Capitolo 59

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25 maggio 2013

Ore 22.13

Era come rincorrere per lui. Andare dietro alla traccia odorosa che si assottigliava sempre più con il trascorrere dei secondi. Era un esile ramo di un albero che si consumava rapidamente perché si dilatava a più non posso nello spazio e veniva sospinto lontano dall'aria. Bastava anche solo una goccia di pioggia e quel ramo invisibile si sarebbe spezzato.

Annusò l'aria gelida della notte e ritrovò la traccia.

Nascosto dietro le conifere della foresta, correndo veloce, gettava occhiate al lungo serpente nero che si snodava qualche centinaio di metri più a valle e vedeva i soliti animali grossi e arrotondati che scivolavano aggraziati sopra di esso. La traccia proveniva dall'altra parte del serpente nero. Sarebbe dovuto uscire allo scoperto, attraversare gli alberi e abbandonare la foresta, scavalcare quel fiume misterioso e spingersi oltre, dove non era mai andato, entrare nelle viscere di quell'enorme mostro pieno di luci che dall'alto della spianata, vicino alla sua tana, aveva osservato molte volte.

Doveva sbrigarsi perché la traccia si allontanava.

Si guardò attorno artigliando il terreno, emise un ringhio gutturale, cattivo, dopodiché si lanciò nuovamente all'inseguimento scendendo il pendio fino al fiume che ora pareva qualcosa di meno terribile di un tempo.

Non c'erano altri animali da quelle parti ed era tutto buio, salvo alcune luci che rischiaravano il serpente nero.

Si avvicinò e appoggiò una zampa sopra lo strano terreno viscido. Zampettò per qualche istante, tastando la consistenza estremamente resistente e un po' fastidiosa dopodiché attraversò e riprese a correre.

Mentre si addentrava sempre più nel mostro amorfo, notò che il fiume oscuro si snodava all'interno, fitto e intricato, come un dedalo da cui era impossibile fuggire. Uggiolò, bloccato sulle zampe e si guardò attorno. La traccia portava proprio da quelle parti e a mano a mano che si avvicinava, la sentì divenire più forte.

Ululò di rabbia e mosse un passo alla volta, sempre più rapido, sempre più affamato. Entrò nel labirinto e rincorse il proprio fiuto che gli ordinava di andare, ora a destra, ora a sinistra e lo conduceva su vie più ampie e quasi del tutto sgombre. I grandi animali rotondeggianti li vedeva e li scansava, ma essi non si muovevano. Erano immobili, come morti, senza una luce dentro che li rendesse esseri viventi, altri invece emettevano strani rumori e scivolavano via.

Si era ormai allontanato molto dalla tana, eppure volgendosi e alzando lo sguardo tra quegli strani alberi di luce dalle forme bizzarre, il lupo riusciva a vedere ancora i sempreverdi della sua foresta e poteva, seppur a malapena, distinguerne l'odore. Lì, in quello strano luogo, erano mille e tutti differenti gli aromi che penetravano nei suoi polmoni attraverso il tartufo. Aromi sconosciuti e pungenti che lo confondevano. Non era abituato a tanti odori tutti insieme, a tante luci, a tutto quel movimento, a quella confusione.

Frastornato dai segni di un mondo caotico che non aveva mai conosciuto, la bestia riprese a correre e si sforzò di rintracciare la preda. Era lì, da qualche parte! Doveva essere lì!

Per diversi minuti gli parve di girare in tondo e che occhi indiscreti sbucassero dal nulla e lo osservassero, pronti ad attaccarlo, ma non accadde nulla di tutto ciò, finché lo strano mosaico di forme e luci sembrò interrompersi bruscamente e notò in quel frangente una distesa verde, piuttosto alta, circondata da tane per gli esseri a due zampe.

Stava lì! Proveniva da uno di quei luoghi, la zaffata che l'aveva trascinato fuori dalla foresta, strappato al suo ambiente naturale. Non c'erano dubbi. Annusò di nuovo e ringhiò. Ce l'aveva fatta, era arrivato e ora, passo dopo passo, preparando l'agguato, sentiva la bava nella bocca scivolargli sulla lingua e finire a terra, percepiva il terreno freddo sotto i cuscinetti, gli artigli che grattavano la terra dura, i denti aguzzi, scoperti e desiderosi di azzannare la carne, le orecchie alzate alla ricerca di nemici, gli occhi attenti a puntare la zona di fronte dove avrebbe attaccato e la preda.

Barcollò, la vittima, e mulinò le braccia in aria, alla ricerca di qualcuno da aggredire e intanto si diresse verso la tana vicina alla quercia spoglia.

Non ci fu neppure il tempo di pensare: il lupo ringhiò, latrò furiosamente e scattò. Con un potente urto spinse a terra quel corpo così indifeso e in un istante gli fu sopra, lo afferrò per una gamba e lo trascinò lontano, nell'oscurità, dove nessuno avrebbe potuto vederlo e mentre la sua vittima scalciava e si dimenava, con uno strappo, le fauci dell'animale addentarono la carne e l'osso: uno schiocco rivelò che la gamba si era spezzata e le urla della preda indicarono quel dolore e quella paura propri dell'istante prima che sopraggiungesse la morte.

A quel punto il lupo si avventò sull'essere a due zampe e morse alla giugulare, affondò i denti nel tessuto molle e sentì il sangue bagnargli le labbra e la lingua. Azzannò con foga e strappò le carni mentre le grida strazianti che gli riempivano le orecchie svanivano e gli occhi della preda si tramutavano in due palle di vetro.

Era insolita, quella vittima. Mentre azzannava e lacerava brani di carne dalle ossa tirando scossoni violenti al cadavere, il lupo provava qualcosa di raggiante nel petto, soddisfazione per quello che non riusciva a considerare solo un pasto dopo il lungo digiuno.

Andò avanti a quel modo per un'ora, togliendo di mezzo ogni lembo attaccato alle ossa e infine, con le fauci e il pelo lordo di sangue, restò a fissare gli occhi vuoti di quell'essere, il cui viso era ancora deformato da una cruda espressione di dolore. Lo osservò e dalla gola salì un brontolio furente.

All'improvviso però udì una voce che diceva qualcosa con strani versi a lui incomprensibili.

Balzò sulle zampe e ispezionò l'ambiente attorno a sé con fare circospetto. Nell'oscurità non vide nessuno e concentrò le proprie attenzioni su una delle tane che aveva visto, da cui proveniva una luce fioca.

La voce parlò di nuovo ripetendo i medesimi suoni.

Lui indietreggiò, lasciando le spoglie della preda tra se stesso e la voce.

Apparve in quell'istante un altro animale a due zampe, simile a uno dei primi che aveva visto: doveva essere una femmina. La osservò, indietreggiando silenziosamente. Lei gli veniva incontro, come se non avesse paura. Non doveva essersi accorta che lui si trovasse lì.

Il lupo stava per scappare, quando una seconda voce, più forte della precedente, parlò.

La femmina che stava ancora avanzando bel buio, era giunta quasi a ridosso della carcassa della preda. Si bloccò all'istante e si voltò indietro. Notò qualcuno che la chiamava ad ampi gesti e allora tornò da dov'era venuta, non senza dare un ultimo sguardo alle tenebre.

E le tenebre scesero sopra FriburgoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora