23.

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•𝙹𝚊𝚖𝚎𝚜•

𝙳𝚞𝚎 𝙶𝚒𝚘𝚛𝚗𝚒 𝙳𝚘𝚙𝚘.

Finalmente, posso dichiarare concluso il mio percorso in ospedale, e la mia corsa contro le avversità che cercavano un pretesto per buttarmi giù.
Hanno voluto controllarmi per altre quarantotto ore e Ariel non si è mai allontanata da me, nonostante la stanchezza che era visibile anche a milioni di chilometri di distanza.

La mia migliore amica, insieme a mamma e a papà, ha voluto accompagnarmi a casa.
Ariel ha visto mio padre Jason, ma non ha avuto possibilità di farci un discorso.

Hanno parlato solo ed esclusivamente della mia situazione, e del fatto che appunto, stesse andando meglio.

«Vuoi qualcosa da bere?» È la domanda di Ariel, appena sistemato sul divano.
Punto i miei occhi nei suoi.
«Voglio che ti sieda al mio fianco»
Annuisce, forse titubante di farmi del male con un minuscolo movimento.
Ma io, da lei, non potrei mai sentire alcun tipo di dolore.

«Vi preparo io qualcosa» Si avvicina mamma, lasciandomi baci sulla guancia.
«Cosa?» Chiede la mia migliore amica.
Evidentemente sta tralasciando il fatto che sia stata mia madre a mangiarmi per primo.

Questo pensiero mi fa ridere.

«Una bellissima cioccolata calda. E se te la senti, James, domani sera si festeggia il tuo ritorno a casa. Abbiamo rischiato di perderti»

Persino mio padre si avvicina per stringermi forte.
Lui è rimasto in ospedale anche quando non aveva orari, ma l'ha fatto per me.
Era davvero preoccupato, ed io mi sento incolpa per aver permesso che succedesse qualcosa di così brutto.

«Papà perché non vai a riposare? Mi sei stato dietro per giorni, anche quando eri fuori orario e non ti permettevano di entrare. Credi che non lo sappia? Sei rimasto in sala d'attesa, per il semplice fatto che permettevano a mamma di stare con me, solo ed esclusivamente perchè la mia era una situazione delicata o altrimenti sarei stato da solo»
Ammetto, rivelando quello che so.
Non sono rimasto proprio all'oscuro di tutto quello che è successo.
Qualche frase me la ricordo appena.

«James, tu sei mio figlio. Nonostante non mi permettevano di vederti, se non durante gli orari di visita e il mio turno lavorativo, io desideravo restarti accanto, perchè avrei dato la mia stessa vita per te. Mi sono sempre chiesto perchè tu si, e io no. Ho implorato Dio di darmi il tuo dolore, ma non è stato possibile. Se un domani tu sarai papà come me, capirai perfettamente queste mie parole»

Papà mi colpisce ogni volta.
Sono cresciuto in una famiglia che tiene a me per davvero, e che non mi ha mai giudicato per le scelte che ho preso.

«E poi, a proposito di festa. Domani devi presentare la tua migliore amica a tutti»
Sorride, sapendo alla grande che cerca solo ed esclusivamente di provocarci.

Sa bene che tra me e lei c'è qualcosa.
Io ancora non ci credo.
Non posso credere che mi piaccia la mia migliore amica di una vita.

«Domani farò capire a tutti il loro posto»
Le parlo, osservando attentamente i suoi bellissimi occhi castani, ma profondi come l'oceano.
«È una minaccia, signor James?» Mi risponde a tono, facendomi l'occhiolino.
«Fai conto che lo sia» Le rispondo poi allo stesso modo, ricambiando il
suo gesto, che mi fa sorridere come se fossi alle prime armi.

«Bene, piccioncini, io raggiungo Josephine e l'aiuto con la cioccolata calda che sta preparando per voi. Poi vado su in camera, perdonatemi»
Continuo a sentirmi incolpa.

Papà non ha chiuso occhio quando poteva benissimo farlo.
Ha scelto di sorvegliare me, anche se a distanza, restando in sala d'attesa.

«Papà lascia perdere mamma e vai direttamente su, a riposare. Non penso ti dica nulla, conoscendola»
«James, lascia perdere tu. Stai buono qui e rilassati insieme ad Ariel, fra poco io e la mamma torniamo» Mi bacia la fronte.
Si allontana un secondo dopo, lasciando me e Ariel soli in salotto.
Lei si poggia con il viso sulla mia spalla.

«Ti rendi conto, Ariel? Mi trovo in una situazione del genere solo per colpa mia»
«La smetti di accusarti? Non hai mica deciso tu di avere quest'incidente»
Mi parla a bassa voce, non volendo far sentire la nostra conversazione.
E lo apprezzo.

«Ariel...»
«Anch'io non posso fare sforzi, e mi sento tremendamente incolpa. Eppure lo sai che qualcuno mi ha detto di non darmi la colpa perchè non ho deciso io che accadesse questo?» Si indica.
Parla con le lacrime agli occhi, ed è una delle cose che ho notato di lei.
Da quando ci siamo ritrovati, è diventata più sensibile.

Anche se non ho idea di come fosse prima di rivedermi.

«Ma perchè è la verità»
«Anch'io ti dico la verità, Jam. Non ti accusare, te lo chiedo per favore»
L'ascolto, restando in silenzio per qualche secondo esatto.

All'improvviso, le domando qualcosa.

«Ti sei mai chiesta perchè tua madre adottiva ti ha rovinato la vita?» Ariel sembra presa da quella domanda.
Non risponde subito, è persa con lo sguardo altrove.

«Si, e me lo chiedo tutt'ora, James. Ho sempre desiderato una famiglia, e tu lo sai meglio di chiunque altro. Appena mi hanno rivelato che mi avrebbero presa in custodia, ho fatto i salti di gioia. Ma ho sbagliato a reagire in questo modo, e sai perchè, James? Perchè sono entrata nella casa del diavolo senza
esserne consapevole»
Quelle parole mi provocano dolore.
Con esattezza, al petto.

«Dovevi essere felice»
«Non lo sono mai stata, ma come ha detto tuo padre, ho implorato Dio che quella felicità arrivasse un giorno»
«Ed è arrivata?» Ancora una volta, le punto i miei occhi nei suoi.

«Vuoi sentirti dire se sono felice di averti incontrato, James?»
«Se sei felice, Ariel, ora come ora»
«Lo sono. Ho te al mio fianco, ho la mia migliore amica. Non posso chiedere niente di meglio al mondo»

Così decido di poggiare le mie labbra sulle sue, desiderando un contatto.
Veniamo interrotti dai miei genitori, che si portano le mani sui loro occhi dopo aver assistito alla scena.

Ariel si imbarazza, e si nasconde con il viso nell'incavo del mio collo, mentre io scoppio a ridere, senza smettere.

«Le vostre cioccolate. Non vi preoccupate, adesso vi lasciamo da soli»
Ride mamma, posando le tazzine difronte a noi.
Papà l'accompagna.

Restiamo di nuovo da soli.

«Che figura di merda» Rido ancora.
Anche lei non riesce a non ridere.

Poi però torno serio, avvicinandomi il più possibile a lei.

«Dov'eravamo rimasti?» Le mormoro.
Lei si stacca.
«Se dovessero tornare?»
«Non torneranno, mamma ha accompagnato papà in camera. Siamo soli, per adesso» Mi porto la lingua tra i denti, prima di morderle il labbro inferiore con delicatezza.

«Sei bellissima» Ammetto, infilando la lingua nella bocca calda di lei.
Con entrambe le mani, riesco a tirarla verso di me, posizionandola a cavalcioni.

Ci fermeremo presto, credo.
Spero.

𝙳𝚞𝚎 𝙲𝚞𝚘𝚛𝚒 𝙸𝚗 𝚄𝚗𝚘.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora