68.

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Non riesco a credere a quello che vedo: positivo. Sento il cuore battere più forte mentre guardo il test, le mani che tremano leggermente. La stanza d'hotel sembra diventare più piccola e, anche se è solo venerdì, questo weekend improvvisamente ha preso una piega inaspettata. Mi guardo intorno cercando di raccogliere i pensieri, ancora in accappatoio dopo una doccia che non è stata solo una doccia, e mi giro verso Tony.

Lui è seduto sul bordo del letto, i capelli ancora bagnati che scendono sulla fronte, fisso sul test come se fosse qualcosa di alieno. Non dice una parola, ma gli leggo negli occhi un misto di shock e confusione. Siamo qui da pochi minuti e il silenzio tra noi sembra farsi sempre più pesante.

Prendo un respiro profondo. "Che facciamo?" chiedo, con la voce che tradisce un po' d'ansia.

Tony resta immobile, il test stretto tra le dita. Un'altra manciata di minuti passa in un silenzio quasi assordante, finché non decido di prendere un po' di controllo e mi avvicino alla valigia. Sfilo un paio di vestiti, il mio intimo e una sua maglietta comoda, e torno a sedermi accanto a lui.

"Tony," mormoro, cercando di attirare il suo sguardo, ma lui resta con lo sguardo fisso davanti a sé. So che sta processando tutto, che probabilmente dentro sta scattando come faccio io, ma la sua calma apparente mi mette quasi più ansia.

Tony si gira finalmente verso di me, il suo sguardo è serio. Mi guarda come se cercasse di trovare le parole giuste, e in quel momento capisco che anche lui è spaventato, proprio come me.

"Mh," mormora, come per prendere tempo, poi aggiunge: "Tu te la sentiresti?"

Resto in silenzio, un po' sorpresa da quella domanda. "Non ne ho idea," rispondo sinceramente, cercando di mettere ordine nei miei pensieri. La verità è che non so come mi sento, mi sembra tutto troppo irreale.

Poi, quello che dice dopo mi lascia senza parole. "Io... non lo so, forse mi andrebbe bene. Avere un figlio," dice, fissandomi negli occhi con una sincerità che non mi aspettavo.

Sento un misto di emozioni: stupore, incredulità e, forse, un pizzico di tenerezza. "Non dire così," replico, scuotendo la testa, cercando di riportarlo alla realtà. "Lo sai che siamo troppo piccoli..."

Lui annuisce, come se fosse d'accordo, ma insiste. "Lo so. Ma... a me andrebbe bene. Io sto bene con te, lo sai." C'è una dolcezza nelle sue parole che mi confonde ancora di più.

"Poi, ci devi pensare tu, Ali," continua, come se volesse lasciarmi la decisione finale. "Io... non voglio metterti pressione."

Non so come rispondergli. Le sue parole mi fanno sentire meno sola, ma allo stesso tempo questa situazione sembra ancora più grande di me.

"Non lo so, come facciamo a dirlo agli altri? Ai miei, ai tuoi..." mormoro, scuotendo la testa mentre mi alzo, incapace di restare ferma. Il pensiero di parlarne con i nostri genitori mi dà ancora più ansia, come se avessimo fatto qualcosa di sbagliato.

Tony, però, sembra stranamente calmo. "C'è tempo, prima pensiamoci bene," dice, e la sua voce è tranquilla, sicura, come se volesse contagiarmi con quella serenità che in lui sembra così naturale. Ma a me sembra impossibile non pensarci.

"Ho già ansia," confesso, stringendo le braccia intorno al corpo.

"Non devi stare così," dice, alzandosi e tirandomi a sé in un abbraccio. Sento la morbidezza dell'accappatoio contro la mia pelle, e per un attimo mi lascio andare, appoggiando la testa sul suo petto.

"Non lo so, è colpa mia..." sussurro, la voce appena udibile.

"Ali, non è colpa tua," dice dolcemente, stringendomi. "Anzi, se non è successo quella volta, è successo quando abbiamo usato le protezioni. Forse doveva accadere," continua, guardandomi negli occhi.

Lei resta.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora