Capitolo 49

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26 aprile 2013

Ore 7.06

Bauer e Völler stavano attraversando le porte a vetri della centrale proprio mentre Seidel e Vogel rientravano. Johann notò i due agenti che parcheggiavano l'Audi di fronte all'entrata e scendevano.

«Ora sentiamo qualche novità», borbottò, rivoltò a Mark.

Quando i due agenti si avvicinarono, Johann li fermò.

«Sì, Völler», esordì Floris. «Abbiamo sentito dell'omicidio in Lichtenbergstraße, ma ti possiamo assicurare che Wolfe non si è mosso da casa sua.»

Johann sbuffò, annoiato. «Ne siete certi?» insisté il tenente.

«È da parecchio che lo osserviamo», aggiunse Gregor. «Non esce mai di casa dopo le nove. Stanotte l'abbiamo controllato come sempre e siamo sicuri di poter dire che non sia andato da nessuna parte. Il pick-up non si è spostato di un millimetro dal vialetto, le luci erano tutte spente e stamane, dopo che abbiamo sentito alla radio dell'omicidio, ci siamo fiondati a controllare se Wolfe era in casa.»

A quelle parole Völler e Bauer trasalirono.

«Non siamo stati scoperti», si affrettò ad aggiungere Seidel. «Altrimenti ci saremmo giocati la copertura. Non siamo dei pivelli!»

Dato che i due agenti non dicevano più nulla, Mark li incalzò a ragguagliarli su ciò che avevano scoperto.

«Be', Lukas Wolfe era in casa. Appena Gregor ha suonato», spiegò Floris, «Wolfe è venuto alla porta ad aprire. Si è guardato intorno ed è rientrato.»

«Merda», replicò Johann con un misto di delusione e rassegnazione.

«Ne siete certi?» ripeté Bauer.

I due agenti annuirono con vigore.

«D'accordo», concluse Johann. «Stendete il rapporto, poi prendetevi la giornata libera.»

Vogel e Seidel se ne andarono soddisfatti, lasciando i due tenenti a fissarsi l'uno con l'altro, senza risposta.

I due tenenti s'incamminarono, pensierosi, attraverso il parcheggio. L'aria era fredda e le nuvole erano ancora alte nel cielo grigio. Mentre arrivavano all'altro capo della piazzola, Völler si fermò in mezzo alla strada senza un motivo apparente. Si sentì demoralizzato e parve perdere fiducia nei propri mezzi e in quelli della polizia. "Cristo!" imprecò tra sé. "Come diavolo faccio a prenderlo?" Si sentiva da schifo e ciò che lo faceva stare sempre peggio era il provare la sensazione di essere vicino a risolvere il caso, di esserci quasi, davvero, però ogni qualvolta si accostava a una possibile soluzione, era come tentare di afferrare del fumo e sentirselo scivolare tra le dita.

Di grossi casi come quello, a Friburgo non ce n'erano mai stati e trovarsi da solo con Mark ad affrontare un serial killer non era una sciocchezza. Non era certo che fossero addestrati per quel genere d'incarico, eppure c'era quella strana cappa di tenebra che pareva scendere sulla città e offuscare le loro menti.

E l'emulatore... be', non era una bella faccenda. Quando s'iniziava a replicare gli omicidi di un assassino, in modo più o meno fedele all'originale, non era mai una buona cosa. L'aveva letto e sentito dappertutto, in tutte le salse: alla scuola di addestramento, sui manuali, ai corsi di aggiornamento, alle lezioni tenute da un criminologo in collaborazione con uno psicologo, su giornali, su riviste specializzate, finanche nella letteratura di genere. Quando c'era un emulatore significava che la faccenda stava cominciando a sfuggire di mano alla polizia, che il killer, in un modo o nell'altro, stava facendo presa sulle menti deboli e suggestionabili e presto ci sarebbe stato qualcun altro con quelle stesse idee nella testa.

E le tenebre scesero sopra FriburgoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora