Il corridoio era lungo, troppo lungo. Era sempre stato così lungo? Quanto ci voleva ad uscire da lì?

Firmò tutto quello che c'era da firmare. In mano aveva una piccola parte delle sue cose, con l'altra sosteneva una busta contenente una pila di grossi tomi e prescrizioni mediche.

L'ultima a salutarla, alla fine di quel corridoio, fu la sua terapista. Dapprima le diede semplicemente la mano, in modo cortese, ma distaccato. Quando però vide che lei aveva difficoltà, per via delle cose che si portava dietro, abbandonò i riguardi e le diede un rapido, ma caloroso, abbraccio.

Si staccarono, guardandosi negli occhi.

Non si dissero nulla, ma nello sguardo della terapista erano contenute una promessa e una raccomandazione.

Ricorda tutto quello che ci siamo dette.

Ricorda quello che abbiamo fatto.

Riprese a camminare, pesante e leggera, fino a che non vide il portone davanti a sé. Pronto ad aprirsi in suo onore, bramoso di spingerla fuori da quel luogo che l'aveva ospitata e anche tramortita per due anni interi.

«Mi scusi» chiese alla donna in divisa che stava alla scrivania, pronta a premere il pulsante del grosso cancello «mi scusi solo una cosa, ecco...non è che avrebbe una gomma da masticare?».

***

La luce la colpì come se l'avesse ricevuta per la prima volta dopo secoli. Non era così, fortunatamente non era stata rinchiusa in una caverna nelle viscere della Terra per due anni, ma avere il sole in faccia senza limiti, senza soffitti, grate, cancelli automatici e recinzioni la faceva sentire esposta. Avrebbe alzato le braccia per raccogliere tutto quello che poteva, se solo avesse avuto le mani più libere.

Dopo la prima inondazione, i raggi del sole si appiattirono, divennero rivoli più gestibili e le permisero di distinguere la realtà circostante.

Oltre al cancello c'erano sterpaglie aride vestite di colori aranciati e cespugli che fingevano di essere alberi. Bassi e secchi, non garantivano molta ombra, dunque sì, Rose decise di continuare a considerarli cespugli.

Quasi sentì la mancanza del cortile interno al penitenziario in cui aveva vissuto. Era così diverso dall'esterno scarno che l'aspettava fuori. Ricordò con una punta di nostalgia la serra, in cui lei e le altre "pazienti", così preferivano definirsi, lavoravano per far crescere le verdure e i fiori di cui ognuno aveva singola responsabilità.

Era tutto verde, lì dentro. C'era frescura, profumo di tulipani e riparo all'ombra.

Era proprio così contenta, di tutto quel sole?

In lontananza, poté distinguere la linea accennata delle catene montuose. Aveva voglia di toccarle, di penetrare nei boschi più fitti per coprirsi di nuovo di verde tenebra.

Ma c'era qualcos'altro, tra lei e le montagne, che catalizzò completamente la sua attenzione. Di colpo il caldo non era più così caldo. C'era un vento gentile tutto intorno a lei, e l'epicentro di quella frescura pareva avere origine dalla figura in piedi, appoggiata su una macchina di colore rosso scuro, semi scrostato.

La figura aspettava lei.

Era dimagrito. Ora avrebbe potuto cingergli le spalle con le due braccia, senza fare troppa fatica. Poteva aggrapparsi a lui con maggiore scioltezza, eppure le parve che quella nuova dimensione lo rendesse fin troppo debole. Si era ridotto a una trasparenza, o meglio, un glitch nel sistema.

I capelli scompigliati al vento nascondevano parzialmente gli occhi chiari. Rose riuscì comunque a distinguere una linea nera intorno alle palpebre, scolorita e leggermente sbavata per via del caldo e del vento. Non aveva quasi più piercing, a parte quello sul labbro, mentre i tatuaggi si vedevano tutti, esposti con sfacciataggine per via delle maniche corte della sua maglietta verde oliva.

CENERE A GODGRAVEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora