Capitolo 23

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Ero così stanco che l'idea di andare al cinema mi faceva cascare le palle sul pavimento

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Ero così stanco che l'idea di andare al cinema mi faceva cascare le palle sul pavimento.

Avevo appena finito di lavorare e avevo imboccato la strada per tornare a casa, non vedevo l'ora di buttarmi sotto la doccia e poi sul letto ma sfortunatamente non potevo realizzare il secondo desiderio, dovevo accontentarmi della doccia. Fortunatamente oggi Omar, mi aveva lasciato uscire prima dato che non c'era molto da fare, così avevo tempo per tornare a casa e togliermi di dosso il grasso e il sudore che avevo addosso.

Questa mattina, quando avevo visto Alexa con Shane, era stato un po' come tornare ai vecchi tempi, aspirare una boccata d'aria d'infanzia, anche se non ero riuscito a dirle a parole quanto mi fosse mancata o semplicemente mostrarle quanto ero felice nel rivederla. Fortunatamente sia lei che Shane, mi conoscevano meglio di chiunque altro per rimanerci male davanti al mio atteggiamento. Odiavo essere una persona troppo introversa, non riuscivo mai ad esprimere né parole né a gesti quello che provavo, mi faceva sentire come se fossi bloccato; come se stessi vivendo per metà.

Arrivai a casa e mi trascinai spedito in bagno per farmi una doccia: puzzavo di sudore ed ero sporco di grasso.

Girai il rubinetto dell'acqua calda e, intanto che l'acqua si riscaldava, tolsi le lenti a contatto e i vestiti sporchi infilandoli nella cesta dei panni sporchi.

Entrai in doccia e il getto dell'acqua calda colpì il mio viso e scivolò lungo il mio corpo, dandomi una piacevole sensazione di benessere. L'acqua calda e il vapore sciolsero la tensione del mio corpo, dipanarono i nodi dei miei muscoli. Me ne stavo sotto il getto come in trance, mentre guardavo i rivoli d'acqua che scorrevano lungo il mio corpo stanco.

Una doccia calda equivale a liberare la mente, a non pensare a nulla e godersi questi attimi di pace. Invece io sotto la doccia iniziavo a pensare più di quanto avrei voluto: tipo quanto la mia vita facesse schifo, al perché non mi lasciavo andare e vivere la mia vita come un ragazzo di diciott'anni, e non come uno di trent'anni che sorrideva a stendo, quasi mai. Mi sembrava di non star godendo a pieno la mia adolescenza, odiavo fare le cose che per gli altri erano essenziali nell'adolescenza di qualsiasi mio coetaneo; tipo le discoteche, le odiavo. Star a contatto con gente sudata e ubriaca non faceva al caso mio, preferivo di gran lunga guardare un film a casa, se ci andavo qualche volta era solamente perché mi costringeva Davina. Pensare che odiava anche lei le discoteche fino a qualche mese fa, invece adesso sembrava amarle e beveva come una spugna, un'altra cosa che io detestavo fare. Una sola volta mi ero lasciato andare all'alcol ed era stato solamente un modo invasivo per non pensare alla morte di mio padre, volevo scappare anche se per un attimo dalla brutta realtà che mi circondava. Non avevo drammi adolescenziali, non fumavo marijuana per farmi il figo, ero una persona quasi del tutto associale, anonima oserei dire. Da una parte mi piaceva esserlo ma dall'altra parte non era tanto piacevole sentirsi escluso.

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