66. Good Girls Are Bad Girls

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1 Aprile 2020

Tony, l'ho fatta grossa. Credo di aver esagerato. Ieri è stata la giornata più brutta della mia vita. Credo di essere nei guai e mio padre sta già scavando la fossa per la mia bara. Avevo fatto scoppiare la bomba tra due famiglie potenti. Vorrei morire o sparire dalla circolazione. Ti aggiorno, se sarò ancora viva.

«Mi dispiace» sospiro, buttandomi sulla poltrona del suo ufficio. L'aveva sistemato bene il posto.
Una grande vetrina con dei documenti era posta alla destra della stanza. Un angolo bar a sinistra, la sua amata scrivania padroneggiava nell'ufficio e il legno scuro dava l'aria di una stanza elegante e raffinata. Come mio padre.
«Smettila di dire fesseria Lena! Hai messo la tua famiglia in pericolo» sbottò, dando un pugno sul tavolo e avendo la mia attenzione. Ah, io l'avrei messa? L'eufemismo del secolo!
«Senti papà, non ho voglia di litigare. Ti ho detto che mi dispiace» sbuffai, alzandomi da lì e guardandolo negli occhi. La sua rabbia avrebbe voluto mangiarmi viva, pezzo dopo pezzo e assaporare il gusto di un Sosa. Soldi e drammi, avrei dedotto.
«Élena Sosa, abbi più rispetto per tuo padre! Hai messo la tua famiglia alla ghigliottina, ora siediti» mi girai, guardando mia madre in tutta la sua grazia ed eleganza. Se fossimo state nel 1800, la corona le sarebbe calzata a pennello insieme ad un abito ampio e firmato. Tessuti pregiati, solo il meglio per una famiglia regale. Mi siedo di nuovo e sbuffo, guardando i capi di questa famiglia maledetta e tormentata.
«Bene, ho diciott'anni e mi tocca la sgridata dai miei. Que vida de mierda
«Se fossi più responsabile non staremo qui a farti la lavata di testa!» esclamò mia madre. Sbuffai ancora una volta e guardai i miei genitori. Questo teatrino deve finire adesso o il mio sistema nervoso perde il senno della ragione.
Mio padre precedette ogni mia singola parola.
«Non ci lasci altra scelta. Dovrai fare ciò che non hai fatto prima» lo guardai, alzando un sopracciglio e lui sospirò.
«Cioè? Di cosa stai parlando?»
«Ci siamo messi in contatto con Gabriele, lui è disposto a perdonare questa tua bravata da subito. Inizierai domani sera» la voce di mio padre era debole. Come se si stesse forzando nel dire queste parole. Rimasero in silenzio, io con loro. Non parlarono per un bel po', nemmeno quando sbottai ancora, per l'assurdità che avevano appena detto e pensato.
«Estás loco si crees que dejaré que mis cerdos me quiten los pantalones!» urlai, alzandomi dal posto e sbattendo i pugni sulla sua maledetta scrivania. Se avessero risposto di sì, sarebbero stati davvero due pazzi con le rotelle fuori posto.
«Lena, per favore capisc-» la bloccai, prima di lanciarle il ferma carte addosso. Avevo già i miei problemi con Luke e lo stress delle domande di ammissione per l'università. Ora ci si mettevano sti due, i Marino e il suo fottutissimo night. Questo era troppo.
«Non vi capisco proprio, invece! Se non ve lo ricordate a novembre sono finita in coma per quel fottuto accordo e ora mi chiedete di tornare in quella topaia!» urlai, battendo di nuovo le mani sulla scrivania. Sentii di nuovo dolore invadermi quella parte del corpo e il petto. Di nuovo, quella sensazione di bruciore pizzicarmi la pelle.
«Lo facciamo per il nostro bene» questa donna era matta da legare. Risi istericamente. Se lo chiamavano fare del bene, allora uccidere un uomo era un atto di pura bontà.
«A quanto pare mandare vostra figlia a fare la puttana per un mafioso, è fare del bene» risposi amaramente, portando le braccia lungo al corpo. Vorrei evitare di riavere l'ennesimo attacco isterico o di rabbia. Vorrei evitare di prendere a ceffoni i miei stessi genitori, ma niente mi avrebbe impedito di farlo con quel hijo de puta di Marino. Sarebbe stato un piacere per me stessa farle una visita.
«Lasciatemi fuori dai vostri piani. Non sarò la vostra marionetta»

I jeans stretti alleviarono il dolore alla testa. I miei pensieri sfocati, dominati da un unico punto fisso: Gabriele Marino.
Il sole mi accarezzava la pelle nuda, coperta a malapena da un top e da un paio di skinny jeans. La coda di cavallo sfiorava la mia schiena, le scarpe calpestavano il marciapiede. Le mie gambe camminavano decise, verso la casa di quel maledetto bastardo sfascia famiglie. I miei erano completamente fuori se pensavano che mi sarei lasciata toccare da quel maiale pervertito. Avrei preferito finire dietro le sbarre che essere di nuovo stuprata.
Il telefono suona, lo prendo e guardo sullo schermo. Rispondo subito e alleggerisco il corpo. Era sempre un piacere ascoltare la sua voce.
«Luke... finalmente qualcuno che mi capisce, non puoi immaginare cosa si sono inventati i miei questa volta» sospirai, fermandomi al semaforo rosso.
«Ciao anche a te, Élena» ma che cazzo oggi! Che ci faceva quella bionda ossigenata con Luke?
«Mayla, ascolta. Non ho voglia di prenderti a ceffoni, anche se farlo mi gioverebbe tantissi-» mi blocca la sua risata. Un rumore stridulo, che dava fastidio all'orecchio. Allontanai il cellulare infastidita e sbuffai. Le iene de' Il re leone erano meno fastidiose di questa qua.
«Lena Lena Lena, sai Luke è un bocconcino niente male. Peccato che una pallottola in testa debba metter fine a tutto ciò» mi bloccai e guardai il semaforo cambiare colore. Il traffico si fermò, le persone attraversano e la casa dei Marino mi sembrava solo una sfumatura. Dall'altra parte c'era Luke, in cerca d'aiuto e io mi ritrovai in Spideman dove Peter Parker era intento a tenere unito un traghetto. Ma ecco che viene Torny Stark, a risolvere il casino. Dov'era il mio Iron Man?
«Mayla, qualunque cosa i Marino ti stiano chiedendo di far-» mi blocca una seconda volta, ridendo. Prendo un grosso respiro e mi allontano dalla strada prendendo una direzione diversa. La priorità andava a Luke.
«Farai bene ad ascoltarmi o il tuo impero cadrà pezzo dopo pezzo»
«Cosa devo fare?» domando arresa.
«Ci vediamo a casa dei Marino» e chiuse la chiamata.

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