27 marzo 2013
Ore 22.05
Calberg sprangò la porta con una scopa, poi prese a far crollare gli armadietti, a uno a uno, nel tentativo di creare una barricata. Fece un gran chiasso e in men che non si dica, si trovò chiuso dentro il deposito, senza possibilità di uscire. Almeno, ne era certo, lì dentro era solo.
Non sapeva cos'aveva visto, a parte i due occhi limpidi e feroci e nemmeno poteva dire a chi o a cosa appartenessero. Gli erano venuti incontro, lo avevano seguito e certo non potevano avere buone intenzioni. D'istinto biasimò se stesso con tutta una serie di coloriti improperi e poi, dopo gli insulti, vennero le domande, che ora fioccavano dal suo cervello ormai lucido. Perché non era tornato a casa una volta fuori dal bar? Perché non aveva usato il cervello, lasciando perdere la sua anima di attaccabrighe? Perché da sempre ce l'aveva con quel bastardo di Wolfe? Perché diavolo si era convinto che fosse stato a causa sua che l'avessero licenziato? E poi ancora, dov'era finito adesso quell'essere dagli occhi chiari? Perché non era fuggito? O forse era scappato sul serio? E che cos'era?
Immerso in queste tortuose riflessioni che non trovavano risposte, Albert si avvicinò a una finestrella e guardò fuori in cerca dell'ombra che l'aveva seguito all'esterno dalla segheria. L'ennesimo lampo illuminò la notte, ma a parte le gocce di pioggia e il bagliore delle fiamme dentro il grande edificio che stava dall'altra parte del cortile, non riusciva a vedere nulla.
Rimase in attesa. Non era sicuro di uscire. Infilò le mani in tasca alla ricerca di qualcosa di utile, ma tutto ciò vi che trovò fu qualche spicciolo, le chiavi dell'auto, parcheggiata fuori dal cancello d'ingresso, dall'altra parte della strada, venti euro e il cellulare. Lo aprì, ma ovviamente era scarico. «Fanculo», grugnì. Non poteva fare altro che aspettare che arrivasse il mattino, oppure che per puro caso un passante notasse le fiamme dalla segheria e chiamasse i pompieri. Soltanto allora sarebbe sgattaiolato fuori, senza dare troppo nell'occhio e, in mezzo alla baraonda, se ne sarebbe andato.
Di nuovo si avvicinò alla finestra e guardò fuori. Era troppo buio anche solo per scorgere qualcuno tra la pioggia; l'incendio si era propagato e ormai le fiamme lambivano i finestroni al piano superiore: due finestre esplosero e i vetri in frantumi caddero al suolo, poi di seguito saltarono anche le altre. Ora la segheria appariva come un mostro infernale che sputava lingue di fuoco dalle proprie fauci.
Quando fu a pochi passi dalla porta sbarrata, improvvisamente qualcosa la scosse provocando un gran chiasso. Gli armadietti che formavano la barricata tremarono e si mossero di qualche centimetro, la scopa si deformò ma la plastica resse.
Albert indietreggiò, spaventato, ma ben presto si rese conto che se non avesse fatto qualcosa, chi cercava di entrare vi sarebbe facilmente riuscito in un paio di tentativi.
Si arrampicò sugli armadietti e si piantò con la schiena contro l'ingresso. Quel qualcosa che aveva visto prima, nella segheria, doveva essere dall'altra parte: spingeva come una furia e voleva sfondare la porta.
L'uomo sentì che la porta era sul punto di per cedere e gli armadietti scivolavano, centimetro dopo centimetro, sempre più distanti dall'ingresso. Respirò a fondo, poi riprese a spingere caricando tutto il peso sulle gambe e sulla schiena. Annusò l'aria e... annusò ancora. "Che diavolo è questa puzza?" si chiese. Un odore nauseabondo ammorbava l'aria e sapeva di... cane bagnato.
Dall'altra parte arrivarono altre tre forti spinte e poi un ringhio sommesso gorgheggiò vicino alla porta, seguito da latrati rabbiosi. "Merda, è un cane!" pensò Albert. Aguzzò l'udito in cerca del padrone perché era convinto che ci fosse qualcuno in giro che aveva lasciato il guinzaglio di quel bestione, eppure non udì voci o richiami e quel dannato continuava forzare l'entrata.
Ci vollero diversi minuti affinché Calberg iniziasse a realizzare, ma la spiegazione che formulò il suo cervello risultò talmente fantasiosa da sembrargli idiota. Aveva letto i giornali di recente, sebbene il suo interesse per il macabro non fosse così spiccato, ma non era certo riuscito a dimenticare le cronache di qualche settimana prima, forse un mese. Parlavano del cadavere di un uomo, un medico, sbranato da un...
«Non ci sono lupi in Germania», mormorò.
Altra spinta. I cardini della porta stridettero ancora; faticavano a reggere l'urto continuo e prolungato. Altro latrato e il bestione di fuori si affacciò con il muso aguzzo dentro il deposito.
Calberg indietreggiò, terrorizzato, rischiando di essere azzannato e fissò gli occhi glaciali di quel mostro. Lo guardò per alcuni istanti mentre con le potenti zampe anteriori spingeva in avanti, spezzando il manico di scopa. Il battente cedette di scatto e si scontrò con gli armadietti, provocando un gran baccano.
Un'ombra nera entrò nel basso deposito con i denti scintillanti, tutti scoperti e il lungo muso arricciato. Ringhiava inferocita e avanzava lentamente, un passo alla volta, una zampa dopo l'altra, deformando gli armadietti sotto il proprio peso e grattando gli artigli sul metallo liscio. Abbaiò e sbavò mentre fissava Calberg, dopodiché Albert notò che abbassava il muso e con il tartufo umido annusava a terra alcune goccioline scure che si arrestavano in una piccola pozza nera. La lunga lingua penzolante scivolò fuori dalla bocca e leccò il sangue sul pavimento, poi rientrò tra le fauci e il lupo ricominciò a ringhiare.
Albert mosse qualche passo indietro, lentamente, senza fare bruschi movimenti e allo stesso tempo il lupo prese ad avanzare, spingendo la preda sempre più nell'angolo. I due si fissarono per alcuni secondi e Albert, nonostante il terrore che lo attanagliava, intuì che c'era qualcosa di strano in quell'animale. La stazza lo sorprendeva al di là di ogni altra cosa perché più che un lupo era simile a quella di una piccola cavalcatura e poi quegli occhi così chiari e... strani.
Infine si bloccò. Era con le spalle al muro. Era solo e nessuno era ancora arrivato per l'incendio perciò capì che sarebbe finita lì, in quel momento. Sarebbe morto: ne aveva la consapevolezza. Eppure il suo corpo, teso e tremante, non ne voleva sapere di arrendersi. Disperava di vivere ad ogni costo. Si lasciò cadere in ginocchio e orinò nei pantaloni, poi iniziò a singhiozzare e mentre la vista gli si annebbiava per le lacrime, vide le fauci spalancate del lupo chiudersi attorno alla sua testa. Poi ci fu il buio.
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E le tenebre scesero sopra Friburgo
WerewolfNella cittadina di Friburgo in Brisgovia, ai margini della Foresta Nera, improvvisamente un misterioso animale all'assalto inizia la sua carneficina, mese dopo mese. Nessuno crede più alla favola del lupo cattivo, eppure pare che questa volta, a fur...