LX. Rivincita

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Quando Rodrygo segna il suo secondo gol all'Allianz Stadium, il cronometro dice 5:47. Vittoria non è a bordo campo, si trova in bagno, ben lontana dall'area tecnica, a rigettare anche l'anima mentre cerca disperatamente di non sporcarsi i capelli, che non ha fatto in tempo a raccogliere in uno chignon salvavita, e di non insozzarsi i vestiti, che – si augura – forse per miracolo non assorbiranno l'odore del vomito.

Rodrygo raddoppia, urla ed alza i pugni al cielo, affianca due numeri al suo nome, come se quella metà di tabellino fosse proprietà privata, terra brasiliana. L'allungo sulla trequarti, la maglia blu, da sola, davanti, dopo una frazione di secondo passata a chiamare palla, lo scatto al momento giusto, il controllo, la cavalcata di forza, certo, ma anche di testa, la sfera calciata forte, quando Szczęsny è ormai spiazzato e la Juventus si dimostra umana, deve stringere i denti, ritrovare al più presto la concentrazione dopo una partenza così, destabilizzante e spiazzante.

Vittoria non sente lo Stadium ammutolirsi, ha l'acqua aperta e si sta risistemando come può, com'è concesso a chi non aveva pensato che, in un impianto sportivo, apprestandosi ad assistere ad una partita, potessero servire uno spazzolino, una spazzola, un dentifricio. Si sciacqua viso e bocca, si passa le dita tra i capelli, risistemandoli come può. Le vibra il cellulare, è Neymar che le chiede se stia bene. Lavanda gastrica, gli risponde, tornando a respirare. Colpa tua, guarda come mi hai ridotta, gli scrive ma non allega una foto, non sia mai che qualcuno gli sbirci lo schermo.

Torna in campo e vede i suoi molli, fermi, bloccati. Ne striglia uno, il primo che le capita a tiro, e la voce si sparge per il terreno di gioco, la squadra si riscuote un pochino, sblocca un paio di passaggi e smette di abbassarsi così tanto. Rodrygo ci riprova, da solo, ma i padroni di casa recuperano qualche metro e si fossilizzano lì, a cavallo del limite oltre il quale gli spagnoli paiono stabilire una sorta di dogana pallonara, il confine fino al quale reputano sicuro lasciarsi inghiottire dagli avversari.

Il risultato non si muove più per una buona mezz'ora, quando Danilo, scattato a recuperare un cross fuori misura di Modrić, probabilmente il primo errore grave del croato in carriera, alza per un momento lo sguardo e vede Courtois distratto, com'è naturale dopo così tanto tempo di niente e di squadra avversaria tenuta a debita distanza.

Quello che, con il Real, ha vinto due Champions, prova la conclusione dalla lunghissima distanza e, per una congiunzione astrale che, nel momento in cui il pallone rimbalza imprevedibilmente sul terreno, schizzando dalla parte opposta rispetto al punto in cui si trovano le mani dell'estremo difensore belga per l'effetto che nemmeno Danilo sa come sia riuscito a conferirgli, il numero 6 della Juventus si guarda bene dall'indagare, trova anche lo specchio della porta.

È un gollonzo che riscuote lo Stadium dal torpore, rianima l'Italia che tifa ed abbatte l'Italia che gufa. Le due squadre rientrano negli spogliatoi con gli umori diversi rispetto a quelli che avevano caratterizzato praticamente tutto il primo tempo, i padroni di casa sentono di aver percorso la larga pianura seguita al calcio d'inizio, la valle che si restringe prima e diventa montagna poi, quando il primo gol ha macchiato il loro cammino, che sale e si trasforma in un lungo serpentone tortuoso, di strada che si inerpica dura, regolare, maligna, quando è arrivato il raddoppio.

Il centro di Danilo è stato un piccolo bosco a ripararli dal sole cocente e dall'asfalto rovente, un angolo di frescura che finisce quando Benzema firma il terzo gol per il Madrid, una rasoiata che sembra poter nuovamente fare lo scalpo alla squadra più tifata d'Italia, i cui sostenitori sono accorsi in massa a Torino sognando una serata tutta diversa. Il bosco si tramuta in selva e si beve le speranze zebrate, da accogliente accompagnatore diventa avido assaltatore, copre e cela scatti e fatica, chiude gli spazi e soffoca i tiri.

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