TW vari: scene riguardanti punture d'ago/iniezioni/sangue; scene esplicite di rapporti tra adulti; episodi di violenza. 

Quella stessa notte ignorò ogni possibile raccomandazione avanzata dalla signora della reception, e decise di uscire dalla sua stanza, girovagando tra un piano e l'altro dell'edificio.

Non aveva una meta bene in mente, voleva solo andare in bagno e camminare per un po'. Era a piedi nudi e indossava ancora il completo, pantalone e maglia a maniche lunghe, del giorno del funerale. La sciarpa di suo padre era rimasta in camera.

Il freddo le penetrava fin nelle ossa, ma decise ugualmente di non ritornare in camera, proseguendo invece lungo i corridoi curvi e scuri, come vermi fatti d'ombra.

Sentiva voci e sussurri galleggiare in sospensione, poco sopra la sua testa, e poi dietro la nuca. Le pareti le si stringevano attorno; le porte delle stanze si aprivano e richiudevano con un tonfo crudo e brutale, lasciando uscire fantasmi bui che rapidamente sparivano alla sua vista.

Udiva risate provenire da alcuni angoli. Udì anche urla ovattate sopra la sua testa, al piano superiore dell'edificio.

Da qualche parte un bambino piangeva mentre una donna lo pregava con voce lamentosa di "fare il bravo" e che "domani sarebbe andato sulle giostre".

Disse anche altre cose, ma i suoni furono coperti da gemiti provenienti da altri angoli.

Di colpo furono ovunque: tutto il piano rimbombava di ululati e urla di piacere misto a dolore. Poteva cogliere bene la differenza tra le due cose: quelle di dolore solitamente appartenevano a voci più giovani. Non avevano genere e francamente, che fossero uomini o donne, faceva poca differenza.

Dei ragazzi, lì dentro, in quel buco al centro esatto di un universo privato, stavano soffrendo, mentre gli adulti si beavano di ciò che stavano sottraendo loro.

Tutti i mugolii e le lacrime vorticarono in un unico suono, che a Rose ricordò i suoi stessi versi in quella notte in cui la Luna divenne rossa, al Godgrave Institut.

Il suono fu così stridulo e perforante da provocarle un capogiro. Dovette tenersi alla parete per non cadere giù.

Mentre la testa si abituava con lentezza a quel sottofondo persistente, sentì altri lamenti provenire dalle scale che si affacciavano al secondo piano. Avevano la dimensione di un gemito di dolore un po' stanco, come di chi abbia troppo sonno per urlare davvero.

Fu con molta calma che Rose diresse i suoi piedi scalzi e infreddoliti verso la scala che saliva più su. Non vide nulla, si accorse allora che, oltre quel minuscolo quadrato di pianerottolo foderato da una moquette logora, partivano altre scale. Su quelle scale, precisamente sul terzo gradino partendo dal basso, era seduto un uomo.

La luce era quasi completamente assente in quei lunghi corridoi - fin troppo lunghi per la dimensione quadrata e compatta dell'albergo, constatava Rose - perciò ci mise un po' a distinguere i lineamenti del tizio ischeletrito che appoggiava la testa sulla parete coperta di feltro. L'uomo - secondo Rose poteva avere non più di trent'anni - aveva un viso estremamente magro. Gli zigomi erano appuntiti e risaltavano molto per via delle guance scavate. La carnagione sembrava scura e aveva i capelli neri e ricci. A Rose ricordavano i capelli di suo fratello.

Rimase per tutto il tempo appoggiato a quel muro, tenendo gli occhi chiusi e la bocca semiaperta. Il "lamento" che mandava avanti non era altro che una canzoncina. Rose poté cogliere solo una melodia sommessa, ma tutto sommato gioiosa. Non c'erano parole, o forse l'uomo non aveva sufficiente forza per pronunciarle.

Le braccia erano nude. Sull'arto destro, quello più lontano dalla parete, era rimasto annodato un laccio emostatico. Gli stringeva la pelle come un inquietante ornamento, da cui gocciolava, inesorabile e scuro, del sangue.

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