Sixty-three.

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Non ci mettiamo molto, infatti in poco più di cinque minuti arriviamo a casa di Andrea.

Eccomi lì, finalmente. La sua casa. La sua tana, il suo nascondiglio, la sua parte nascosta si apre a me come un libro e riesco a vedere bene le pagine che lo compongono. Stanze piccole ma ordinate, vecchi dischi incorniciati e appesi, chitarre appoggiate ai vari sostegni, un piccolo pianoforte. Un'alberello addobbato ad arte riempie di luci intermittenti il salotto. Qualche foto con sua sorella e sua nipote. Qualche bottiglia di birra vuota sul tavolino accanto al divano.

-Siediti pure. Ti porto qualcosa di caldo, sei gelata-

Lo ringrazio e mi vado a sedere sul divano. E' morbido e caldo. Qualche minuto dopo Andrea sbuca dalla porta della cucina con una tazza di tè fumante. L'aroma della vaniglia risale dall'acqua in volute di vapore morbide e biancastre.

Bevo riconoscente un sorso di tè, poi appoggio la tazza sul tavolino, accanto alle bottiglie di birra.

-Serata impegnativa, mi pare- comincia lui.

-Già-

-Ora mi spieghi come mai?-

-Se tu mi spieghi perchè te ne vai-

-Facciamo un patto. Ti dirò tutto quando mi spiegherai cos'è successo questa sera-

Allunga la mano, e io gliela stringo.

-Inizia- dice. E io gli spiego tutto.

La serata. Le luci. I miei genitori. Il ritorno a casa. Le urla. Le sue dita rigide sul mio polso.

Ma gli racconto anche di come ho passato questo mese. Di come io e Davide abbiamo evitato di parlare di quello che era successo al Velvet.

Mezz'ora. Un'ora. Due ore passano. Siamo seduti faccia a faccia sul divano, io a gambe incrociate, lui con una gamba che penzola fuori da divano. Stiamo parlando come mai avevamo fatto fino a questo momento.

Lui mi fa il tè, io lo bevo.

Lui domanda e io rispondo.

E spiego.

E parlo, butto fuori tutto ciò che mi era tenuta dentro fino ad oggi.

Ad un certo punto lui mi afferra la mano e mi alza la manica, svelando il livido violaceo sul mio polso.

-Ti fa male?- chiede preoccupato.

-No- mento. Adesso che l'adrenalina è scomparsa dalle mie vene il dolore al polso, oltre a quello del mio cuore, si fa sentire. Il livido pulsa a ritmo con il mio cuore, spezzato dalla reazione di Davide.

Andrea, che non mi crede, prova a passare la mano sopra il polso e una smorfia di dolore tradisce la mia risposta decisa.

Si alza veloce e sparisce in cucina, dalla quale riemerge qualche minuto dopo con un sacchettino pieno di cubetti di ghiaccio.

-Non serve, Andrea, non mi fa tanto male-

Mi afferra la mano in un attimo, e con delicatezza appoggia il ghiaccio sopra la botta.

La sua mano calda contrasta la temperatura del sacchetto, facendomi rabbrividire.

-Hai freddo?-

-Andrea, stai tranquillo sto bene- ma lui si alza lo stesso e mi avvolge in una coperta.

-Grazie- sospiro, e aggiungo -ora tocca a te-

-Me ne vado. Cosa c'è da aggiungere?-

-Non andare-

-Devo-

-No-

-Sì, Val. Non posso rimanere-

-Ma perchè?-

-Perchè no?-

-Perchè qui hai tutta la tua vita. Non puoi lasciare tutto e andare via-

-La mia vita posso costruirla anche lontano da qui. E lo farò-

-No- dico, non riuscendo più a trattenere la mia frustrazione. Ha già deciso, come mai potrei fargli cambiare idea?

-Perchè Val?-

-Perchè saresti troppo lontano da me- confesso. La verità sta cominciando a venire fuori, alla fine.

Lo vedo allungarsi, come al rallentatore.


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