52. Nice To Meet Ya

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LENA

L'Australia. Se dovessi scegliere una parola per descriverla, sarebbe stupenda. Questo posto era mozzafiato. Avevo letto qualcosa al riguardo durante una ricerca per la professoressa Alonso, dire che avevo preso il massimo è poco.
Mancava solo mezz'ora all'atterraggio, non stavo più nella pelle. Dormii per tutto il volo e ora stavo ammirando l'azzurro dell'oceano a kilometri di distanza. Presi il telefono e scattai una di quelle foto rituali che si fanno quando si è su un areo. Presi al meglio il fantastico telo blu dell'oceano Pacifico e scattai. Era perfetto.
«È fantastico! Guarda, si vede l'Opera House da qui!» mi girai verso il ragazzo al mio fianco e lo scossi eccitata. Era la mia prima volta nel continente oceanico, tutto mi sembrava solo un sogno.
«Mi sorprende il fatto che tu non sia mai venuta qui» le sue braccia mi circordarono la vita e guardò insieme a me il bellissimo paesaggio verde acqua sotto di noi.
«La mia patria è l'Italia, mi amor. Ma questo... Santo cielo è stupendo. Grazie per avermi portata qui» diciamo che il modo in cui lui e Michael mi hanno chiesto di accompagnarli, non è stato uno dei migliori.
Mi hanno letteralmente rapita dal mio letto, bendata e portato via dalla mia stanza. Crystal era loro complice e mentre loro mi trascinavano via, lei aveva pescato dei vestiti dal mio armadio e li aveva buttati alla rinfusa nella mia valigia. Mi doveva un pantalone Adidas.
«Ti meriti questo e altro nena» mi poggiai al suo petto e contai i secondi sorridendo. Eravamo appena arrivati a destinazione.

Una volta finiti i controlli, fummo liberi da metal detector e guardie impazienti. Cacciai il mio miglior inglese e Luke fu stupito dalla mia maestria con le lingue straniere. Era sempre ammaliato dalle mia praticità.
Scappai in bagno insieme a Crystal. Dopo dieci minuti eravamo con i ragazzi e fuori dall'aeroporto. Faceva un caldo mai visto ed eravamo a Gennaio. Sydney era come Londra, imprevedibile ma affascinante.
I ragazzi cercarono di afferrare un taxi, ma nessuno ebbe la fortuna e l'onore di prenderne uno. Dovevano fare come i newyorkesi, bisognava fischiare e urlare «Taxi». Cosa che feci e un uomo sulla cinquantina ci portò a casa di Luke. Michael e Crystal abitavano nello stesso quartiere, insieme ad un loro amico, il famoso Calum Hood. Chissà come sarà questo quarto australiano.
Nel frattempo Luke mi aiutò ad uscire dal taxi e a prendere la valigia. Guardai la sua casa e poi lui. Perché non mi aveva mai detto che abitava in un enorme villa bianca, stupenda come questa? Sospirai e scossi la testa divertita, quante cose mi doveva raccontare questo ragazzo.

Una volta finito di sistemare la nostra roba, e aver rubato al mio ragazzo un'anta del suo armadio, mi buttai sul suo amato letto e guardai la stanza. Era accogliente e maschile. Raffigurava la camera di un fanatico delle band di un tempo. Alcuni poster attaccati alla parete, una liberia con CD e vinili. Delle chitarre in fondo la stanza e una scrivania con solo un computer sopra. Era così diversa dalla mia stanza e si poteva capire subito che noi due eravamo la perfetta coppia contrastante. Ma era proprio questo che ci teneva uniti, l'essere diversi e il fare le cose insieme.
Delle volte mi chiedevo come lui facesse ad amarmi, nonostante la sua vita sentimentale precedente era come un concerto annullato e biglietti persi. Era un urugano di emozioni e ragazze, se non pure donne dopo i trenta, diverse al giorno. Da playboy a perfetto fidanzato di un casino di ragazza come me.
Lo guardai e sorrisi, allungando le braccia verso di lui. Si mise al mio fianco e mi portò sul suo corpo stringendomi a sé. Mi sistemai a cavalcioni e lo guardai. Era un po' nervoso, stava per presentarmi alla sua famiglia e speravo che non avesse una zia Clarissa pronta a giudicarmi per com'ero.
«Non vedo l'ora di andare in spiaggia con te e i ragazzi» momormorai, prendendogli le mani e stringendole nelle mie. Si alzò a sedere e posò le mani sui miei fianchi. Gli accarezzai i capelli e spostai un riccio dietro i suoi capelli. Doveva tagliarli, anche se avere Thor come ragazzo non era una brutta idea.
«E io non vedo l'ora di vederti in costume da bagno» mi baciò lentamente il collo e le sue mani si infilarono dentro la mia maglietta. Era frustato e aspettare più di una settimana lo aveva reso incontrollabile. Mi aveva detto che se il prossimo periodo X fosse stato più lungo di sette giorni, come quello di dicembre, se ne sarebbe fregato altamente e mi avrebbe reso lui invalida. Prego Hemmings, fai pure!
«Non durerà molto quel bikini» mormorai, sotto il tocco delle sue labbra sul mio collo. Era il suo sfogo preferito rendermi a macchie la pelle e sentirmi mugolare sotto il suo tocco esperto, era il suo suono preferito. Come biasimarlo, amavo anche io fare tutto ciò su di lui. Mi mise sotto il suo corpo e morsi il labbro.
«Come la tua gonna in questo momento, mia cara Sosa»

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