L'orologio segnava un orario errato. Rose lo sapeva. Erano mesi che si appuntava mentalmente di sistemarlo, o di ricordare almeno ai suoi di farlo, ma alla fine le sfuggiva sempre di mente.

Continuava a guardare quel quadrante tondo e bianco con ostilità. Sapeva che non aveva senso incaponirsi così per cinque minuti di anticipo, ma non accettava di non essere ancora riuscita a regolarlo sull'ora giusta.

C'era poi quel ticchettio metallico e sinistro, che le pulsava nelle tempie come se stesse sentendo il cuore di un robot.

Seduta in cucina, lì dove aveva visto suo padre vivo per l'ultima volta e proprio nella stessa posizione di quando gli aveva riferito parole affilate come lame, Rose accostò un orecchio al tavolo di legno, lasciando l'altro vulnerabile a quel rintocco gracchiante.

Il materiale del tavolo assorbiva sufficientemente il suono, ma non lo copriva. Del resto, l'altro padiglione era rimasto lì, libero, a raccogliere tutti i rumori esterni.

Sentiva, per esempio, sua madre nell'altra stanza parlare al telefono con un filo di voce.

Sarà Wolf.

Il fratello non si era ancora fatto vedere a Godgrave, nonostante sapesse ormai da giorni quello che era successo.

Sentiva anche gli uccelli conversare freneticamente tra loro, fuori dalla finestra.

Cosa sono, usignoli? Passerotti? Non ho mai capito le differenza.

Ma poi, pensò ancora, da quando gli usignoli cantavano, lì a Godgrave?

Forse erano felici di qualcosa?

Forse per loro questo è un giorno di festa.

Così china sul tavolo freddo, sentiva ogni cosa, ma era inutile, dato che tutto veniva al contempo sovrastato da quell'orologio difettoso.

Confesso tutto! Togliete lì, quelle assi! è lì sotto! è il suo terribile cuore che batte!

, seguitò a pensare Rose, ricordando quel passaggio che aveva letto alle scuole medie, deve essere il cuore di mio padre, questo. Mi sta ricordando tutte le cose che ho fatto.

Con l'orecchio sul tavolo, e la guancia sinistra aderente alla superficie, Rose immaginò che ci fosse il viso di Robert, sistemato pressoché nella sua stessa posizione, a fissarla a pochi centimetri di distanza.

No, "fissarla" non era l'espressione giusta, perché Rose era consapevole che, in quell'immagine, Robert non poteva fissarla. Era scientificamente impossibile, in quanto non in vita. 

Sua figlia lo stava infatti immaginando morto, steso a fianco a lei e con gli occhi spalancati fissi nei suoi. Voleva che fosse quello, l'ultimo palpabile ricordo di suo padre. Il resto si sarebbe perso negli anni, prima sotto forma di viva memoria, poi di tremula reminiscenza e infine, di pallido singhiozzo.

Era pronta a tutto ciò. Accettava quel fato, la condanna a perdere qualunque momento con suo padre, a vederlo scomparire in un nonnulla.

Ma quella visione lì, dell'uomo che la fissava da cadavere, si sarebbe agganciata al suo cervello, rifiutandosi di scomparire in quell'eutanasia della memoria, e Rose l'avrebbe accolta a sé.

Un brivido le percorse la spina dorsale e un nodo potente le si bloccò in gola, tanto che dovette respirare a fondo e mordersi le labbra per ricacciare indietro qualunque cosa fosse sul punto di uscire.

«Rose...dobbiamo andare. Alzati da lì» sua madre, con un abito scuro e dimesso e un paio di occhiali neri, stava prendendo la borsa dal divano, pronta ad uscire.

CENERE A GODGRAVEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora