XXVII. Ragazzino, io faccio sempre gol

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«Quindi oggi Fiorentina-Udinese e poi derby della Capitale?» Valentino soffoca uno sbadiglio, stiracchiandosi tra le lenzuola. Wanda ha deciso di rimanere a Torino un giorno in più, al che Vittoria ha lasciato che fosse il più piccolo a scegliere cosa fare: nonni o sesta giornata di campionato? Sesta giornata di campionato.
«Spero soltanto che quelli di Amazon Prime non scoccino troppo...» l'allenatrice abbina ad un paio di pantaloni della tuta bianco panna una felpa lilla.

Nell'accordo che la società e la squadra hanno firmato con i produttori di All or nothing è previsto che, nel caso in cui non ci siano turni infrasettimanali, venga realizzato un episodio della serie incentrato sulla quotidianità. Oggi tocca a Vittoria che, avendo la Juventus giocato di sabato, non deve nemmeno impegnarsi per trovare qualcosa da fare: c'è il campionato, questo basta.
«Sopravvivo ai servizi fotografici della mamma, sopravviverò anche ad un paio di telecamere.»

È questa la frase con cui si apre la puntata dedicata a Vittoria, che ride e cinge le spalle di Valentino con un braccio, raggiungendo insieme a lui la sala per le colazioni. Si siedono ad un tavolino in terrazza, la vista sulla Cattedrale di Santa Maria del Fiore illuminata dai primi raggi del sole è spettacolare.
«Iniziamo con le domande serie: qual è il tuo supereroe preferito?» il ragazzino beve un sorso di succo d'arancia, poi le rivolge la parola.

«Mi è sempre piaciuto Batman. Criminals are a superstitious cowardly lot. So my disguise must be able to strike terror into their hearts. I must be a creature of the night, black, terrible...» recita lei, come se fosse su un palcoscenico.
«Perché proprio Batman?»
«Perché c'è e non c'è, perché gira di notte, perché arriva sempre al momento giusto... decisamente lui, sì.» Vittoria annuisce, rimarcando la sua scelta.

«Il cartone animato che guardavi da piccola?» domanda Valentino, soddisfatto della risposta.
«Occhi di gatto. Quando poi, nell'aprile del 1999, ne sono arrivati in Italia i manga, ho iniziato anche a leggere di loro. Il mio personaggio preferito è Kelly, mi piace che sia un punto di riferimento per le sorelle minori, una sorta di seconda madre, e che sappia gestire con freddezza quasi tutte le situazioni.» risponde la più grande, a botta sicura.
«Avevo meno 10 anni.» Valentino ride.

«Non dirmelo così: già potresti essere mio figlio, se poi me lo ricordi anche vado direttamente a seppellirmi!» protesta Vittoria, divertita.
«Certo, certo.» il sudamericano alza gli occhi al cielo, proseguendo con le domande generiche. La ragazza ha chiesto alla troupe se potesse essere lui l'interlocutore della chiacchierata, in modo da rendere la conversazione meno impersonale e, soprattutto, da non isolarlo completamente. Terminata la colazione, si lavano i denti e chiudono i bagagli, quindi si avventurano per Firenze.

«La maggior parte delle felpe che compro ha il cappuccio. Non lo faccio per nascondermi, ma per ritrovarmi. Camminare indossandolo equivale un po' a vivere dentro al mio mondo.» commenta la più grande, dopo aver firmato un paio di autografi e scattato qualche foto con alcuni tifosi. «Penso di essere una persona abbastanza atipica per chi mi guarda da fuori. Complicata, forse. Ho sviluppato certi atteggiamenti, nel corso degli anni, per i quali appaio indifferente nei confronti delle cose.»

«In realtà non è così, vi faccio un esempio stupido: quando arrivo alla Continassa o allo Stadium e mi fermo a firmare autografi, c'è sempre qualcuno che mi dice di sbrigarmi, altrimenti non facciamo in tempo, solo che io non riesco a non chiedere alla persona almeno il nome, come stia e come mai sia lì.» dice Vittoria, allontanandosi una ciocca di capelli dal viso. «Poi, a volte, mi danno dei regali e io non me lo aspetto, è una cosa che non riesco a capire. Ho uno scaffale con tutti i peluche che mi hanno regalato negli anni, a casa, è bellissimo.»

«A proposito di peluche, che bambina sei stata?»
«Non lo so, normale, credo.»
«Non te lo ricordi?»
«Sì, me lo ricordo. Mi piaceva giocare a calcio, in porta. Non so se sarei stata più brava in altri ruoli, finivo sempre lì. Ho iniziato a giocare a calcio perché ho capito che, per fare amicizia, dovevo praticare uno sport o, comunque, uscire dal mio bozzolo. Andare al campetto vicino a casa di mia nonna era il modo migliore per legare con le persone.»

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