TW: suicidio

6.1

Fu trovato nel bagno di un piccolo e tranquillo ristorante di una via residenziale. In quel quartiere le strade erano molto più pacifiche e curate del resto della città, quasi si trattasse di una temporanea illusione di benessere nell'occhio del ciclone, una parentesi d'aria fresca nel fuoco.

Non lontano da quel ristorante viveva, ad esempio, Andrea S. Pluton con la sua famigliola.

Quando i coniugi seppero la notizia del ritrovamento - «quello è il nostro ristorante preferito!» -cercarono di non farlo sapere subito al figlio, per evitargli i dettagli più cruenti.

Inutile dire che il loro bambino sapeva già benissimo informarsi da solo, non tanto grazie al rudimentale smartphone che aveva ricevuto in regalo da sua nonna - «su Internet non ci vai con quel coso. Te lo blocchiamo noi, ci possono essere mille malintenzionati» - quanto alla sua intera classe di compagni, assolutamente affascinati dalle storie splatter.

«Aveva le budella di fuori».

«Ma cosa dici, erano i polsi ad essere pieni di sangue».

«Forse era uno che dava le pillole in giro».

«Io so che era uno che faceva male ai bambini».

«Un mio amico che vive sopra al ristorante, ha detto che la gola era tagliata e la testa penzolava da una parte all'altra».

«Che schifo!».

«Oddio!».

Tuttavia, quella storia cruenta, che tenne la cittadina occupata per non più di tre settimane, non toccò da vicino né Pluton né la sua famiglia.

Quella storia riguardava esclusivamente l'uomo che effettivamente si suicidò nel bagno del Ristorante Le Tre Vie.

Un fondo di verità, nelle dicerie, esiste da sempre. Aveva fatto del male a qualcuno in passato? Chi poteva dirlo.

Lo aveva fatto nelle quarantotto ore precedenti alla sua dipartita? Sicuramente sì.

Per quanto riguarda il modo in cui si uccise, a prenderci fu solo il bambino che parlò di "polsi pieni di sangue".

***

Alle diciotto e cinquantacinque di un giovedì di fine aprile, un uomo entrò al ristorante e chiese di cenare.

«Tavolo per uno?».

«Sì, sono solo».

Era vestito con cura: una giacca beige sopra una camicia di una tonalità più tenue; i pantaloni in tinta che cadevano con garbo; la cravatta azzurra con motivi blu scuro, adagiata sulla camicia senza nemmeno una grinza.

Le scarpe marroni erano pulitissime, sembravano appena comprate.

La barba bianca era fresca di rasatura. I capelli, lasciati piuttosto lunghi sulle spalle, erano altrettanto candidi.

Unica nota "particolare" una benda nera sull'occhio sinistro.

L'uomo ordinò un arrosto di vitello bagnato al vino rosso. Rosso era anche il vino con cui decise di accompagnare il pranzo.

Gustò con calma estatica ogni singolo boccone. I pochi camerieri del locale - a quell'ora era ancora piuttosto presto per cenare - lo guardarono tagliare la carne in minuscoli pezzi, intingerla nel sughetto e addentarla, masticando con lentezza.

Ad ogni boccone, ad ogni sorso di vino, l'uomo chiudeva gli occhi.

Ai dipendenti del ristorante sembrava quasi di violare un momento intimo tra l'uomo e il suo cibo, per questo motivo si voltarono velocemente, riprendendo a pulire i bicchieri e a sistemare gli altri tavoli per i clienti successivi.

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