Capitolo 69

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23 giugno 2013

Ore 23.10

Gli alberi erano ormai diradati e la folta erba alta del campo faceva da schermo al corpo flessuoso del lupo. La pelliccia lucida pareva brillare sotto la luce lunare e ondeggiare a ogni movimento. La bestia annusava l'aria con voluttà e sentiva una miriade di odori differenti, molti dei quali lo attiravano per il pasto. La bava gocciolava dalle fauci e dalla lingua fino a terra e il muso era dischiuso in un perfido ghigno.

Avanzò trotterellando e sbucò dalla macchia, affacciandosi da dietro un'enorme edificio. Scrutò la strada che iniziava dalla periferia della città, come se un enorme biscione marrone di terra, improvvisamente si fosse trasformato in un serpente nero di asfalto. Raspò sugli ultimi rimasugli di terriccio, dopodiché si avventurò tra le vie di Friburgo, sentendo grattare gli artigli sul catrame coagulato e ugualmente umido.

Le vie erano deserte, a parte qualche automobile che viaggiava lentamente e spariva dopo una curva. Non c'era nessun passante, nessun animale, niente da poter assalire e divorare. Era tutto così strano e silenzioso quella notte, come se la gente, certa che il mostro sarebbe arrivato di nuovo, si fosse chiusa in casa per evitare le fauci del lupo cattivo.

La bestia non comprendeva quell'immotivata paura. Era qualcosa di stupido. Era tutto normale, naturale in fin dei conti. Gli animali nelle terre selvagge si uccidevano continuamente tra loro: carnivori che cacciavano erbivori per nutrirsi, carnivori che uccidevano altri carnivori per la supremazia territoriale, per una femmina, per fiaccare un branco forte. Perché la gente aveva così paura e riteneva tutto ciò un abominio? Nessuno di loro si rifiutava di mangiare carne quando ne aveva la possibilità. Perché se si trattava di un lupo che mangiava loro, doveva trattarsi di qualcosa di differente?

Annusò ancora l'aria e riprese a muoversi nell'ombra, alla ricerca di una preda. Forse, rifletté, avrebbe dovuto tornare nella foresta e cercare un animale da abbattere, anziché scorrazzare per la città in cerca di un essere umano, eppure la difficoltà di trovare un cervo nella foresta era enorme, vista l'imponente colonizzazione di bipedi civilizzati che aveva costretto quegli animali, per sopravvivere, a migrare sempre più verso nord, in terre fredde e inospitali.

Scendendo una strada in leggera pendenza, il lupo si affacciò su una via piuttosto ampia e tuttavia deserta. C'erano i lampioni accesi che illuminavano i marciapiedi ma nemmeno un'anima viva in circolazione.

Con il proprio acutissimo sguardo ferino, la belva osservò, in attesa che qualcuno, magari qualche avventato, prima o poi passasse. C'erano sempre, in tutte le parti del mondo, quelli che non credevano ai mostri della notte, alle cose brutte che potevano accadere dopo il calar del sole e che sfidavano la sorte nei modi più assurdi.

A quel punto, mentre teneva d'occhio la via, notò due fari di un'auto che giungevano a tutta velocità da lontano e dalla parte opposta, ecco comparirne altri due che avanzavano a una velocità molto inferiore. Delle due auto, una tornava verso il centro, mentre l'altra, quella più lenta, stava uscendo dalla città, forse per cambiare aria per un po'.

Lui le osservò facendo correre gli occhi da una parte e dall'altra. Notò che l'auto più veloce non procedeva in linea retta e alla fine, quando entrambi i due veicoli furono a poche decine di metri di distanza, ci fu una tremenda frenata da parte dell'auto più lenta, poi il frastuono delle due carrozzerie che collidevano e si deformavano, unito ai finestrini che scoppiavano per la forza dell'urto. L'utilitaria che aveva frenato si alzò su due ruote e si ribaltò, mentre la berlina che aveva sbandato finì con un rumore sordo contro un palo della luce che si piegò e cadde sopra il tettuccio.

Ora c'era una zona d'ombra dove era avvenuto l'incidente, ma il lupo riuscì ugualmente a distinguere un uomo che a fatica, trascinandosi le gambe, usciva dalla berlina e si riversava sull'asfalto, fissando il cielo, mentre il guidatore dell'utilitaria, bloccato nell'auto capovolta, pareva non dare segni di vita.

La bestia decise che quello era il momento per agire perché oltre alla fame, ora anche l'odore di sangue caldo lo spingeva ad attaccare.

Con due balzi attraversò la strada e si nascose nel boschetto di cipressi dall'altra parte, a un paio di metri dall'incidente. Scrutò l'uomo, sdraiato a terra, ferito, che respirava a fatica e si muoveva impercettibilmente, quindi scivolò verso l'abitacolo dell'altra auto e v'infilò dentro il muso.

Era piuttosto buio, eppure la sua vista perfetta si concentrò sul corpo di una donna, riverso sul tettuccio. C'era sangue ovunque che macchiava la tappezzeria: una profonda ferita a un braccio, una gamba rotta con un taglio fin quasi all'osso, provocato da un frammento di vetro e il corpo piegato in una posa innaturale. Probabilmente la donna era morta sul colpo dopo essersi rotta le ossa del collo nell'urto contro il parabrezza.

Il lupo addentò il cadavere e lo trascinò fuori dall'auto, dopodiché riattraversò la strada senza farsi vedere da nessuno e depose il corpo in un angolo buio, alle spalle di un grosso edificio non illuminato, quindi tornò indietro e pose fine alle sofferenze del moribondo che era steso sull'asfalto.

Si allontanò allora con le due prede dalla zona dell'incidente, facendo attenzione a non essere seguito, ma ben presto si rese conto che anche con tutta la cautela del mondo non avrebbe potuto evitare di lasciare impronte o di impedire che il sangue dei due cadaveri gocciolasse sulla strada disegnando un'inconfondibile scia di briciole fino a lui.

Si fermò perciò in un luogo riparato, si nascose tra tre abeti i cui rami toccavano quasi il terreno e con la bava alla bocca, prese a divorare i corpi, dilaniando le loro carni ancora tiepide.

Il volto della donna, macchiato di sangue, era una maschera inespressiva e tutta crepata a causa delle ferite superficiali riportate nell'incidente, mentre l'uomo mostrava la tipica espressione terrorizzata che la belva aveva visto sui volti delle persone, un istante prima che venissero sacrificate per placare la sua fame. Tuttavia quelle facce non potevano fermarlo e neppure riuscivano a distrarre la sua voglia di nutrirsi.

Il muso affondava, i denti pungevano e poi la mandibola strappava. La scena si ripeteva con una soddisfazione che pareva non avere mai fine e poi, quando i due cadaveri furono smembrati fino alle ossa, il lupo si stiracchiò, sbadigliò, disegnò dei piccoli cerchi attorno ai miseri resti e sentì il bisogno di riposarsi, ma mentre stava per stendersi a terra, rialzò le orecchie appuntite e udì poco lontano alcune voci che gridavano, che chiamavano qualcuno.

Sbucò dal nascondiglio e studiò la zona con attenzione. Doveva andarsene e scappare nella foresta facendo perdere le proprie tracce, o molto presto l'avrebbero scovato e l'intera città si sarebbe sollevata per dargli la caccia.

Si volse e fuggì verso la Foresta Nera che s'inerpicava sui pendii delle alture alle spalle di Friburgo. Sul suo muso parve disegnarsi un sorriso malvagio. Se anche l'avessero cercato per sempre non l'avrebbero trovato mai, perché il mattino successivo, lui non sarebbe più stato un lupo, ma sarebbe tornato uomo e si sarebbe confuso tra tutti gli altri.

E le tenebre scesero sopra FriburgoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora