2. Luke Hemmings

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LENA

Mi si fermò il cuore. Era alto, quel ragazzo era troppo alto. Cos'era un grattacielo in confronto a lui? Nulla. Ecco cosa. Lo guardai, forse lo stavo consumando con gli occhi, ma era troppo «Sexy». Mi resi conto dopo, quando i miei amici si girarono verso di me, che lo dissi ad alta voce. Diventai rossa e sprofondai nella mia stessa vergogna.
Mi concentrai di nuovo sul ragazzo. Aveva i capelli sul biondo, una corporatura robusta, pensai che fosse un tipo da palestra e rimasi un attimo imbambolata ad immaginarlo mentre sollevava pesi, faceva le flessioni, toglieva la maglietta e rivelava il busto curato e sudato...
«Luke Hemmings» fu proprio il palestrato biondo a fermare i miei pensieri. Raddrizzai la schiena e mi ripresi.
«Lena Sosa, mi placer» gli porsi la mano, ma lui la ignorò prendendo il microfono dall'altra mano, guardandomi con quegli occhi blu... sto per scottarmi, lo sento.
«Piacere Studio98, sono Luke Hemmings, il vice di questa scuola. Vengo da un'altra scuola e da un altro stato. Sono australiano, per l'esattezza vengo da Sydney ma questo non interessa di certo a nessuno di voi» ha la voce roca. L'accento australiano è così diverso dagli altri. Non è come l'americano o il castillano. È qualcosa di troppo... la smetto, e penso ad ascoltarlo, reputandola la cosa migliore. «Penserete cosa ci faccio qui, beh ve lo dico subito. Sono qui come scambio culturale. Sono stato scelto da questa scuola come assistente del rappresentante migliore nell'ambito. È un buon modo per imparare una nuova lingua, una nuova città e le sue tradizioni» si siede accanto a me, con facilità essendo più alto della sottoscritta. Sento avvamparmi quando il suo braccio sfiora di proposito il mio. Che mi sta succedendo? Devo essere professionale, non sentimentale. Prendo la cartelletta di fianco a me e do un'occhiata alla scaletta. Mi sfugge un piccolo sguardo al biondo accanto a me, continuava a parlare del progetto Erasmus, dello scambio culturale.
Ero imbambolata, non pensavo a niente. Lo stavo fissando, come se fosse l'unica persona in quest'aula. Non c'erano i ragazzi, non c'erano gli studenti e nemmeno i genitori. C'erano solo lui, i suoi capelli biondi, i suoi occhi chiari e il suo dannato accento. Mi sentivo tremendamente piccola e insignificante.
Era vestito completamente di nero. Maglietta nera, jeans neri, anfibi neri. I capelli biondi erano portarti in un ciuffo, li aveva ricci e sembravano così morbidi solo alla vista. Un accenno di barba sul viso e un piercing al labbro. Un anellino nero su quel labbro che si stava muovendo troppo. Lui parlava, non curante di me che lo stavo fissando da più di dieci minuti. Questo ragazzo mi avrebbe distratta parecchio, me lo sento, ma una distrazione mi avrebbe fatto bene o no? Forse mi stavo cacciando solo in un altro guaio, forse mi stavo scottando ancora una volta, ma ne ho la necessità. Se non le faccio ora le cazzate, quando le avrei fatte? Forse stavo pensando troppo.
«Beh, ora è meglio passare la parola a qualcuno più qualificato e con più esperienza di me» si girò verso di me e mi ridiede il microfono, facendo un piccolo sorriso. Quel sorriso... scossi la testa e scesi dal palco, in modo da non avere distrazioni.
«Ora che abbiamo fatto una presentazione generale di tutto quello su cui c'era da sapere, chiedo ai genitori dei ragazzi del primo anno di andare verso la segreteria, con i miei quattro amici, dove vi saranno date le nuove divise scolastiche» dissi ciò che c'era scritto sulla cartelletta e andai avanti «Ragazzi del secondo anno, le vostre divise vi saranno date insieme a quelle del primo. Gabriel e Kayla, insieme ai genitori dei ragazzi del primo anno. Julian e Fred, voi insieme ai ragazzi del secondo» divisi i gruppi, e una volta che furono uscite la maggior parte delle persone, mi calmai un po'. Guardai i ragazzi del primo anno, notando che erano un misto di ansia e nervosismo. Volti tristi e persi. Mi accigliai,ma mi venne in mente un gioco. Luke mi precedette.
«Primo anno, avete qualche domanda da fare» ci fu un silenzio tombale. Ragazzi che guardavano il cellulare, altri che si facevano gli affari propri. Certi stavano pure leggendo un libro per scappare dalle domande.

Rivolsi uno sguardo d'aiuto a Luke e lui sembrò capire.
«Beh, se nessuno ha una domanda da fare, c'è l'avrei io...Lena» esitò un secondo per dire il mio nome. Lo guardai e un brivido mi percorse la schiena. Maledetto accento.
«Dimmi pure...Luke» io lo sussurrai, come se avessi paura di dirglielo.
«Spiegami un po'... come funziona tutto questo?» mi chiede, facendo un gesto con le mani, riferendosi all'intero edificio. Non mi chiesi il perché, ma sentii le guance andarmi a fuoco e il cuore triplicarsi di battiti al secondo.
«Beh... è semplice» iniziai emettendo un sussurro. Lui avvicinò il microfono alle mie labbra e alzò un sopracciglio. Presi il microfono dalle sue mani e sospirai. «Abbiamo diversi laboratori, diversi corsi e diversi progetti. I primi due anni gli studenti proveranno ognuna di queste cose, che includono musica,danza,disegno,canto e laboratori manuali come falegnameria, creazioni in creta e anche di gioielli. Ci saranno corsi di fotografia, di cucito e corsi sportivi. Ognuno di questi daranno dei crediti per la specializzazione che vorreste prendere. Ovviamente serviranno anche per i vari esami che farete, e che porterete fino all'università» sentivo gli occhi di tutti addosso, ma sentii di più quelli di Luke. Lo guardai con la coda dei miei di tanto in tanto.
«E poi? Questa scuola dove ti porterà?» un ragazzino con gli occhiali e l'apparecchio parlò. Aveva una camicia a scacchi, dei pantaloni color cachi e un papillon rosso al collo. Mi sembrava un piccolo nerd, ma era molto carino. Sorrisi alla sua domanda e risposi subito dopo. «Sono Alex»
«Alex, come vedi la nostra scuola offre molte opportunità. Potresti diventare un musicista o un maestro d'orchestra. Da fotografo a stilista, da ballerino ad architetto. Hai una vasta scelta di progetti, ma dopo due anni di specialistica, chiamiamola così, dopo aver finito questi quattro anni di liceo, puoi prendere un'università di facoltà diversa. Ma sei consapevole che come puoi aprirti un'azienda tutta tua, puoi lavorare anche come professore di ingegneria. Per farti un esempio» Alex annuì e dopo un minuto, ci furono una serie di domande che portarono via almeno tre ore.

I ragazzi erano entusiasti al suono della campanella. Presi il mio zaino e le mie cose. Quando tutti presero il proprio, accompagnai i ragazzi fuori per fare merenda.
La nostra scuola disponeva di due immensi giardini, uno sul lato destro dove era possibile fumare e l'altro sul retro, dove potevamo fare merenda o passare le ore buche tranquillamente. Al giorno ce ne sarebbero state due, ma questo per il terzo e quarto anno. Per i ragazzi dei primi due anni, ne era concessa solo una.
Luke era accanto a me, silenzioso, con lo sguardo rivolto verso lo schermo del cellulare. Aveva messo gli occhiali da sole, rendendosi ancora più figo di quanto non fosse già. Okay Sosa, contegno.
Mentre ero troppo occupata a fissare Luke, e lui non se ne accorgeva, andai a sbattere contro qualcuno finendo col culo per terra facendomi abbastanza male.
«Lena! Per Dio» Luke mi aiutò ad alzarmi.
«Que dolor» sussurrai portando una mano sul punto dell'osso sacro. Non me l'ero rotto, ma dios se faceva male quella dannata botta.
«Senorita Sosa, que placer» spalancai gli occhi appena sentii quella voce. Quella maledetta voce che per un tre anni mi perseguitò anche nei sogni. Portai lo sguardo verso la persona più odiosa e sexy di tutto il mondo. Trentacinque anni di perfetta mascolinità e intelligenza si stavano di nuovo insinuando nella mia vita. 

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