«Andate, vi raggiungo in taxi.» il numero 10 del Brasile agitò una mano verso l'ultimo compagno di squadra con ancora i piedi – un piede – sul suolo russo, passandosi poi le dita tra i capelli. Era nervoso, lo si percepiva al primo sguardo, così come si percepivano i suoi tentativi di non fare alcuna scenata nel bel mezzo di quell'immenso parcheggio.«Neymar, sei il capitano.» Vittoria gli strinse una spalla, attirando nuovamente la sua attenzione.
«Sei venuta qui per farmi la morale o cosa?» gli occhi di lui saettarono sulle lenti scure degli occhiali di lei e vennero attraversati da un lampo di fastidio vedendo il proprio riflesso, dal quale traspariva tutto. Con uno strattone si liberò della presa di Vittoria, indietreggiando, stizzito, di un passo.«Quando non sai cosa dire spari cazzate o cosa?» la ragazza si staccò dal muro, cancellando la distanza che lui aveva messo tra di loro. Impiegò un attimo a portargli entrambe le mani sulle guance per baciarlo, più allo scopo di estirpare il germe di un litigio che avrebbe comunque messo radici che allo scopo di consolarlo. «Vai con loro.»
L'attaccante alzò gli occhi dall'asfalto per risponderle a tono ma le parole sembrarono morirgli in gola quando elaborò il modo in cui lei aveva pronunciato quell'ordine. Serrò la mano destra in un pugno dettato dall'insofferenza e le voltò le spalle, raggiungendo lentamente il pullman della squadra. Salì i pochi gradini con più voglia di morire che di vivere in corpo, beccandosi anche un'occhiata indispettita da parte dell'autista.
Tite gli dedicò una carezza paterna, ringraziandolo per non aver abbandonato la nave durante il naufragio e lui si ritrovò a puntare gli occhi oltre i vetri con un sospiro pesante: era Vittoria, sempre lei. Vedeva le cose da un altro punto di vista, anteponeva la squadra a tutto, facendo il suo bene e correggendo gli errori che avrebbe commesso prima ancora che li commettesse in maniera effettiva.
Una volta nella hall dell'hotel, Vittoria si buttò su una poltrona, facendo sobbalzare il cuscino di questa sotto il suo peso. Estrasse dalla tasca del trolley il MacBook Air, iniziando a rivedere e correggere bozze di rose, formazioni, reparti, schemi. Le dita si muovevano veloci ora sul touchpad, ora sulla tastiera, gli occhi rimbalzavano dallo schermo alla porta a vetri della struttura, dalla porta a vetri della struttura allo schermo.
Guardò Neymar dare una spallata a Douglas Costa che si mordeva un sorriso e gli circondava le spalle con un braccio, ringraziandolo per essere rimasto con la squadra, quindi deglutì, chiudendo il portatile ed appoggiando i gomiti sulle ginocchia non prima di essersi calata di nuovo gli occhiali da sole sul viso. Nessuno badava a lei, però Douglas la conosceva molto bene e, per quanto non fosse dell'umore, l'avrebbe potuta identificare in un battere di ciglia.
«Ultimo piano.» il numero 10 del Paris Saint-Germain e della nazionale brasiliana le passò davanti, senza fermarsi né guardarla, come facevano sempre quando non volevano addosso gli occhi della gente. La sua voce era fredda ma meno di prima, alla fine le doveva un minimo di riconoscenza: l'aveva indirizzato sulla strada giusta, ancora una volta. «Voglio dormire, stanotte. Parliamo domani.» aggiunse, lasciando che ad occupare l'ascensore fosse chi era sceso dal pullman prima di lui.
La mattina seguente, Vittoria fu la prima a svegliarsi. Mise l'acqua a scaldarsi nel bollitore, quindi si concesse la doccia che non aveva fatto la sera precedente. Si legò la cintura dell'accappatoio in vita, guardando le volute di tè arabescare l'acqua bollente, poi prese la tazza e si andò ad affacciare al balconcino della camera. L'aria frizzante le accarezzò i capelli mentre beveva a piccoli sorsi il suo infuso aromatico.
Notò come le strade fossero più affollate della sera precedente, nonostante stesse iniziando a piovere, e sorrise pensando a quanto lei e Neymar fossero diversi: se per lui aprire gli occhi e vedere grigio era una vera e propria tortura, per lei era tutto l'opposto. Passò le dita della mano libera dalla tazza tra i capelli del sudamericano, che l'aveva raggiunta e le aveva stretto le braccia intorno al corpo, quindi fece per prendere la parola ma lui la precedette.
STAI LEGGENDO
𝟙𝟘 | 𝕁𝕦𝕧𝕖𝕟𝕥𝕦𝕤 𝔽ℂ
FanfictionNon arrivi a condurre una squadra all'apparenza senza speranza verso la gloria eterna per caso. Entrata dalla porta sul retro come un generico Signor Nessuno. Una delle tante, diventata presto l'idolo di tutti.