualcosa che avevo sempre cercato di evitare, rincorrere qualcuno. Lo seguii per tutta la casa, continuava a camminare avanti e indietro per il corridoio senza dire una parola e senza mai fermarsi. Sembrava perso nei suoi pensieri.
<<Giocare? Perché usi sempre questa parola? Perché non accetti il fatto che mi piaci davvero? Perché devo stare qui a ripetertelo ogni volta?>>, domandai più a me stesso che a lui. Si fermò per un secondo e i nostri sguardi si incontrarono. Ah Jimin, stai scappando da me o da te stesso?
<<Lo accetto, ma non mi piace essere rimproverato. Se non ti piace il mio modo di vivere allora perché sei qui?>>, chiese acido.
<<Ti ho solo dato un consiglio, non capisco perché la stai prendendo così male. Puoi dirmi piuttosto perché ogni volta che si parla della tua vita diventi così nervoso? C'è qualcosa che ti fa soffrire? Qualche problema che ti affligge? Possiamo parlarne se vuoi>>, proposi avvicinandomi. Mi guardò come un cucciolo smarrito in cerca di un padrone che lo guidasse. Di questo aveva bisogno, di qualcuno che gli stesse accanto e lo accompagnasse in questo momento di difficoltà in cui si trovava. Se solo me ne parlasse, lo farei volentieri, ma è così testardo da farmi lottare come se il problema fosse mio.

<<Il lavoro è importante per me, e farò di tutto per essere un impiegato eccellente. Ho impiegato tanto tempo per avere un colloquio, per far sì che mi chiamassero sul serio, senza false promesse, che mi facessero un contratto a tempo indeterminato. E non perderò questa occasione>>, affermò. Accettò la mia vicinanza, lo vedevo già più calmo rispetto a prima. Cercai di abbracciarlo, ma forse era troppo, mi accontentai di prendergli la mano, e di intrecciare le nostre dita. Jimin reagì, portandomi in soggiorno. Spostò i cuscini dal divano, buttandoli a terra, in modo tale da avere più spazio per noi.
<<I miei genitori qualche anno fa si sono separati. Accadde tutto all'improvviso, mio padre una sera tornò arrabbiato, dicendo di aver perso il lavoro, si scagliò contro mia madre, le urlò contro le peggiori parole solo perché aveva bisogno di sfogarsi in quel momento. Lei era il suo capro espiatorio, lo era sempre stato. Dopo qualche giorno lei però reagì cacciandolo di casa. Non si parlarono per un sacco di tempo finché non ci ritrovammo in tribunale. Io e mio fratello, maggiorenni, decidemmo di non presentarci. Era una forma di protesta nei confronti ciò che mio padre ci aveva fatto vivere in quei mesi. In realtà poco dopo scoprì che non era tutta colpa sua, ma lasciò la nostra famiglia in condizioni inaccettabili>>, spiegò. Tenne lo sguardo basso per tutto il tempo, il suo viso era addolorato, sicuramente si stava trattenendo dal piangere. Ma continuò lo stesso, facendomi capire fino in fondo quanto idiota fossi.

<<Jimin non sei obbligato a parlarmene, sono stato superficiale ed egoista, mi dispiace se ti ho ferito>>, risposi abbracciandolo. Il mio piccolo si mise in braccio, lasciando che mi prendessi cura di lui mentre continuava la sua storia, mentre mi faceva rendere conto di quanto dolore avesse sopportato.
<<Lo avevano licenziato, dall'oggi al domani. Gli dissero due stupidate, come il fatto che avessero bisogno di personale più giovane, l'impresa dovesse rinnovarsi, e altre cazzate varie. Fatto sta che rimanemmo senza soldi. Non ci potevamo permettere quasi nulla, facevamo a stento la spesa, pagavamo le bollette in ritardo, e nessuno dei nostri familiari ci aiutò. Mia madre continuò a lavorare e una volta finiti gli studi fu il turno mio e di mio fratello. Rinunciai all'università, non ne avevo il tempo né la possibilità. Volevo diventare designer, amavo progettare, infatti questa casa l'ho arredata io. Ma non fu così. Lavorai in diversi posti, finché non arrivò la pizzeria. Lì incominciai a guadagnare bene, a poter pagare l'affitto senza problemi, a potermi concedere qualche sfizio, senza sentirmi in colpa>>, continuò. I suoi occhi erano lucidi, la sua voce si incrinava sempre di più, ed io non riuscivo a spiaccicare parola.

<<Capii quale fosse stato il problema, il suo capo. Era un uomo ricco, potente, dirigente di un'impresa importante a Taegu, prima vivevo lì. Se non fosse stato per lui e dei suoi licenziamenti di massa la mia famiglia non sarebbe finita quasi a vivere per strada. L'ho odiato per così tanto tempo, da pensare di non riuscire più a riprendermi. Questo è quello che fanno le persone ricche e potenti, ti usano fin quando ne hanno bisogno e poi ti abbandonano, lasciandoti nella merda. Sono freddi, senza sentimenti, pensano solo al loro denaro, ad aumentare il conto in banca, questo è il loro unico interesse>> affermò piangendo. Rimasi paralizzato. Cercai in tutti i modi di pensare qualcosa da dire, ma non mi uscivano le parole. Come avrei fatto a dirgli che anch'io facevo parte della cerchia di persone che odiava? Che ero ricco sfondato e a capo di un'azienda multimilionaria? Se avessi parlato, l'avrei di sicuro perso, e non potevo permettermelo. <<Non piangere piccolo, va tutto bene>>, gli asciugai le lacrime con il palmo della mano, mentre l'altra gli spostava i capelli dalla fronte. Ora capivo tutto, ora avevano senso i suoi comportamenti strambi e ossessionati. Aveva semplicemente paura di ripetere la stessa vita, si stava proteggendo. Ma aveva fatto un bellissimo lavoro, la casa era stupenda, e se ora la sua famiglia sta meglio è per merito suo. Solo suo.

Mi fece un debole sorriso, e nei suoi occhi vidi una luce diversa, meno malinconica. Unii le mie labbra alle sue, coccolandolo, trasmettendogli affetto, protezione, dolcezza. Era un bacio casto, lento, ma significativo.

<<Grazie per avermi ascoltato, grazie per essere rimasto e grazie per la serata ma adesso vorrei restare un po' da solo ti spiace?>>, chiese lasciandomi un bacio a stampo. Annuì e mi alzai. Presi la giacca che avevo lasciato in camera sua e finì di vestirmi. Nel frattempo, lui fece dei respiri profondi e mi osservò in tutte le mie mosse. Raggiunsi poco dopo la porta di casa.
<<Chiamami per qualsiasi cosa. Ci sentiamo domani, buonanotte>>, lo salutai. Lui mi saltò letteralmente addosso, cingendo le gambe attorno ai miei fianchi e unendo di nuovo le nostre labbra. 

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~Unpredictable~ JikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora