Tre ~ Una Trappola Così Dolce

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Jude

La prima volta che ho visto Jade Sloan, stava lavorando al muro della casa di accoglienza dove facevo volontariato.
Ormai conoscevo praticamente tutti in quel posto, per cui notare un viso nuovo in mezzo ad una marea di facce familiari mi aveva incuriosito non poco.
E così ero stato incapace di ignorare quella ragazzina che se ne stava tutta sola a dipingere le pareti di un'intera stanza, e avevo per forza dovuto invadere il suo spazio e saperne di più sulla nuova arrivata.
Forse, già allora, pur notandone semplicemente il profilo, Jade aveva già qualcosa in grado di attrarmi.
Jade era già incapace di essermi indifferente.
Ci eravamo guardati per un secondo di troppo mentre io me ne stavo in silenzio sulla soglia e lei ricambiava il mio sguardo curioso con il rullo sospeso a mezz'aria, poi aveva spezzato il silenzio con un "Bei Boccoli".
Era così che aveva iniziato a giocare. Ed era stato esattamente dall'attimo seguente alle sue parole, che io a quel gioco ci ero stato.
Non chiedetemi perché, ma in una vita dove mi piaceva essere logico e razionale per gran parte del tempo, in una vita dove riservavo i colpi di testa nei weekend, quel pomeriggio avevo fatto la cosa più irragionevole con lei.
Quella maledetta ragazzina.
Con la sua presenza impossibile da ignorare e con le sue battutine pungenti che mi riempivano i pensieri, mi torturava da quasi un anno ormai: me la ritrovavo ovunque andassi -tanto che non capivo se si trattasse di stalking, o se il destino stesse cercando di suggerirmi qualcosa.
Avrei dovuto darci un taglio.
Avrei dovuto ignorarla quando ero con i miei amici e puntualmente sbucava fuori e io, invece di limitarmi a salutarla e tornarmene indietro, mi fermavo a farle compagnia e giocavo al suo gioco.
Avrei dovuto dirle di piantarla di guardarmi in un certo modo quando pensava che non me ne accorgessi, ma non potevo quando io per primo non riuscivo a seguire la mia stessa regola.
Non avrei dovuto permetterle di rispondere alla domanda di Alicya stasera, perché dopo averla lasciata a casa, durante il percorso di ritorno verso la mia, non avevo fatto altro che ripensare a quelle stesse parole, alla sua risposta data senza alcun tipo di vergogna o timore.
E non è che volessi pensarci volontariamente, non è che lo cercassi apposta quel ricordo, è che quelle parole non riuscivo proprio a dimenticarle, e questo era ben diverso.
Che io andassi a rivangare qualcosa era un conto, che un determinato pensiero mi ossessionasse di propria volontà, tutt'altro.
Perché ci stavo pensando così a lungo? Perché stavo pensando a lei che quelle cose non solo le diceva, ma le faceva anche?
Forse stavo dando troppo peso a questa cosa. Forse, semplicemente, ci pensavo tanto perché era la prima e l'unica cosa bella che mi capitava quel giorno.
Quel giorno che per me era l'anniversario di un episodio orribile successo un anno prima, quel giorno che per me era impossibile non ricordare viste le ripercussioni sul presente.
Visto che ogni minuto di ogni giorno, ogni maledetto minuto di ogni maledetto giorno, mi vedevo sbattuto in faccia quello che era successo.
Sono le undici e mezza passate quando entro in casa senza fare rumore, certo che i miei genitori stiano già dormendo.
Certo che Summer invece, non lo stia facendo.
Schiudo piano la porta della sua cameretta, e la lucina da notte che vuole rimanga sempre accesa mi permette di vedere i suoi occhi spalancarsi impauriti, posarsi su di me, e tranquillizzarsi subito dopo non appena mi riconosce.
<<Ehi piccola. Ancora sveglia, eh?>> le sussurro, avvicinandomi e sedendomi sul lettino accanto a lei. Le accarezzo un braccio, e lei mi stringe un dito nel suo pugno.
Vorrei poter dire che è solo un'insonnia passeggera da bambina la sua, ma la verità è che sono più le notti che resta sveglia -e io con lei- che quelle in cui dorme.
I suoi bellissimi occhi blu mi guardano un attimo, poi si spostano sulla montagna di libri posata sul comodino, e poi tornano su di me.
Capisco all'istante cosa mi sta chiedendo, e nonostante sia stanco morto e domani mi tocchi svegliarmi presto, non ho il cuore di dirle di no.
Come succede sempre d'altro canto.
Prendo il primo libro della pila -Le fiabe dei fratelli Grimm, il suo preferito-, mi sistemo Summer sul petto in modo che possa guardare le immagini, e dopo aver scelto una favola a caso, comincio a leggere per lei.
Lo faccio in automatico ormai, i miei occhi scorrono sulle pagine e la mia voce bisbiglia al suo orecchio, ma ogni altra parte di me è altrove.
Brutti ricordi che cercano di prendere il sopravvento, ricordi migliori che provano a inseguirli, placcarli, pugnalarli.
La mia testa cerca costantemente di tenere alla larga tutto quel buio che vuole risucchiarmi, e separare il bene che le voglio dal dolore che avverto avendola vicino.
Non riesco più a provare solo gioia quando le sto accanto. E la cosa mi provoca una rabbia inspiegabile.
Questa è una sera buona comunque, perché dopo mezz'ora la mia voce e le mie carezze fra i suoi capelli biondi, riescono a portarla nel mondo dei sogni.
E Dio sa quanto prego ogni giorno perché almeno quelli non le facciano del male, perché almeno lì dove non posso raggiungerla e proteggerla, gli incubi la lascino in pace.
<<Buonanotte tesoro>> le sussurro prima di alzarmi, anche se so che non può rispondermi.
E non solo perché dorme.
Ma perché Summer non parla.
Ormai da un anno, Summer non parla più.

Finché Respiro (Until I Breathe #1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora