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•𝙹𝚊𝚖𝚎𝚜•

Mi domando se i miei occhi non riescono a trasmettere quello che a parole dico.
Forse il mio sguardo non viene compreso fino in fondo.
E fa male, perché non può capire nessuno quanto io sia profondamente legato a questa ragazza.
Non soltanto per via del passato che
ci accomuna, ma anche per quello che abbiamo passato insieme in
questi giorni, che sono stati una vera e propria sfida per me.

O probabilmente per noi.
Non sono stato l'unico a lottare contro il tempo e contro la distanza.

Ariel non aveva alcun tipo di certezza.
Credeva fossi partito per Los Angeles e non posso darle torto, quando di mezzo c'è la donna che mi ha cresciuto.
Però, fortunatamente tutto si è risolto al meglio e quella convinzione, ha lasciato il suo cuore, che però, continua ad avere dubbi e incertezze.

È normale mettere in dubbio quello che provo per lei?
Pensare che io non provi nulla.

«Sicuro sia solo il dolore alla testa? Sei pallido in viso, James» Quasi ho dimenticato il dolore che quella conversazione con lei mi ha procurato.
Mia madre sembra essere davvero in pensiero per questo mal di testa arrivato all'improvviso, così come mio padre.
Ariel invece, prova sensi di colpa.

«È solo questo, mamma. Se ci fosse stato altro l'avrei ovviamente detto» Affermo.
Non voglio che Ariel si senta incolpa a causa di alcuni suoi pensieri.
È qualcosa che, evidentemente, sarebbe successa a prescindere.
È capitato nel momento sbagliato.

Ma sarebbe successo comunque.
È il destino che parla.

«James, dammi il polso, per favore»
Provo ansia, ma eseguo.
Papà prova a trasmettermi tranquillità con soltanto gli occhi, che di solito sono il metodo di comunicazione più efficace.
Faccio lo stesso con Ariel, che non ha aperto bocca per tutto il tempo.
Odio vederla così.

«Hai i battiti pochetto lenti. Dovresti riposare un po', James, e non avere conversazioni che potrebbero cambiare il tuo stato d'animo» Comunica quello che percepisce da me, facendomi annuire un attimo dopo.

«Ariel, lo affido a te. Cerca di farlo riposare e per favore, rimandate a dopo le conversazioni forti»
Ariel non se lo fa ripetere due volte.

Quando i miei genitori ci lasciano da soli per l'ennesima volta, mi posiziono meglio sul divano per trovare una posizione comoda.
Ariel in tutto ciò, mi posa una coperta sul corpo, volendo coprirmi.
Non mi parla ed è brutto vederla ridotta in questo stato.

La colpa non è di nessuno dei due.

«Sdraiati accanto a me» Nega immediatamente col viso, sistemando il cappotto sulla sedia.
Mia madre e mio padre hanno preferito non fare domande, per come li conosco.

«Ariel... Per favore, non ho bisogno di questo ma ho bisogno di te» Continua a rimanere in silenzio, mentre riprende a sorseggiare la sua cioccolata.
Delicatamente, mi sollevo.
Voglio raggiungerla, ma la mia testa non collabora per nulla.

«Dove vuoi andare? Sdraiati» Parla immediatamente, dopo aver notato il mio movimento per arrivare da lei.

«Ariel, non devi sentirti incolpa. È una conversazione che avremmo dovuto affrontare prima o poi, sai benissimo che è cosi. È successo solo nel momento sbagliato, ma non te ne faccio una colpa perchè avevi diritto di capire. Ho sclerato perchè hai messo in dubbio quello che sento per te, e io non posso accettarlo, perchè quello che ho detto a te non l'ho mai detto a nessuna. Tu eri presente in ospedale, Phoebe no. E secondo te, ti avrei confessato che mi piacevi se pensavo a lei?» Le parlo in totale calma.
Cerco di spiegarle il mio punto di vista.

«Forse sono stata soltanto il tappabuchi»
«Mi fa male che tu possa anche solo averlo pensato, ma capisco perchè hai creduto questo. Non hai vissuto una bella relazione e hai bisogno di rassicurazioni, che ti prometto avrai»

Ariel continua ad annuire col capo.
Le indico poi di sistemarsi al mio fianco ma qualcosa glielo impedisce.
La voglia di baciarmi.
Infatti, sistema le sue labbra sulle mie.

«Scusami»
«Sta zitta e baciami»

Ed è così che si risolvono le discussioni.
Prima col dialogo, poi con il contatto.
Non c'è modo migliore per sentire vicino qualcuno che ha dei forti dubbi.
Devi convincerla in ogni modo, capendo la motivazione del suo problema.
Comprenderla fino in fondo, perché amare davvero significa questo.

Veniamo però interrotti dal campanello della porta.

«Aspettavate qualcuno?»
«No, ma non voglio vedere nessuno»
«Sei sicuro?»
«Voglio stare con te, Ariel»

Riprendiamo a sfiorarci con la bocca.
Il campanello suona ancora.
Sentiamo mia madre raggiungerci, e ci allontaniamo giusto in tempo.
Avremmo fatto l'ennesima brutta figura davanti a lei.

«Non siete andati ad aprire?»
«No, mamma. Non voglio vedere nessuno e se hai intenzione di far entrare chiunque ci sia fuori, andate in cucina per favore» Spiego.

Non mi sento un granché bene e ho bisogno di riposare, sentendo Ariel più vicina che mai.
Mamma nota dallo spioncino di chi si tratta e con lo sguardo comprendo.

«Phoebe» Parlo a bassa voce, rivolgendomi ad Ariel.

Beh, non è facile dirle che la motivazione della nostra discussione si trova fuori alla porta di casa mia.
Probabilmente per vedermi.

«Ah»
E lei non ha torto.

Mamma apre la porta.
Prova a piazzarsi davanti, non mostrandole me ed Ariel in salotto.

«Portami via di qui» Mormoro alla ragazza che mi piace.
«Come?»
«Ariel, voglio andare in camera mia»
«Sicuro? Con la testa che gira non è facile muoversi»
«Ariel, conoscendo Phoebe non si fermerà finché non mi troverà. Se mamma non ci vede in salotto, capisce che siamo andati in camera mia e troverà una scusa convincente. Però dobbiamo muoverci, ti prego»

Accetta, e delicatamente mi aiuta.
Mi sollevo dal divano, restando di poco poggiato su di lei.
Camminiamo silenziosamente verso la mia camera, e riesco a gettarmi velocemente sul mio letto.
Mancava poco e perdevo i sensi.

«James, non è normale tutto questo»
«Che intendi?»
«Stavi per cadere a terra, e io come ti avrei raccolto? Avevi detto che avevi solo mal di testa, e ovviamente anche i giramenti di testa. Ma questo senso di svenire non l'hai detto»

Non ha torto.
Ma non ho parlato per non mettere preoccupazione in più su di lei.
So già che si sente incolpa, ed io mi accuserei a mia volta se lei dovesse continuare ad accusarsi.

«Scusami, Ariel»
«Che altro senti, James?»
«Nausea»
«Vuoi andare in bagno?»
«No. Non adesso»
«James, devo chiamare tuo padre?»
«Ariel... No, sta buona»
«Sono preoccupata»
«Ti prego, sdraiati al mio fianco»

Provo a chiudere gli occhi.
Magari è semplicemente stanchezza dopo una forte agitazione.

Percepisco la mia Ariel molto più preoccupata di quello che può sembrare all'esterno.
E posso immaginare soprattutto che stia morendo dalla voglia di chiamare mio padre per un controllo.

Ma io sto bene.
Devo stare bene per forza.

𝙳𝚞𝚎 𝙲𝚞𝚘𝚛𝚒 𝙸𝚗 𝚄𝚗𝚘.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora