IV. Fuggire un incubo

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Quando Vittoria rientra a casa, è l'alba. Il turno di notte al locale è durato più del previsto perché ha dovuto sostituire una collega e, adesso, non può far altro che trascinarsi per le stanze con gli occhi semichiusi e la voglia di vivere – forza di esistere – già a letto. La recupera una quindicina di minuti più tardi, dopo una doccia velocissima, la perde nel giro di tre ore, nel momento in cui il postino citofona erroneamente al suo interno.

La ragazza gli lancia una serie di improperi tale da relegargli all'eterna dannazione almeno quattro generazioni di eredi, quindi passa dal bagno a sciacquarsi il viso e, sveglia per sveglia, decide di andare a fare la spesa: sono due giorni che deve riempire il frigorifero e la dispensa, sono altrettanti giorni che non lo fa.

«Sei un appassionato di giardinaggio? È una siepe di oleandri, quello laggiù è viburno e quelle vicino alla passiflora sono zinnie. Sto pensando di aggiungere anche qualche giglio ma mia zia, che abita di là dalla strada, si scoccia a curarmi i fiori e farsi Torino-Forte dei Marmi per innaffiarli mi sembra un tantino esagerato.» Vittoria nota Nicolò in giardino, senza stupirsi eccessivamente della sua presenza.

Il cancellino condominiale è sempre aperto ed, essendo quello un complesso piuttosto ampio, abitato soprattutto d'estate, il portinaio non si stupisce nemmeno più se vede un volto sconosciuto varcarne la soglia. «Stavo pensando a come eludere la sicurezza. Il vantaggio dell'oleandro è che non ha le spine, lo svantaggio è che è difficile trovare punti su cui fare presa. Se dovessi indire una festa, sarebbe difficile scappare senza essere notati.»

«Saresti in trappola e, se volessi fregarmi, rischieresti di romperti un braccio o una gamba. A quel punto, giocare a calcio ti riuscirebbe più complicato del solito.»
«Sembra che tu stia sottintendendo una mia evidente incapacità di giocare a calcio.» Zaniolo le lancia un'occhiata accusatoria.

«Forse.» la ragazza risponde con un sorrisino furbo sulle labbra piene, le braccia conserte e le chiavi di casa che penzolano dalle dita.
«Se dovessi fuggire un incubo, non potrei farlo e la cosa mi spaventa.» Nicolò torna a guardare i fiori senza sentire il bisogno di mentirle, la scena cui ha appena assistito fin troppo vivida nella sua testa.

«Devo fare colazione e spesa, mi accompagni?»
«Mi sono presentato qui senza preavviso, è il minimo.» l'ala destra annuisce e lei gli fa cenno di seguirla, rovistando nella borsa alla ricerca delle chiavi della sua Opel GT del 1969.
«Belli i fari a scomparsa, quanti anni ha?»
«30 in più di te. Sei del '99, no?» Vittoria molla la borsa nel minuscolo spazio oltre i due sedili davanti della sua coupé giallo chartreuse.

«Non ti piacciono le feste?» gli chiede poi, tornando al suo fuggire un incubo.
«Non mi piacciono le persone che sono alle feste.» risponde lui, gli occhi sulla Toscana che scorre fuori dal finestrino. È strano guardarla da una macchina del genere, è strana tutta la situazione.
«Pensa che a me non piacciono le persone in generale.» Vittoria scuote la testa.

«Va bene se andiamo a Massa? Sono stanca del finto chic di Forte, cos'è, Montecarlo?»
«Sono nato a Massa.» replica il più piccolo, scrollando le spalle come se quell'affermazione soddisfacesse una richiesta mai postagli.
«Ho sentito per l'ennesima volta Marotta e Paratici ma fanno ostruzionismo. Io voglio te, non Pjaca, ma dubito che la cosa vada in porto. Siamo in rotta di collisione per Kean, non mi accontenteranno.»

«Che grande Moise.» Nicolò ride all'occhiataccia di lei, sapendo che, tra i due, non scorre buon sangue.
«Non stiamo parlando della stessa persona.»Vittoria storce il naso, completando senza troppi problemi un parcheggio ad S piuttosto difficile. Guidare le piace e le piacciono le macchine, anche per questo ha, tra le altre, una vettura che tra un paio d'anni compirà mezzo secolo.

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