Parte IV - Nel fondo - I

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1.1

Cominciò tutto quando Rose telefonò a Marisa, in un ordinario pomeriggio d'estate.

Quando Marisa, dall'altra parte del telefono, le rispose, si accorse che non aveva nemmeno idea di cosa dirle, esattamente.

Perché aveva chiamato?

Non lo so.

«Ehi, è da un po' che non ci sentiamo».

Marisa era rimasta inizialmente senza parole; avrebbe voluto riattaccare, o semplicemente fingere di non stare molto bene, ma la tremenda verità era che sentire la voce di Rose che scandiva il suo nome con tono squillante e affettuoso la mise rapidamente di buonumore. Nonostante le temperature estive, le sembrava di essere avvolta nella sua coperta preferita: una confortevole sensazione di agio e torpore le sciolse la lingua come non avveniva da un sacco di tempo.

«Ciao tesoro. Sì, ci siamo perse di vista. Posso dirti che mi sei mancata?».

Rose sorrise alla cornetta del telefono.

«Anche tu mi sei mancata».

Si videro quella sera stessa in un bar del centro.

Un Gin Tonic, due Gin Tonic, un Americano, un Cosmopolitan.

Marisa non le parlò mai di Niko e Rose non chiese.

La strana relazione, se così poteva effettivamente chiamarsi, tra lei e Niko non era mai sfociata in qualcosa di consistente, e Marisa non ne sentì in fin dei conti una particolare urgenza.

Forse non mi piace abbastanza? si era chiesta diverse volte, pur scetticamente.  

La possibilità di condividere qualcosa con lui non era solo allettante, ma le provocava autentica eccitazione. Il problema era condividerla lì, a Godgrave.

In quella città, tra quelle persone - quella che stava bevendo il Cosmo davanti a lei, per esempio - la prospettiva di una storia sana tra loro sembrava non solo impossibile, ma anche sbagliata.

Era un elemento fuori posto, in un puzzle insensato ma ben definito, consapevolmente storto e deviato, che tuttavia funzionava. 

Loro non potevano funzionare, invece. Non dentro Godgrave.

Per entrambi sarebbe stato l'ultimo anno al College, ma, mentre Niko era sicuro di andarsene, Marisa non era così certa del suo destino.

«Non ho fatto domanda da nessuna parte».

«C'è tempo. Anche io in realtà non ho scelto una specializzazione, ed è strano, perché quando sono venuto qui ero così sicuro di fare Lettere Moderne, ma adesso...» il ragazzo aveva lasciato sfumare la frase, pensieroso.

«Non so dove andare, non so cosa fare....» aveva poi commentato Marisa «per esempio: mi piace disegnare. Dovresti vedere casa mia! Ci sono sculture di terracotta e disegni appesi ai muri di quando avevo otto anni e a malapena sapevo tracciare un volto femminile che non sembrasse una "U" con la frangia. Poi sono migliorata, mi sono specializzata nei ritratti realistici. Ne ho fatto uno per tutti, per mamma, per Johan, per...» la voce le morì in gola, ma si ricompose subito, cambiando argomento «...non voglio lasciare i miei. Hanno paura per me, da... da sempre».

Niko le aveva allora preso la mano, tenendogliela stretta nella sua. C'era tutto in quella presa: c'erano calore, comprensione; c'era una storia che faceva male, tagliente eppure protetta da un sottile guanto di velluto.

Infine le aveva rivolto una frase a cui le capitò di ripensare anche nei giorni seguenti:

«Marisa, puoi aspettare se vuoi. Lo capisco, lo farei anche io. Ma sappi che arriverà il giorno in cui toccherà anche a te volare via da qui.

CENERE A GODGRAVEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora