Capitolo 2

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25 febbraio 2013

Ore 23.37

Era tardi e probabilmente Stella dormiva già sebbene dalla sua camera provenisse della musica che lei teneva sempre accesa ogni sera.

Tutto era buio, immobile e silenzioso, in casa e fuori.

Lukas non riusciva a prender sonno e si girava e rigirava tra le lenzuola con il corpo sudaticcio come se fosse estate. Allungò l'orecchio verso la parete che divideva la sua stanza da quella della sorella e rimase in ascolto.

La canzone diceva: we went down to the courthouse and the judge put it all to rest. No wedding day smiles, no walk down the aisle, no flowers, no wedding dress. That night we went down to the river and into the river we'd dive, oh down to the river we did ride.

Ascoltò le parole con attenzione e pensò a Stella scuotendo il capo: come poteva stare a sentire musica del genere? L'amore non esisteva, l'aveva detto anche a sua madre qualche ora prima e ne era fermamente convinto. Spesso anche gli esperti lo ricordavano. Era soltanto una bizzarra serie di reazioni chimiche unita alle leggi dell'idraulica. Come poteva essere nobilitato qualcosa del genere?

Si mise a sedere sul letto con i gomiti sulle ginocchia e le braccia e le mani a sostenere la testa. Ripensò alla canzone di Springsteen a lungo, finché scosse il capo una seconda volta come a concludere un lungo ragionamento. Dopotutto non era così insolito che Stella ascoltasse quella roba.

Si asciugò la fronte e si stiracchiò: la schiena gli dava ancora fastidio. Lungo la spina dorsale sembrava ci fossero aghi che penetravano nella carne e giungevano fino all'osso. Doveva essere uno strappo muscolare, ne era sicuro. No, non così tanto sicuro. Forse era una vertebra incrinata. Avrebbe dovuto dirlo al dottore come aveva consigliato sua madre, ma quel dannato Schiller, lui proprio non lo sopportava. Non che lo odiasse, ma non digeriva il suo fare saccente e il modo di manipolare le persone.

Non era vecchio: probabilmente aveva soltanto cinquant'anni. Era un tipetto simpatico a prima vista, ma quella era una delle impressioni che potevano fuorviare, come a dire che l'abito non faceva il monaco. Era alto quasi un metro e ottanta, capelli e occhi nerissimi, corpo un po' flaccido con la pancetta che saltava fuori dai pantaloni e un sorriso melenso sul volto.

Lo sguardo era la cosa che irritava Lukas, insieme all'atteggiamento di superiorità. Quegli occhietti piccoli e sfuggenti erano mobilissimi e quando entrava qualcuno nel suo studio, lui indagava oltre ciò che vedeva, quasi a penetrare fin nel profondo, nell'animo delle persone.

Era la professione che lo richiedeva, si era giustificato lui e Lukas aveva voluto dar credito a quelle fregnacce, ma a lungo andare...

Ricordava di una volta in cui c'era stato un putiferio intorno alla figura di quell'ometto, reo di aver palpeggiato una paziente. «Si chiama "palpazione"», aveva spiegato Schiller un sacco di volte. «E serve al medico per notare tumefazioni o noduli a livello della mammella della donna.»

Certo, dialetticamente parlando era molto in gamba, ma il suo comportamento, alcuni gesti, i suoi discorsi, davano un'impressione ambigua.

Quelli però erano solo i pettegolezzi. C'era chi ipotizzava invece che il dottore fosse un vero e proprio pervertito, che andasse a donne e chissà cosa combinasse nel suo studio medico.

Lukas si stirò ancora allungando le braccia e massaggiandosi il collo. Sentiva la gola riarsa e aveva una gran voglia di spalancare la finestra, ma non era sicuro che il freddo dell'inverno gli avrebbe fatto bene.

Dopo quella piccola parentesi tornò a concentrarsi su Schiller. In effetti, si disse, forse i commenti maligni delle donne potevano starci, ma non così tanto maligni. Il dottore aveva già due matrimoni falliti alle spalle e nessuno era mai riuscito a sapere il vero motivo di quelle rotture. Lui non ne parlava mai volentieri e se veniva tirato in ballo l'argomento tentava sempre di svicolare.

Lukas sbuffò, si alzò in piedi e camminò per la stanza. La musica ora si era spenta perciò fu attendo a non fare rumore. Si avvicinò alla finestra e guardò fuori. La notte era buia e le tenebre fitte. Casa Wolfe, al limitare della Foresta Nera che saliva sul pendio delle alture, dava l'impressione di essere un posto isolato, l'ultimo baluardo dell'umano consesso in quell'angolo di mondo.

Voltò lo sguardo a destra, fino dove riusciva ad andare e studiò il profilo degli alberi alti e pieni di foglie: erano sempreverdi, conifere soprattutto. Provò a far correre oltre gli occhi ma era troppo buio e le mura della casa gli impedivano la vista. Più sotto invece, la strada asfaltata curvava infilandosi nel poco verde tra la casa e il resto della città e spariva per un po' ricomparendo più avanti. E giù, in basso, la città.

Friburgo non era una grande città come Berlino o Monaco. Era un posto tranquillo e immerso nel verde, che tuttavia non disdegnava la presenza della modernità. Durante il giorno era una piacevole mescolanza di razze slave presenti nel sud-ovest della Germania. Di notte al contrario, in certi periodi dell'anno, diventava quasi spettrale. Non c'erano mai molte luci accese in giro dopo la mezzanotte, a parte quelle dei locali aperti fino a tardi e quelle dei lampioni lungo le strade. Per il resto ogni cosa si oscurava e perdeva vita fino al mattino seguente. Anche in quel momento, sbirciando la città, si poteva respirare quell'aria tetra, da novella gotica.

Lukas sollevò gli occhi al cielo e vide alcune nuvole che coprivano la luna: doveva essere tutta rotonda e bianca, splendente e bella. L'albedo avrebbe illuminato la notte oscura della città e avrebbe trasformato ogni cosa.

A quel punto riprese a studiare gli alberi sotto la sua casa, poi la foresta e di nuovo ancora gli alberi. Era un richiamo quello, una forza che lo trascinava, lo obbligava a guardare in quella direzione, a notare qualcosa che prima non c'era o che non poteva essere scorto.

Una folata d'aria fece lentamente spostare le pesanti nubi nere, alte nel cielo, e il volto della luna apparve, dipingendo la terra di una pacata aura argentea.

Lukas spalancò la finestra appoggiandosi al davanzale e guardò su sentendo l'aria fredda circondargli il corpo e frustarlo con violenza. Improvvisamente si sentì libero e capace di ogni cosa. Di nuovo la foresta con i suoi dolci rumori, i suoi odori e la sua oscurità lo chiamava.

Ma qualcosa si mosse sotto di lui perché udì il fruscio dei cespugli. Gettò uno sguardo in basso e si concentrò sulle foglie di nuovo immobili, colorate dalla luce lunare che le faceva apparire di metallo nero e indistruttibile. Osservò con attenzione ogni loro movimento: poteva essere stato il vento. Sì, certamente era stato il vento. Non c'era motivo di preoccuparsi. Perché avere paura di una folata di vento?

Qualcosa però si mosse ancora nell'oscurità.

E le tenebre scesero sopra FriburgoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora