41. Just Like Animals

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LENA

Continuo a contare. Appena entrata in questa casa iniziai a contare. Stavo dando i numeri, letteralmente. Questa casa mi metteva paura, saranno i colori scuri e il soffitto troppo altro. Saranno i mille affreschi di persone che dovevano rappresentare qualcuno di molto importante. Ma tutto mi sembrava tranne che una casa. Mi sembrava un cimitero, quello di Zelda ocarina of time. Mancavano solo i fantasmi che uscivano dalle tombe, la pioggia continua e il becchino che scriveva il diario per poi morire. Non ho mai capito per cosa fosse morto, ma di sicuro centravano i fantasmi o Ganondorf in persona.
Sospirai e non sapendo dove andare mi fermai in quello che doveva essere il salotto. Un semplice divano, delle poltrone, un camino in pietra sulla sinistra, un televisore che poteva benissimamente sostituire un telone del cinema. La cosa che mi incuriosì di più furono le tre librerie che invadevano la stanza. Mi avvicinai e presi un libro, iniziando a leggerlo. Un autore che non conoscevo, strano a dirsi ma mi sorpresi di me stessa.
«Oh bene, sua Maestà ha l'onore di farci visita» mi girai, facendo cadere il libro per terra per lo spavento. Era Arzaylea. Vestita con un pantaloncino nero a vita alta e quello che dava l'aria di essere un body nero, lasciava intravedere il suo reggiseno nero in pizzo. Non aveva le mie forme, non risultava troppo volgare ma se avessi avuto le sue tette non sarei uscita con il reggiseno in bella vista. Non erano troppo piccole e nemmeno come le mie, erano giuste e non esagerate.
Presi un grosso respiro e presi il libro da terra per poi riguardare la ragazza di fronte a me. Aveva un paio di calze a rete che fasciavano le sue gambe e i suoi capelli corvini erano mezzi raccolti da un piccolo chinion e l'altra metà ricadeva sulla sua schiena. Questa ragazza aveva una bellezza strana, affascinante.
Ancheggiò su quelli che mi davano l'aria di essere stivali alti troppo scomodi. Mi stavo sentendo un pesce fuor d'acqua, mentre questa ragazza mi stava trasformando nella sua preda.
«Arzaylea» mormorai, guardando le pozze profonde di questa ragazza che aveva per occhi. Lei sorrise e mettendosi di fronte e mi scannerizzò. Mi sentivo nuda e non seppi distinguere paura e ansia.
«E così, la ragazza innocente dello Studio98 è diventata la puttanella di turno di un pezzo grosso della mafia? Mi stupisci sempre di più ragazzina» ragazzina? Abbiamo un anno di differenza e la ragazzina che sta facendo la puttana è lei. Io sono qui sotto minaccia di tuo padre verso la mia famiglia, e io sono la puttana? Stavo per risponderle quando fummo interrotte proprio dalla figura di suo padre. Lo ringraziai mentalmente e drizzai la schiena. Gabriele indossava un abito elegante nero e una camicia bianca. Portava i capelli al naturale e il suo viso, da come potevo dedurre, era furioso verso la figlia. Quanto amore che c'era in questa famiglia!
«Marino, smettila di importunare la nostra ospite e va dove devi andare.» lei non disse niente, mi lanciò un'altra occhiata e se ne andò, rumoreggiando su quei dannati tacchi. Sospirai e guardai l'uomo che si avvicinò, lasciando un metro di distanza tra di noi.
«Eléna mi scuso per mia figlia, è sempre così scontrosa nonostante abbia avuto le migliori educazioni» senza pensare due volte risposi schietta. D'altronde era la verità.
«Magari sarà il mondo in cui vive e le persone le quali la circondano che la rendono così» mi guardò e i suoi occhi mi ricordarono quelli di mio padre. Assenti, vuoti e pieni di odio. Abbassai la testa e chiesi scusa. Che mi succedeva?
Mi sentii ancora più fuori luogo e guardai la copertina del libro che avevo ancora tra le mani. Ippolito Nievi, interessante e lo aggiunsi mentalmente alla mia lista di autori.
Notai due scarpe lucide unirsi alla mia visuale e due dita mi alzarono il viso. Mi ritrovai gli occhi neri di Gabriele nei miei e mi spaventarono di botto,indietreggiaii di poco finendo con le spalle alla libreria. Devo riprendere il controllo di me stessa e darmi una calmata.
«Mi scusi, sono un po' nervosa e non so cosa dica o faccia»
«Non preoccuparti Lena, posso immaginare. Andiamo, una cena ci sta aspettando» mi porse la mano e dopo qualche secondo la presi, iniziando a camminare accanto all'uomo che mi avrebbe stravolto la vita negativamente.

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