LXVII. Il momento giusto

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«Posso almeno... accompagnarti in stazione?» Neymar cerca un minimo contatto con la pelle di Vittoria, spostandole una ciocca di capelli dietro le spalle per poterle sfiorare una clavicola. La ragazza si volta a guardarlo per un attimo e sospira, vorrebbe che non fosse tutto così complicato. Le dita di lui le risalgono piano il collo, fino a fermarsi sulla nuca. «Per favore.» la fa sembrare quasi una supplica, mentre la mano affonda tra i capelli ancora umidi.

Costringe l'italiana nella stretta delle sue braccia, trattenendola come ad impedirle di scappare, appoggiandole la fronte su una spalla, imponendosi di non crollare, non un'altra volta. Passa un'infinità di tempo, prima che il calciatore si decida a parlare di nuovo. «Non ti avrei voluta coinvolgere in tutto questo, è che reagisco male quando... mi dispiace, Vittoria.»
«Non voglio parlarne.» mormora lei, scuotendo la testa mentre si allontana.

«E io non voglio che tu te ne vada così.»
«Non so cosa farci.» Vittoria scrolla le spalle, finendo di recuperare le sue cose ma Neymar si mette in mezzo, davanti alla porta. La chiude a chiave, anche. «Dai, Neymar, devo essere a Torino tra otto ore.»
«Appunto, il viaggio ne dura sei, puoi permetterti di prendere il treno tra due ore.»
«Va bene.» l'allenatrice appoggia per terra la borsa e si siede sul letto, a gambe incrociate.

«Perché non possiamo parlare?»
«Perché non ho niente da dirti.»
«Tu hai sempre qualcosa da dire.»
«Ti odio, Neymar, mi hai rovinato il sogno che avevo da bambina, quella medaglia, quel trofeo, quella partita, quello stadio che ci ha visti nascere, tutto, tutto. Stanotte mi sono svegliata perché ti ho sognato mentre mi dicevi che non avresti più voluto avere nulla a che fare con me.» Vittoria fissa il muro solo per un attimo.

«Che non avresti riconosciuto Aëla, che alla fine è stato un bene se siamo dovuti ricorrere all'interruzione di gravidanza, perché tu non vuoi un figlio con me, che mi avresti voluta vedere piangere prima a Berlino e poi a Cardiff, che mi avresti voluto esultare in faccia come il peggiore degli infami, per il solo gusto di farmi del male... cazzo, Neymar, saranno gli ormoni e tutto, saranno suggestioni, ma se una tua affermazione mi riduce così, tu per me non sei più un fidanzato, sei un incubo.» mormora, confessando ogni cosa.

«Con accanto una persona di questo spessore umano, non servono nemici. Grazie per avermi fatto pentire di aver pensato che avrei condiviso con colui che credevo sarebbe stato l'uomo della mia vita la notte che ho sognato più di qualunque cosa, che stronzo.» Vittoria scandisce ogni singola parola, senza mai abbandonare gli occhi di lui mentre parla. Ogni sillaba è una pugnalata a cuore e al cervello, se l'italiana voleva fargli provare il suo stesso dolore, be', c'è riuscita alla grande.

Gli ha parlato di sogni, gli stessi che lui ha tatuati addosso, per non scordarli mai, del loro legame, un legame che lui non credeva sarebbe stato in grado di costruire con nessuno al mondo. Gli ha parlato della loro figlia e del piccolino o della piccolina che non è mai stato, una ferita ancora aperta, della finale di Berlino, un giorno per entrambi indimenticabile, seppur non si conoscessero ancora e le motivazioni che lo racchiudono nei cuori siano diverse.

Gli ha parlato delle esultanze che hanno sempre condiviso, perché Neymar è fermamente convinto che, a seconda delle circostanze e delle partite, una percentuale del merito dei suoi gol spetti sempre a Vittoria, di incubi, quelli che lo tormentano da quando è appurato che la finale di Champions sarebbe stata tra Juventus e PSG e che li tormentano da quando la prima gravidanza è stata interrotta. Ha coniugato i verbi dell'ultimo periodo nel modo peggiore, passati su passati, infiniti, condizionali, indicativi, ogni lettera è una stilettata che gli mozza il respiro.

«Forse è meglio che tu vada.» Neymar trova la forza di tornare a guardare in faccia la realtà in un modo che sorprende lui stesso in primis, lasciandolo interdetto per un attimo. «L'offerta resta valida, se ti fa piacere che... insomma, se hai bisogno di un passaggio. So che i taxi ti piacciono il giusto.» riformula l'offerta a metà del discorso, è chiaro che, se le premesse sono quelle che sono, definirlo piacere è a dir poco esagerato. Vittoria annuisce e lo ringrazia, in poco tempo sono in stazione.

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