Capitolo 9

36 9 2
                                    


26 febbraio 2013

Ore 8.07

Alla segheria il lavoro era già cominciato da qualche minuto. Lukas fermò il pick-up nel parcheggio dei dipendenti e scese in fretta, andando nel deposito, dove stavano gli armadietti e gli attrezzi da lavoro per cambiarsi.

«Allora, ragazzino, fatto tardi ieri sera?» borbottò una voce alle spalle.

Lukas neppure ci badò e continuò a indossare le protezioni.

«Ehi, ragazzino», insisté, «hai sentito?»

Il giovane con un gesto di stizza sbatté l'anta dell'armadietto. «Ho sentito Albert, non serve che lo ripeti», rispose trattenendosi dal prendere a pugni il piantagrane che era entrato nel deposito in quel momento. «E te l'ho già detto: smettila di chiamarmi "ragazzino".»

Albert rise. «E perché? È quello che sei, no?»

Lukas scattò avanti e in un baleno fu addosso all'uomo che era alcuni centimetri più basso di lui. «E chi te lo dice, mezzatacca?» gorgogliò.

Il tizio si divincolò con fatica dalla presa e indietreggiò. «Che c'è? Vuoi fare a botte? Ti avverto che non ti conviene.»

«Ah sì?» chiese Lukas, sprezzante ma quando vide il capo della segheria che entrava nel deposito e lo richiamava, cambiò discorso.

«Vieni con me un momento», lo chiamò e Lukas lo seguì fin dentro al magazzino di assi poi entrambi salirono al piano superiore, dove stavano gli uffici. L'uomo, di mezza età, gli fece strada e lo lasciò accomodare sulla poltroncina di fronte alla sua scrivania. «Ho bisogno di te domani mattina», esordì sistemandosi gli occhialetti sul naso e grattandosi il doppio mento.

«Va bene», replicò il ragazzo in tono asciutto.

«Devi andare su al nord, nella foresta, con la squadra. Assicurati che prelevino il giusto quantitativo di legna, ok? Alex è a casa con l'influenza e credo che non l'avrò per tutta la settimana.»

«Nessun problema.»

«Prima di tornare a casa, passa dal mio ufficio o dalla mia segretaria. Ti faremo avere la lista dettagliata», spiegò e dopo quelle parole congedò con un gesto della mano il proprio operaio, ma prima che sparisse dalla porta lo richiamò ancora come se avesse scordato qualcosa di importante. «Lukas», riprese. «Lascia perdere quell'idiota di Calberg, d'accordo?»

«Io non lo cerco mai.»

«Lo so», sminuì l'uomo grattandosi la pelata. «Tu comunque ignoralo, ok? Sappiamo tutti in ditta che è un piantagrane e presto lo manderò via.»

«Lo vuole licenziare per causa mia?» trasecolò Lukas.

L'uomo dall'altra parte della scrivania scosse il capo. «Non ho detto questo. Lui è uno che crea problemi e, ad eccezione di te che non ti lamenti mai, ho ricevuto diversi reclami, non ultimo quello della mia segretaria. E poi non rende sul lavoro come dovrebbe.»

«Capo, se è per causa mia...», provò di nuovo a giustificarsi.

«È un idiota, Lukas. Te l'ho detto. E gli idioti prima o poi pagano le cazzate che combinano.»

«Come dice lei», completò allora e uscì dall'ufficio.

Lukas si sentì molto sollevato quando ridiscese le scale e raggiunse gli altri colleghi: l'idea di non avere più tra i piedi uno come Calberg gli aveva rallegrato la giornata.

Ignorò le sue provocazioni durante la mattina, proprio come aveva detto il suo capo, e alle dodici e trenta, quando la campanella suonò, tutti smontarono per la pausa pranzo. Avrebbero ripreso alle due del pomeriggio. C'era chi si fermava nella vecchia sala mensa e chi invece tornava a casa. Lukas saltò sul pick-up.

E le tenebre scesero sopra FriburgoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora