In the grace of your love

I am scared and I'm sick

In the grace of your love

Please don't hurt me so quick

La bocca masticava e inghiottiva il riso al curry con estrema voracità. Non aspettava di completare la masticazione che subito ingollava una seconda cucchiaiata, e poi una terza, quasi fino a strozzarsi e dover ricorrere al bicchiere d'acqua che aveva sul comodino.

Si era svegliato tardi quel giorno. Non aveva fatto nulla, se non parlare con sua zia, firmare alcuni documenti e aspettare che Leon tornasse dal turno.

Poi si era riaddormentato, fino a risvegliarsi nuovamente alle otto e mezza di sera, con una ciotola di riso a fianco e un piatto di spezzatino di pollo. La carne era tagliata in pezzettini minuscoli.

Immaginava Tara che si impegnava a renderli i più piccoli possibile, per non dargli noia durante la masticazione, come si fa a un bambino che ha appena cominciato lo svezzamento.

Il riso, però, si era rivelato un grande stronzo.

«Sei sopravvissuto a un avvelenamento, non morirmi adesso per colpa di quella pappina da ospedale» scherzò Leon senza guardarlo, preso com'era dal leggere sul suo laptop appunti per il corposo esame che avrebbe dovuto sostenere.

Johan non rispose, ma si impose di respirare e andarci piano con la ruminazione.

Non era colpa sua.

Aveva fame.

Una fame esagerata. Gli sembrava di essersi svegliato da un lungo sonno, per scoprirsi d'improvviso emaciato e senza forze.

Avrebbe divorato il mondo, se avesse potuto, una gargantuesca cucchiaiata alla volta.

Leon si girò a guardarlo.

I capelli di Johan erano cresciuti a dismisura. Si infilavano maldestri nella ciotola da cui attingeva, ma il ragazzo sembrava non farci troppo caso.

Lui sì, però. La vista di quei capelli impiastricciati insieme al cibo gli provocò un autentico moto di disgusto.

«Tieni un elastico, sistemati un attimo i capelli, stai facendo un tale casino!».

Leon era un tipo schizzinoso, quando si trattava di cibo.

Johan gli lanciò un'occhiataccia, ma poi lo ascoltò e si decise a raccogliere i suoi sottili fili biondi in una lunga e ordinata coda, che riposò sulla sua schiena per tutta la durata della cena. 

Il suo ragazzo lo contemplò a lungo. Le braccia avevano ripreso un po' di tono muscolare. Il fisico, tendenzialmente, appariva più pieno, solido, non così incline allo spezzarsi con la minima folata di vento.

Il volto era finalmente roseo, luminoso. Le occhiaie nere erano quasi sparite.

Sembrava un'altra persona rispetto a quella di un mese fa.

Sana, forte.

Pronta.

Ma quante versioni di sé aveva dovuto attraversare Johan per atterrare a quella sua ultima copia!

Leon gli era stato accanto a lungo. Si alternava insieme a Tara per accudirlo e dargli supporto durante le crisi, senza viziarlo o concedergli troppo.

Quante erano state le lacrime, i conati di vomito e le urla che quel gracile corpo aveva dovuto affrontare!

C'erano stati dei momenti in cui Johan aveva implorato a entrambi di ucciderlo.

«La mia vita non ha alcun senso ormai. Sono un parassita, servo solo a farvi stare male. Vi prego, vi prego, fatemi morire».

CENERE A GODGRAVEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora