XX. L'omega che scavalca l'alfa

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Una volta a cena, Vittoria si sente nauseata alla sola vista del cibo. È una questione psicologica, più che fisica: finché si disputava Napoli - Juventus e quanto ad essa collegato, poteva concentrarsi su altro, adesso la sua testa è completamente focalizzata sul giorno seguente. Fa del suo meglio per mantenersi professionale, scherza con i ragazzi, chiacchiera con lo staff, sorride nelle foto dei tifosi, come se nel suo cervello non stesse già accadendo quello che accadrà a breve.

È seduta vicino a Paulo, che si accorge di questo suo essere troppo restia nei confronti del cibo e cerca in ogni modo di farle mangiare qualcosa, operazione che lei si rifiuta categoricamente di compiere, imputando tutto alle nausee da gravidanza. «Almeno un sorso d'acqua.» l'argentino le allunga una bottiglia. L'allenatrice ignora il suo tono preoccupato e ne manda giù mezzo bicchiere, poi si alza con la scusa del bagno, che funziona e non funziona: si ritrova incolonnata dietro un gruppetto di ragazze che sghignazza per un post su Instagram.

Impiega meno tempo del previsto a cambiare idea e tornare indietro, hanno quasi finito di cenare e lei non ne può davvero più. La sua mano e quella di Neymar, le dita intrecciate su quello che sarebbe potuto essere e non sarà mai loro figlio, la guardano dallo schermo dell'iPhone e le fanno cambiare nuovamente idea, ma ormai è troppo tardi per tornare indietro: Paulo l'ha vista ed i suoi occhi non promettono nulla di buono. A differenza degli altri, l'argentino ha letto, l'argentino sa.

Vittoria pensava, sperava, che l'euforia per il successo sul Napoli orientasse la squadra verso i festeggiamenti, distogliesse i suoi dalla lettura, almeno momentanea, dei resoconti della partita, dei commenti, delle opinioni. Si sbagliava. Paulo è contento, certo, ma si è fatto male e questo cambia tutto nel suo approccio ai festeggiamenti. Se gli altri ridono e scherzano, lui ha un motivo socialmente accettabile per starsene sulle sue e lo sta sfruttando appieno. Qual è il piano di Vittoria, ora, mentre torna a sedersi? Fare finta di niente? Non funzionerebbe, non con Paulo su tutti.

«¿Cuándo? (Quando?)» le chiede semplicemente il 10, accarezzandole una mano.
«Mañana. (Domani.)»
«Lo siento. (Mi dispiace.)»
«Así es la vida. (La vita è così.)» Vittoria punta gli occhi sul resto della sala, senza dire altro. Trascorre ancora qualche minuto prima che senatori e staff decidano che è ora di rientrare a Torino.

In treno, l'allenatrice si siede in un posto totalmente casuale e Paulo la segue. Quegli occhi puntati costantemente sul nulla lo preoccupano, normalmente Vittoria dorme o, quantomeno, finge di farlo, se non vuole parlare. Oggi, invece, si tortura il labbro inferiore tra i denti fino a farlo sanguinare, lo scopo è stupido, trattenere delle lacrime che sono sempre più vicine a sfuggire al suo controllo, ma le sembra di vitale importanza.

L'attaccante la costringe a smettere quando si accorge del male che si sta infliggendo da sola e la richiama, allarmato ed incapace di intervenire con prontezza: non ha mai avuto a che fare con una ragazza in lacrime, fatta eccezione per sua nipote Dolores che, comunque, non si è mai rivolta a lui in casi analoghi. Non ha idea di come gestire la situazione, non si è mai preso cura di una ragazza piangente, di nessuna gli è mai importato abbastanza e, quando gli importava, estirpava il problema alla radice, evitando di arrivare al punto di far piangere l'altra persona.

«Dimmi cosa fare.» quasi la supplica, attirandola a sé e stringendola tra le sue braccia.
«Niente, Paulo, va bene così.» Vittoria si asciuga le lacrime e torna in posizione eretta, dedicandogli un sorriso strano, per certi aspetti simile a quello che ha visto tante volte sul volto di sua madre Alicia quando parlavano di papà. «Me lo sentivo, sai? In fondo l'ho sempre saputo, ma non sono mai stata pronta a rendermene davvero conto.»

«Saresti potuta rimanere a casa, ce la saremmo cavata ugualmente.» il ragazzo la guarda.
«Ho visto come ve la sareste cavati.» ride lei, accettando la chiamata di Neymar.
«Vittoria?» domanda il brasiliano, flebilmente, rientrando in casa dopo la sconfitta inflitta al Clermont. Appoggia le chiavi e si infila il telefono in tasca, molla lo zaino in camera e lo sostituisce con il borsone che aveva preparato prima di partire per il Parco dei Principi, prende in braccio suo figlio, addormentatosi sul divano poco prima.

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