LIV. Cucinare

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Considerando tutte le competizioni, l'Inter ha vinto soltanto una delle ultime 15 sfide in casa della Juventus: 1-3 in campionato con Stramaccioni alla guida dei nerazzurri, il 3 novembre 2012. È questa frase che Vittoria ripete come un mantra ai suoi ragazzi, inizia a farlo il giorno in cui tornano i nazionali, non smette nemmeno durante l'intervallo della sfida alla milanese. La partita è subito nervosa, parte con un'entrata a gamba alta di Lautaro, che colpisce in faccia un incolpevole Locatelli.

Prosegue con un ingresso in ritardo di Rabiot su Barella, poi Locatelli centra D'Ambrosio, Perišić strattona Dybala, successivamente steso da Çalhanoğlu. In mezzo, la Juventus spreca 5 occasioni e l'Inter sbaglia un rigore, che Irrati fa ribattere. Le telecamere pescano Vittoria, che mastica, senza farsi vedere, un insulto nei confronti del direttore di gara: sulla respinta di Szczęsny, Çalhanoğlu s'è lanciato in area e, cercando di concludere in porta, ha commesso un fallaccio su Icardi, rimasto a terra.

L'arbitro però, avendo giudicato irregolare il penalty, non sanziona il turco, indica soltanto il dischetto. L'argentino si trascina fuori dal campo mentre Škriniar si becca un giallo per proteste, stessa fine che fa Cuadrado. Çalhanoğlu, intanto, fa 1-0. Durante l'intervallo, come se non bastasse, la Romy di cui Vittoria si lamentava con Neymar ripropone per l'ennesima volta il suo remix di L'amour toujours e a quel punto scoppia il delirio.

L'allenatrice se lo aspettava, a dire la verità, anche per questo ha elaborato un piano segreto assieme ad un inserviente dello Stadium: l'impianto sportivo è pieno, l'affluenza ed il deflusso dei tifosi dalle gradinate è più impegnativo del solito da controllare, lui ha strada libera. Accede alla sala di controllo ospitante i quadri elettrici dell'intero stadio ed abbassa l'interruttore generale, lasciando tutti al buio e seminando il panico tra chi, adesso, è a passeggio per l'impianto sportivo.

I cori degli interisti si troncano di netto, dalla curva bianconera, invece, un cellulare viene connesso ad una cassa portatile modificata affinché raggiunga un adeguato numero di decibel. Bello FiGo si aggiusta il cappellino e controlla che l'etichetta della sua maglia, la numero 10, sia bene in vista, quindi fa partire Sembro Juventus. Qualcuno grida di accendere le torce dei cellulari, gli ospiti si lanciano in una nuova, mirabolante, serie di insulti, relativa al fatto che "a forza di rubare, vi tagliano la luce".

Nel marasma generale, l'addetto al panico controlla il telefono, uno dei raccattapalle che soggiornano nei pressi dei nerazzurri è suo complice. Accende un riflettore e lo orienta nella maniera giusta, quella che accechi quanti più interisti possibili, mentre lo Stadium rimbomba di "tutti i miei amici Juventus, Juventus, io sembro Juventus, Juventus". Riaccende anche la luce negli spogliatoi, prima in quello dei padroni di casa, 5 minuti dopo in quello ospite.

È con una lentezza estenuante che torna ad illuminare l'intero stadio, protetto dal "vado io" dell'elettricista in servizio quella sera, uno juventino sfegatato, uno che gli ha spiegato come muoversi senza destare sospetti, come giocare con l'illuminazione, come lasciarli tutti al buio, come evitare lo scempio che è farsi gridare addosso l'ormai rituale "co-come mai".
«Meglio farsi prevedibilmente dare dei ladri o...»

«Fra', tutto è meglio che farsi insultare in casa per una canzone messa su dalla deejay che ha scelto la nostra stessa dirigenza. Ti pare che dobbiamo sentirci dire che non vinciamo mai la Champions? Quelli si sono qualificati quest'anno dopo 8 ere geologiche di nulla e ancora parlano, ma tacciano!»
«Speriamo di riuscire a ribaltare l'1-0, va'.»
«Sono abbastanza tranquillo: nel primo tempo praticamente non abbiamo giocato.»

«In effetti basterebbe scendere in campo.»
«Qualsiasi cosa faremo nel secondo sarà meglio.»
«Non avevo una grande considerazione della tipa quand'è arrivata, sai?» domanda all'amico, tornando con lui a guardare la ripresa del gioco da posizione privilegiata. Dice ad un paio di colleghi che è tutto a posto, quindi pianta gli occhi sul terreno di gioco. «Avevo tutti i miei pregiudizi sulle donne che si affacciano a questo mondo, oggi non sai mai se siano quote rosa o meritocrazia.»

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