Seventy-three...the last one.

40 6 4
                                    

Buongiorno a tutti! Grazie di essere arrivati fino a qui, all'ultimo capitolo della mia storia.
Ribadisco tutto ciò che vi ho detto qualche capitolo fa. E spero che questa storia vi sia piaciuta. Vi lascio con questa canzone, una delle mie preferite, e con questi suoi due versi, per me i più importanti di tutta la canzone.

But oh, my love, don't forget me
But I let the water take me


Un bacio, Talìa.

Qualche anno dopo.

Venezia è splendida quando si avvicina all'estate. Un piacevole cielo azzurro libero da nuvole incornicia il campanile di San Marco in questa calda giornata di metà giugno. In questo periodo la città è al suo meglio, secondo me: la città si riempie di turisti e andare a lavoro è ancora piacevole.

Ma questa mattina non vado a lavoro. E' una giornata particolare. Il 17 giugno è una data impressa a fuoco nella mia mente. Il cimitero di San Michele si staglia fiero occupando l'intera isola. In mano ho una rosa bianca, mia unica compagna.

Il 17 giugno 2010 ha contorni strani. Non ricordo come quella giornata era iniziata. Mi ricordo solo un dolore sordo che ha invaso il corpo. Non ci ripenso mai, preferisco farlo solo nei giorni in cui vengo qui, a cambiare la mia rosa. Ma oggi è diverso. Sono passati nove anni esatti.

La telefonata era arrivata inaspettata, in un giorno come un'altro. Davide era tornato a Mestre sei mesi prima, e lo avevo rivisto molte volte. Ero andata a casa sua, Anita e suo marito mi avevano accolto calorosamento ogni volta, facendomi sentire la benvenuta. Davide era tornato il ragazzo sereno che avevo conosciuto, ma la sua instabilità latente traspariva dai suoi occhi sinceri.

Abbiamo parlato molto, in quei giorni. Ma mai dei nostri sentimenti. Il nostro amore aveva lasciato spazio a una amicizia tranquilla, e ad entrambi andave bene così.

Con Andrea uscivo spesso, ma ancora non ero pronta ad approfondire o a definire quello che eravamo. E lui non faceva pressioni di nessun genere.

Il 17 giugno non ricordo com'era cominciato, ma ricordo cosa stavo facendo quando mi era arrivata quella maledetta telefonata. Stavo caminando per andare a seguire l'ultima lezione di un corso particolarmente lungo. Non vedevo l'ora che finisse quella giornata.

Improvvisamente la vibrazione insistente del mio cellulare mi fece fermare. Il numero del cellulare di Anita mi aveva colpito, lei non mi chiamava mai.

Una voce rotta dai singhiozzi mugolò il mio nome.

-Valentina-

-Anita! Che succede? Davide st..-

-Valentina, è successa una cosa terribile-

I miei movimenti si congelarono, mi bloccai in mezzo al ponte e lentamente mi spostai verso il passamano.

Con quella telefonata, Anita mi informò che Davide si era gettato sotto un treno.

La sua vita incasinata era finita così, in un istante, per colpa di uno stupido, vecchio treno.

Sullo stesso ponte che io e lui avevamo attraversato così tante volte, ora avevo scoperto che lui non c'era più.

Sono svenuta. Qualcuno mi ha prontamente raccolta e ha chiamato l'ambulanza, o almeno così mi hanno detto. La prima ad arrivare al pronto soccorso era stata Kat, seguita da Stefan e Andrea. Quando li avevo avvisati di quello che era successo, tutti e tre erano rimasti come me su quel ponte: immobili. Non potevano crederci. Kat, che spesso era venuta con me a trovare Davide, continuava a ripetere a Stefan che si era ripreso, che stava bene, che sembrava felice quando era con noi. Ma Andrea mi guardava, e capiva che non era del tutto vero. Capiva quello che avevo visto. Sapeva che in realtà, lui non era mai guarito del tutto.

VeneziaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora