III

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«Non avevi attacchi da un po'».

Niko sapeva che non era quella l'intenzione di suo padre, ma non riuscì a non percepire un che di accusatorio, in quella frase. Represse il forte impulso di giustificarsi e chiedere scusa infilandosi le unghie in un braccio.

Era quello il suo modo consueto di agire: plateale, drammatico, alla costante ricerca di un dolore che potesse azzittire le sue parti peggiori.

Al telefono suo padre gli sembrava distante, teso. Forse, pensava Niko, quello era il suo modo di mantenere il controllo.

Aveva già vissuto gli episodi di epilessia del figlio, gli erano familiari, ma saperlo lontano da lui, insieme a sua madre, doveva averlo messo eccessivamente in allerta.

Ognuno ha i propri personali piani di salvataggio.

«Sì, ma è andata bene. Non ero a casa, stavo smontando dall'ospedale e Leon mi ha aiutato».

«Leon?».

«Sì, è un amico, fa il tirocinio all'ospedale».

«Mmh. A proposito dell'ospedale, dato che sono ritornati gli attacchi...».

«Non sono ritornati, ne ho avuto solo uno».

«Sì, ok. Ma non lo sai se si ripeteranno».

«Starò attento».

«Dico solo che potresti fare una pausa con il volontariato adesso».

«E io ho detto di no. Me la vedo io, grazie. Ciao, papà».

«Aspetta, passami Sar...».

Riattaccò.

Non aveva voglia.

Non aveva voglia di niente.

L'attacco lo aveva spaventato più del previsto, non tanto per la forza ma per l'imprevedibilità.

Credeva...

Che stupido.

Aveva creduto per un attimo che tutto potesse davvero andare bene.

Leon lo aveva invitato a fare degli esami. Aveva deciso di farli, ma non si aspettava nulla di nuovo.

Aveva passato buona parte della sua vita in camere asettiche, tra macchinari e cannule nasali, a sentirsi dire che era un bambino forte e poi un ragazzino forte.

Era l'uomo a non essere più così forte. Si mise sul letto e rigirò, provando a chiudere gli occhi.

Ci riuscì esattamente per venti minuti, poi a casa ci fu il caos.

***

«Cosa stai facendo, ma'? ».

Sarah, sua madre, sbraitava in cucina, arrabbiata per qualcosa. Apriva il frigorifero, la dispensa, parlando tra sé e sé in modo sconnesso.

Lo sguardo era spento, ma le pupille viaggiavano nervose.

«Gliela faccio pagare... a quella stronza, come si permette...chi cazzo è lei per dire... come...perché se io non avessi...».

Niko bloccò la mamma. Un odore acre e molto forte investì il suo viso.

«Eri a lavoro? Cosa è successo, dove hai preso da bere? ».

La donna si divincolò.

«Sì, ero a lavoro! Ero a lavoro a farmi il culo come sempre, e quella stronza di Hilde, porca puttana...».

«Che ha fatto? ».

Poi, il dubbio.

«Eri ubriaca? ».

CENERE A GODGRAVEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora