XXII. Petit déjeuner

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«Oh, 'sti capelli sempre in bocca, Vittoria!» Neymar si lamenta, beccandosi in faccia tre quarti delle ciocche che lei ha allontanato dal viso. «Un giorno o l'altro te li taglio.» la minaccia, tastando il cuscino con gli occhi chiusi fino a raccoglierne quanti più possibile in una mano per restituirli al mittente. La ragazza storce il naso, vedendosi investita di colpo dalla stessa cascata ondulata appena allontanata.
«Provaci e poi vedi.» lo minaccia lei, di rimando.

«Vedo cosa?» le parole del calciatore muoiono nel cuscino che abbraccia, soffocate insieme allo sbadiglio che gli sfugge subito dopo: Vittoria è arrivata tardissimo da Torino, probabilmente era già lunedì, e lui è davvero cotto.
«Vedi che ti lascio e mi metto le extension, ma prima ti faccio lo scalpo.» replica l'allenatrice, rimboccandosi pigramente le coperte.

«Ah, per farmi lasciare devo tagliarti i capelli?»
«No, se vuoi ti lascio anche così, però lo scalpo te lo faccio lo stesso: ogni tanto ti metti in testa delle cose veramente imbarazzanti, lasciatelo dire.»
«Non ti piacciono i miei capelli?»
«Non ho detto questo, sai anche tu che staresti bene persino con un sacchetto della spazzatura addosso, però...» la ragazza si stropiccia gli occhi.

«Però tu mi sminuisci lo stesso e poi io mi sento piccolo piccolo.» piagnucola lui, strappandole una risatina. Vittoria si rigira nel letto, in modo da potergli accarezzare, leggera, uno zigomo.
«Ma se ti ho appena ammesso quanto sia disumano lo sforzo che mi obblighi a compiere quando sei in campo ed io devo restare concentrata sul magico giuoco del calcio invece che su di te!»

«Imbambolarsi a guardarmi non è un mestiere, è un'arte.» afferma l'ala, tronfio, scoprendola già a guardarlo. Nonostante la penombra, nonostante i capelli in faccia, nonostante tutto, quando incrocia i suoi occhi è sempre come la prima volta.
«E tu? Ti sei incantato?» l'italiana sorride.
«È molto probabile che mi capiti quando ti ho nei paraggi, sì.» l'altro ridacchia. «Nessuna mi fa questo effetto, nessuna me l'ha mai fatto.»

«Come stai?» Vittoria torna seria, il suo sguardo si incupisce. Da quando hanno saputo del bambino, la loro relazione si è evoluta in maniera del tutto incontrollata. Sono diventati incostanti l'uno per l'altra, incredibilmente vicini eppure estremamente lontani. Non c'è più spazio per le emozioni accantonate, per le pareti da innalzare al fine di nascondere qualcosa, per la ricerca delle parole giuste, per mascherare le lacrime agli occhi, per i tentennamenti e le esitazioni.

Grava su di loro la consapevolezza troppo grande di aver vissuto e condiviso un evento che nessuno dovrebbe trovarsi a fronteggiare, non possono più prendere tutto alla leggera come facevano prima. Ci sono in gioco troppe emozioni, troppi sentimenti, troppi pensieri, troppe paure. La mano di Vittoria si ferma sulla pelle dorata di lui, che chiude gli occhi per un momento. Non è facile, per nessuno.

«Contento che tu sia qua.» Neymar appoggia una mano su quella di lei, muovendo appena il pollice per far sgorgare da quel timido contatto una goccia di calore dovuta all'attrito. «È quasi tutto come dovrebbe essere.» si sporge a rubarle un bacio e Vittoria gli circonda il bacino con una gamba, accoccolandosi tra le sue braccia.
«Parigi sei tu, Junior. Se vengo qui è solo per te. È una città bellissima, ma non ci passerei tutto questo tempo.» mormora piano l'italiana.

«Onorato.» scherza il giocatore, senza proseguire oltre perché troppo impegnato a guardarla, con ancora il trucco della partita parzialmente sul viso – si era lamentata a lungo di non avere con sé lo struccante adatto – e le labbra di un rosso più acceso del solito. Ci aveva pensato lui a sbiadirlo durante la notte che si scoloriva per lasciare spazio all'alba, in un calore indicibile costellato di grovigli: dita, braccia, gambe, lenzuola ed, infine, capelli.

«Hai dormito bene?»
«Ho dormito due ore.» borbotta Vittoria, ironica.
«Adesso fingi anche di essere stanca?» il ragazzo si concede una risata tiepida, iniziando a scendere con le dita sulla colonna vertebrale di lei.
«Ti sei lamentato fino alle quattro di quanto fossi arrivata tardi, O Ney.» gli ricorda l'allenatrice.
«Perché sei arrivata tardi.»
«Eppure non mi sembravi né sembri stanco.»

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