2. Day club

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«Nome?»

«Ah, J-Jungkook» rispondo al buttafuori, che mi sta squadrando dalla testa ai piedi. Probabilmente si aspetta che faccia spuntare un pacco per il locale da sotto al cappello, manco fossi il mago Silvan.

L'indirizzo che mi ha mandato il ragazzo è quello di un bar che si chiama Vixxxen, il nome scritto a caratteri cubitali su un'insegna luminosa, accanto al muso di una volpe rossa. A cosa serva un buttafuori a quest'ora, proprio non lo so.

«Temo che tu non possa entrare. Non c'è nessun Jungkook in lista» risponde lui, e fa per chiedere la stessa cosa al ragazzo dietro di me. Gli afferro l'avambraccio, e lui inarca un sopracciglio.

«Kim Taehyung mi ha detto di venire qua» dico tutto d'un fiato, prima che possa tirarmi un pugno in faccia. A quel punto, il suo volto si rilassa e le sue labbra si distendono in un sorriso. La sua espressione intenerita non si sposa con il suo fisico da energumeno.

«Potevi dirlo subito, accidenti! Ha quasi finito, passa da quel lato.» Mi fa cenno con la testa verso una seconda entrata, che imbocco subito mentre lo sento chiedere, con una ritrovata voce monotona "nome?" al tipo alle mie spalle.
Mi guardo intorno: il posto è buio, ci sono delle luci rosse e blu che lo illuminano parzialmente muovendosi, e quando si incrociano danno vita a fasci viola. Sembra di stare in un night club con orari diurni. Sulla sinistra noto una porta che comunica al bar che avevo visto da fuori, pareva strano pure quello ma per lo meno era illuminato a giorno.

«Non lasciateci, dopo una piccola pausa torneremo a deliziarvi con White Fox!» urla un uomo sulla trentina, su un soppalco a metà della sala, che si riempie di applausi e fischi di apprezzamento.
Sento una mano appoggiarsi alla mia spalla, e mi giro pronto a fare mille domande a quel ragazzo. In che cazzo di posto sono finito? Però questo non è Kim Taehyung. È molto più alto di lui, e di me, e mi guarda con un sorriso sbilenco. Che sia ubriaco? Non ho idea di dove stia il bagno, in ogni caso.

«Sei qui da solo?» mi fa il ragazzo, ammiccando.
In ventitré anni della mia vita mai nessun ragazzo ci aveva provato con me, anche quando ero vestito decentemente. Figuriamoci ora, in divisa da corriere. Spalanco gli occhi sbigottito.

«Ehm, prego?»
Quando il tipo inizia ad avvicinarsi ancora di più, diminuendo la distanza tra i nostri volti, vedo una mano che sbuca da dietro al mio collo andare a schiantarsi con la sua faccia.

«Cercatene un altro, questo è impegnato» dice una voce bassa, che riconosco subito. Il ragazzo si allontana, schioccando la lingua.
Kim Taehyung mi osserva per qualche istante, io ancora cerco di capire cosa stia succedendo.

«Vieni, ho appena finito» mi dice, afferrandomi la mano e tirandomi verso il locale normale. Con l'altra mano si libera il collo da un boa di piume rosa. Chi si mette un boa di piume rosa in questo secolo?!

Mi fa accomodare su uno sgabello imbottito davanti al bancone del bar.

«Un gin tonic. Poco tonic» ordina, poi si gira verso di me. «Cosa prendi?»

«Sono qua solo per darti i tuoi soldi, me ne vado subito» rispondo prontamente, infilando una mano in tasca ed estraendone la banconota. Cerco di non pensare che ha ordinato un cocktail alle due di pomeriggio.

«Fai una birra per il mio ragazzo» dice lui candidamente, senza nemmeno ascoltarmi. Toglie i cinquanta dollari dalle mie dita e li appoggia al banco.

«Senti, apprezzo il pensiero ma non-» mi interrompo appena mi rendo conto delle parole che ha usato. «Il tuo cosa, scusa?»
Kim Taehyung scoppia a ridere. «Stai tranquillo, non ti mangio. È per evitare che Kevin» e indica il barista, «ci provi con te, com'è successo poco fa. E poi, ti ho visto prima io» conclude, mettendo su un broncio che gli fa arricciare le labbra piene.
Non sto capendo.

«Perché dovrebbe provarci con me?» domando, incerto.

«Svegliati, ragazzo delle consegne. Piace il cazzo a tutti, qua dentro» mi spiega come se fosse una cosa evidente. «Tranne alle ragazze, ovviamente.»
Lui sta ancora sghignazzando, ma io sbatto i pugni sul tavolo e mi alzo in un unico gesto.

«Mi hai fatto venire in un gay bar?» gli chiedo risentito, attento ad abbassare la voce sulle ultime due parole.
Lui alza lo sguardo su di me, divertito.

«No, siamo a Disneyland. Che è più o meno la stessa cosa.»
Non lo sopporto più, giuro.

«Okay. I tuoi soldi ce li hai» replico, indicando il denaro. «Ora me ne vado.»
Lui sbatte le ciglia, stupito dal mio atteggiamento. «Ma come, non so neanche il tuo nome e già te ne vai? E poi ho appena ordinato.»
Non capisco se mi stia prendendo in giro o se sia sinceramente dispiaciuto. Sicuramente la prima opzione.

«A che ti serve il mio nome? Non ci vedremo mai più.» Con un po' di fortuna.

«Come no? Io voglio vederti di nuovo.»

«Non sono interessato» rispondo tagliente, prima di andarmene definitivamente da quel posto.
Non ce l'ho con i gay. Il mio migliore amico è gay, che cavolo. Ma io no, e non mi piace stare in un posto dove due su due ragazzi con cui ho parlato ci hanno provato con me.

«Ragazzo delle consegne!» lo sento chiamare. Sbuffo.

«Non mi chiamo "ragazzo delle con-"» non faccio a tempo a finire la frase, perché una lattina mi vola addosso. La afferro al volo.

«Allora dimmi come ti chiami, ragazzo delle consegne. Quella è per ringraziarti del disturbo» dice lui, tenendo una mano a coppa vicino alla bocca. Come se non lo sentissi. Sta praticamente urlando. «A presto!»

Già. A mai più.

dear delivery boy [taekook]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora