Capitolo 72

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Blake

Preso dalla rabbia, scaravento la bottiglietta d'acqua contro il muro talmente forte che per poco non mi si stacca il braccio.

Non bado agli occhi puntati su di noi e a quel che mi sta dicendo il barista, al contrario di Will, che chiede scusa ai presenti e si guarda intorno a disagio.

«Siamo in un bar dell'aeroporto dannazione, calmat-» lo guardo truce e lo interrompo subito. «Non dirmi di calmarmi dopo avermi detto che la mia ragazza è stata quasi violentata da un fottuto pazzoide, ok?» digrigno i denti nel vano tentativo di mantenere l'autocontrollo, ma è una causa persa.

La rabbia si impossessa di me, nera, terribile e violenta. Il sangue ribolle nelle mie vene al solo pensiero di quel che le ha fatto quel maledetto stronzo. Non ho mai sentito il bisogno di strangolare qualcuno con le mie stesse mani come ora.

Sono atterrato circa dieci minuti fa, siamo ancora in aeroporto in un bar.

Mi ha anche detto che hanno passato il resto della mattinata in caserma per denunciare l'accaduto, e che sono usciti solamente un'ora fa.

«Lo capisco, ok? Ma lei ha bisogno te e non della parte peggiore di te» mi rammenta il motivo per cui mi ha chiamato.

«Non ci riesco, non riesco a stare tranquillo sapendo che un bastardo del cazzo le ha messo le mani addosso» mi alzo bruscamente dalla sedie, che si schianta per terra, ed esco fuori dal bar mentre alcune persone mi osservano sdegnate dal mio atteggiamento. Che si fottano.

«Porca puttana» sbotto. Passando davanti alle vetrine dei negozi sferro un pugno contro una distributore di snack, ammaccandomi le nocche. Per quanto sono fuori di me, non bado nemmeno al dolore alla mano.

Il rumore del metallo riecheggia forte, mentre supero il distributore e continuo a camminare cercando inutilmente di placcarmi.

Sono in piena collera e mi sento così impotente, come se fossi un leone feroce in gabbia che non vuole far altro che azzannare la sua preda.

Lei ora come sta?
Non sono pronto a vederla a pezzi, mi sento morire al solo pensiero di vederla star male.

«Dannazione Blake, ti vuoi calmare!» sento dirmi da Will, che probabilmente mi sta seguendo.

«Non mi calmo, ho bisogno di averlo tra le mie mani per quel che le ha fatto per calmarmi»

«Siamo andanti dalla polizia per fargliela pagare» farfuglia Will, venendomi dietro. Mi fermo di scatto e mi volto verso di lui «A modo mio, Will. Ho bisogno di fargliela pagare a modo mio» preciso serio, guardandolo dritto nelle sue iridi azzurre.

Ho bisogno di infliggergli tanto di quel dolore, di farlo a pezzi con le mie stesse mani, tanto quanto il male che mi ha procurato le sue luride mani addosso a lei. Cazzo, al solo pensiero della mia bimba tutta sola e indifesa contro quel fottuto psicopatico, mi fa uscire di testa.

«Cos'hai in mente, sentiamo? Non possiamo entrare in casa e torturarlo» il mio sguardo saetta nel suo.

«È a casa sua, non in prigione?» Pensavo fosse in carcere, non a casa sua tutto solo, soletto. Lui annuisce, corrugando la fronte confuso. «Non hanno abbastanza prove per metterlo dentro»

«Sai la via di dove abita?» chiedo.
«No, ma potrei procurarm...oh, aspetta un attimo, che diamine vorresti fare?» mi domanda sospettoso, appena intuisce le mie intenzioni.

«Andiamo a fargli una visita, fatti inviare la via» gli ordino marciando fuori dall'aeroporto.

«Andiamo? Io, quindi, sono compreso nel tuo piano? Dovrei preoccuparmi?» replica agitato. Sento i suoi passi pesanti e rumorosi dietro di me, segno che mi sta seguendo. Se non vuole venire pazienza, andrò da solo.

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