Capitolo 48

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25 aprile 2013

Ore 23.46

La vecchia berlina Audi era parcheggiata in una zona d'ombra sotto le fronde secche e spigolose dei sempreverdi. Nell'abitacolo, al posto dell'autista e del passeggero, stavano rispettivamente l'agente Floris Vogel e l'agente Gregor Seidel, in borghese, che controllavano l'abitazione al numero 40 di Wintererstraße, intestata a una certa Margit Wolfe.

Ormai era da un po' che la coppia, tre o quattro sere la settimana, veniva spedita lì, per fare nottata, dietro ordine del tenente Völler. Dovevano sorvegliare ciò che accadeva in quell'abitazione. Di giorno poco importava perché le ronde della polizia locale si erano intesificate in quel quartiere, dopo l'omicidio Calberg. Di notte invece ci doveva essere una presenza costante, come aveva suggerito il tenente, perciò loro si trasformavano in due instancabili paladini della giustizia che, pur di ricevere un aumento o una promozione, facevano qualsiasi cosa. Erano giovani e ancora alle prime armi, perciò sorseggiando qualche bicchiere di caffè e piluccando durante la notte, riuscivano a tirare mattina senza grandi problemi.

I problemi invece, quelli veri, li trovavano quando si ritiravano a stendere i loro rapporti quotidiani alla centrale perché, nonostante tutti i sospetti di Völler e del suo amico, il tenente Bauer, a casa Wolfe pareva non accadesse nulla, a parte un tizio che si era presentato qualche sera prima e che aveva iniziato a gridare, ma poi se n'era andato senza troppe storie perché Lukas Wolfe l'aveva sbattuto fuori di casa.

«Nient'altro?» domandava Völler ogni volta che leggeva le relazioni, ansioso di trovare una prova schiacciante che avvalorasse i propri sospetti.

«No, tenente» replicavano all'unisono i due. «L'abbiamo tenuto d'occhio tutta la notte. Non è uscito e non è entrato nessuno in casa.»

A quella sempre identica, meccanica risposta, Völler abbassava gli occhi, sconsolato, e sbuffava, poi sistemanva il rapporto nella cartellina del caso del lupo mannaro, quindi riprendeva a fare altro.

E anche quel mattino, immaginarono Vogel e Seidel, le cose si sarebbero ripetute nello stesso modo. Era quasi mezzanotte e la pioggia ormai aveva smesso di scendere a grandi gocce. Qualche ticchettio si sentiva ancora sul tettuccio dell'Audi e sul parabrezza, ma in quel momento il temporale era passato oltre. La notte si era fatta più serena e la luna era apparsa nel cielo nero, pennellato di nuvole pesanti.

«Gregor», esordì Vogel. «Sono stanco di restare qui a gelarmi il culo e a mangiare noccioline, come fossi una scimmia ammaestrata.»

«Be', che vuoi fare?»

Vogel fece spallucce. «Chiamiamo la centrale», fece lo sbirro, sicuro di sé, «sentiamo se c'è Völler e gli chiediamo se è tassativo rimanere qui ancora a lungo.»

«Dici?» domandò Seidel, alzando un sopracciglio, scettico.

«Preferisci le noccioline?» replicò Floris, piccato.

Seidel scosse il capo. «Di certo preferirei starmene in centrale, al caldo, a compilare i rapporti di qualche vecchia indagine, o meglio ancora, andarmene a casa a riposare.»

«Quello che intendevo.»

«Ma... tu sei certo che il tenente ci lascerà andare? Secondo me ci ordinerà di restare tutta la notte. Anche questa volta. Sai com'è fatto!»

Vogel ghignò e alzò le spalle. Afferrò la trasmittente, premette il pulsante e chiamò la centrale, dopodiché rilasciò il tasto e attese. «Tentar non nuoce.»

«Vediamo», concluse Gregor.

Insieme attesero di parlare con Völler e quando la breve conversazione fu conclusa, Seidel se ne uscì con uno dei suoi fastidiosissimi: «Che ti avevo detto?»

E le tenebre scesero sopra FriburgoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora