Non scrisse a Leon dopo quella sera come si era ripromesso, ma fece due passi molto importanti lungo il difficile percorso che gli avrebbe restituito il controllo della sua vita.

La domenica mattina seguente, scese le scale e si diresse in cucina a riempirsi una tazza di latte freddo. Addentò una mezza tavoletta di cioccolato bianco, senza nemmeno disturbarsi a tagliarne un pezzo col coltello, e si sedette a tavola.

A fianco a sua zia.

Dopo un timido "buongiorno" stettero in silenzio per tutta la durata della colazione; Johan, cellulare alla mano, scorreva distrattamente foto su foto, mentre la donna sfogliava pagine di un quotidiano.

«Non sei tu che ascolti Kasabian?» gli chiese a un certo punto.

Johan trattenne una smorfia di disgusto: «No, perché?».

«Ah no, niente. Qui diceva che avrebbero fatto un concerto a trenta chilometri da Godgrave».

«Mhmh. Non li ascolto».

Silenzio.

Johan a quel punto si concentrò sul vortice di latte che aveva creato con il cucchiaino. Si sentiva ipnotizzato.

«Satyricon».

«Come?».

«Satyricon. Ascolto i Satyricon. Avevo la maglietta addosso l'altro giorno. Forse per questo ti è venuto in mente quel nome».

Sua zia, rifletté, si era ricordata di una maglietta che aveva indossato tre giorni prima.

Che altro, di lui, poteva aver già notato?

«Ah. E come sono?» gli chiese un po' più energica, riprendendo il discorso.

Johan, questa volta, lasciò andare la sua smorfia sarcastica.

«Molto diversi dai Kasabian. Ma fammi sapere, se fanno un concerto pure loro. Anche se forse non lo diranno mai nel giornale locale» si alzò a riporre la tazza semivuota nel lavello.

Prima di risalire e chiudersi in camera per il resto della giornata, esitò un momento. Si girò verso sua zia a pieno viso.

Con voce chiara, ma a tratti incerta, le disse:

«Grazie. Per... per quello che fai», fece poi i gradini delle scale tre alla volta, con velocità supersonica. Sua zia poté subito sentire la porta della stanza chiudersi con un tonfo.

La donna stette alcuni minuti in totale silenzio. Stupita, ma soprattutto spaventata che il più piccolo rumore potesse spezzare il meraviglioso incantesimo che era appena stato pronunciato.

Si prese poi la testa tra le mani e si lasciò andare un muto pianto, riconoscibile solo per via del sussulto delle sue gracili spalle.

Le lacrime però, erano tutt'altro che discrete. Grondavano copiose sulle guance, per poi compiere il caratteristico salto nel vuoto e atterrare sulla sua gonna lunga.

Hai visto? pensò, Hai visto, fratello mio? Sono stata brava? Ti ho reso fiera? La tua Tara è stata brava, con tuo figlio?

Mi mancate così tanto. Ma lo hai visto, no? È Jo, il tuo Jo, ed è uguale a te.

Rimase per un po' così, a conversare quietamente con se stessa; ma non era, quello, il tempo per rimuginare troppo.

Arrivò anche per lei il momento di alzarsi, sistemarsi la gonna, impiastricciata e resa umida dalle lacrime, e rimettere a posto la cucina, dato che quella bestia di suo nipote aveva lasciato una tavoletta di cioccolato mezza morsicata sul tavolo, e non aveva nemmeno lavato la sua tazza.

CENERE A GODGRAVEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora