Venti ~ La Avery di Mason

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Avery

Ultimamente, il mio concetto di svago e di relax, era strettamente legato alla mia quotidiana doccia calda.
Ops. Alt. Reset.
Avrei dovuto dire al sesso con Mark.
Be', anche a quello ovviamente.
Ad ogni modo, quando quel pomeriggio bussano alla porta di casa proprio mentre mi sto godendo il getto d'acqua calda sulla pelle e l'ultima canzone di Pink che sta passando alla radio, sono parecchio infastidita.
Mi precipito fuori dal bagno, mi infilo la prima tuta che trovo sulla sedia della camera da letto, e corro ad aprire.
Mi sarei aspettata di ritrovarmi davanti un vicino. O Jade che aveva dimenticato le chiavi. O il postino. O un'amica che mi aveva fatto un'improvvisata.
E invece.
E invece sulla soglia c'era Mason.
Mason con i suoi vestiti da diciottenne -troppo neri, troppo aderenti, troppa pelle sintetica- la sua barba sexy, i suoi capelli scompigliati e le sue maledette mani infilate nelle tasche.
Mason che si muove da un piede all'altro, nervoso, perché questo non è il suo mondo e di conseguenza non si sente a suo agio, si sente fuori posto.
La mia espressione deve essere a dir poco sconvolta -insomma, nemmeno da ragazzo si avventurava quasi mai fino a casa mia- mentre la sua invece, sta già mutando rapidamente da imbarazzata a ipnotizzata dalle curve del mio corpo.
Mason Davis mi sta sfacciatamente squadrando dalla testa ai piedi in un modo che per i miei gusti, andrebbe riservato alla camera da letto.
Mason Davis mi sta squadrando come se fosse un lupo affamato e io la sua invitante preda, e non se ne preoccupa nemmeno.
<<Che diavolo ci fai qui?>> lo attacco nervosa, sbirciando la strada deserta prima di stringere le dita sul suo giubbotto e tirarlo dentro.
Ma come diavolo gli viene in mente di piombare in casa mia senza preavviso?
Se ci fosse stato Mark, non sarebbe finita bene.
<<Non tirarmi dentro con tanto impeto, o finirò col pensare che ti sono mancato davvero un sacco>> scherza, abbagliandomi con un sorriso da schiaffi.
Lo incenerisco con gli occhi, e mi sforzo di sorvolare sulla maglietta che gli sta appiccicata al petto e alle spalle, facendogli risaltare tutti i muscoli.
Lo fai apposta a vestire così?
E come puoi ancora avere un fisico del genere?
Non che non sia abituata o che mi manchi un corpo possente da stringere e strapazzare visto che anche Mark è ben piazzato.
E allora, mi chiedo perché accidenti i suoi muscoli attirino così tanto la mia attenzione.
Suppongo che non sia il caso di chiedergli di rimettersi il giubbotto.
Mi toccherà soffrire in silenzio.
<<Tu... Tu non puoi venire qui!>> sbotto, prima di costringermi a inspirare, contare fino a dieci, e accorgermi che devo calmarmi.
Dai suoi lineamenti che si induriscono -e che mi suggeriscono che l'ho leggermente offeso- deduco di aver detto la cosa sbagliata.
<<Io non posso venire qui?>> ripete scettico. <<Questa città è anche mia. O forse, intendevi qui in questa casa?>>
<<Intendevo entrambe>> chiarisco, perché non ho certo paura ad ammettere la verità.
Almeno, non stavolta.
<<E il divieto in questo posto l'hai messo tu o qualcun altro?>> mi provoca.
<<Dove diavolo vuoi arrivare?>>
<<Questa è casa tua giusto? La Avery che conosco io, non avrebbe permesso a nessuno di decidere chi poteva mettere piede in casa sua. Né ad una città che parla troppo e punta il dito, né a quello che ti piace tanto definire il tuo uomo. Tra l'altro, io so per certo che a te non da veramente fastidio che io sia venuto a trovarti>>
Ah però.
Ok, sapevo che averlo qui avrebbe dovuto darmi noia, ma riconoscevo la realtà dei fatti, ossia che per qualche misteriosa ragione, la cosa non mi infastidiva come avrebbe dovuto.
Ma questo, lui non avrebbe dovuto saperlo.
Sapessi quanto ti sto detestando Mason Davis.
<<Prego, accomodati>> lo invito allora facendo del sarcasmo, e indicandogli il divano.
E lo stronzo mi fa un sorrisetto e si siede per davvero.
E non ci sta affatto male in questo salotto, e anche se non c'è una parte di lui che non stoni con le pareti beige e con l'arredamento moderno e con il lampadario di cristallo, io ce lo vedo comunque benissimo in mezzo a tutto questo.
Perché io adoro il contrasto.
Perché noi eravamo contrasto, noi creavamo il contrasto.
E per tanto tempo mi ero convinta che nessuna armonia avrebbe mai potuto superare quello.
Questa avrebbe potuto essere anche casa sua.
Casa nostra.
E invece lui era rimasto dove aveva scelto di crescere, e io questa casa avevo dovuto riempirla con qualcun altro.
E adesso questa casa era piena di armonia.
E io credevo che i miei gusti fossero cambiati.
E adesso riscopro la meraviglia di due opposti che convivono in uno stesso spazio, che se ne fregano se a qualcuno quelle differenze abissali fanno storcere il naso.
Avery, no.
Non farti del male con le tue stesse mani.
Improvvisamente, mi ricordo che ho un urgente bisogno di mettere in chiaro una certa questione.
<<Chiariamo una cosa>> esordisco, torreggiando su di lui e puntando gli occhi nei suoi.
E Dio se è difficile sostenere lo sguardo, perché ogni volta che le incontro quelle iridi, mi tornano addosso con la velocità e la potenza di un treno gli anni passati con lui.
Mi tornano addosso baci e parole.
Le discussioni e il fare pace.
Risate e lacrime.
Come ci siamo incontrati, come ci siamo lasciati.
<<Prego, spiegami pure>>
<<Non fare mai più il giochetto de "la Avery che conoscevo io" con me>>
<<Scusa, ma mi viene naturale vedere quanto sei cambiata>>
E adesso cos'è quella punta di tristezza nella sua voce?
Ho il sospetto che ciò che sono adesso non gli piaccia del tutto, e nonostante non dovrebbe importarmi affatto, be', è tutto il contrario.
<<Si chiama crescere sai? Crescendo, è inevitabile cambiare>> gli faccio notare piccata.
E mi sembra ancora così assurdo ritrovarmi con lui dopo tutto questo tempo, dopo tutto questo vuoto... prima eravamo solo dei ragazzini semi-spensierati, ora siamo due adulti che fanno i genitori. Ma tra quel "prima" e questo "ora", manca un gran bel pezzo della nostra vita.
E si tratta di pezzi di vita che non si sono mai nemmeno sfiorati.
<<Non per forza. E poi penso che sia tutta facciata. Penso che lì sotto -sotto tutta questa compostezza, sotto la donna in carriera, sotto la Avery dell'uomo che credi di voler sposare, sotto la Avery che gioca alla ragazza perbene- ci sia ancora quella stessa Avery che era semplicemente la Avery di Mason>>
La Avery di Mason.
L'aveva detto davvero?
La.Avery.Di.Mason.
Che gran faccia tosta.
E non potevo certo dire che fosse una novità. Al contrario di me, quest'uomo che ho davanti è la copia sputata del ragazzino che ho conosciuto da adolescente.
Vero, sincero, senza peli sulla lingua, senza maschere, senza muri.
Armato di testardaggine e amore.
Disarmato di tutto il resto.
Lo fai apposta a usare parole tanto forti, a colpire dove sai di affondarmi?
Ma dov'è che vuoi arrivare?
<<Non ti illudere Mason>> lo avverto.
E pian piano, la mia voce si riempie sempre di più sfumature.
Così come i suoi occhi, nonostante le mie parole, invece di spegnersi si accendono sempre di più, luccicano sempre di più.
<<Oh, ma io non solo mi voglio illudere eccome, voglio anche riportarla indietro quella ragazza. O riportarla in superficie>> sussurra convinto.
E quella convinzione, mi mette i brividi. O forse sono proprio le sue parole.
E io non ho paura, non provo fastidio.
Per un attimo, voglio che ci provi pure.
Ma non posso farglielo capire.
Non posso.
Non posso lasciare che abbia questo potere su di me, che arrivi qui e mi rivolti come se fossi un'adolescente incapace di mantenere una posizione.
Non posso lasciare che stravolga il mondo che mi sono costruita negli ultimi anni.
<<Non sono il tuo progetto da portare a termine Mason. Tu non devi voler fare proprio niente con me>> ribatto, fin troppo dura.
Ce l'ho con me stessa per come reagisco a lui, e allora è proprio con lui che me la prendo.
Ma Mason ci resta male.
E se Mason ci resta male, di conseguenza ci resto male pure io.
Ma questa cosa non dovrebbe esistere più fra noi, questo legame così potente doveva essere spezzato anni fa.
Lo temo, lo ammetto.
Lo temo e non lo accetto.
Non accetto che quest'uomo sia ancora così tanto importante per me.
E non lo accetto perché questo significherebbe fin troppe cose.
<<Scusa>> mi dice sincero.
Perché la sua certezza su ciò che ha detto prima vacilla, e crede alle mie parole.
Le mie parole che sono false come le borse di Michael Kors sulle bancarelle alle fiere.
<<Che sei venuto a fare qui?>>
Sembra che mi ricordi solo ora che deve esserci una ragione.
<<Evan mi ha raccontato cos'hai fatto per lui. L'hai accolto in casa. L'hai aiutato. Dovevo come minimo dirti grazie>>
Oh.
Ripenso ad Evan spaventato, gonfio di botte, ferito nel corpo e sicuramente anche nell'anima, e mi chiedo se Mason stia davvero bene come mi sembra.
Se avessi visto Jade in quelle condizioni, se fosse stata aggredita lei...
Conoscendo Mason, da un lato deve averci sofferto un casino, e dall'altro gli sarà venuta una furia omicida.
E magari se non avessi portato via Jade le sarebbe davvero successa una cosa del genere.
I miei pensieri si stanno proprio facendo un bel giretto sulle montagne russe.
Per finire, ripenso anche a mia figlia che mi confessa che in questo posto ci sta male, e io che volevo darle il meglio inizio a chiedermi se non ho fatto lo sbaglio peggiore per lei.
Perché in questa città è cresciuta al sicuro, è cresciuta avendo tutto e una vita normale.
Ma inizio a temere e a vedere che forse, non è di quel tutto e di una vita normale che ha bisogno.
E mi chiedo se non sia stato l'arrivo di Evan a farle capire che desidera altro per se stessa , o se non sarebbe successo comunque per il semplice fatto che nelle sue vene scorre e scorrerà sempre il sangue di suo padre.
<<Non devi ringraziarmi. L'avrei fatto per chiunque>>
Più o meno.
Mason inarca un sopracciglio, e mi conferma che ne dubita.
<<Ma l'hai fatto per lui>>
<<Evan è importante per Jade>>
<<Ed è mio figlio>>
<<E io non potevo sbattere la porta in faccia ad un ragazzino ferito>>
<<Ed è come se ci fossi stato io sulla tua porta>>
Perché non la smetteva di suggerire che l'avessi fatto soltanto perché era il figlio dell'uomo che avevo amato?
Un po' era vero, certo.
Ma non sarebbe servito a nulla farmelo ammettere.
<<Puoi piantarla per favore?>> sospiro, distogliendo lo sguardo.
<<Perché fai così? Sono io, sono passati un sacco di anni ma sono io>>
E con quell'uscita, mi confonde.
Mi disarma.
Sono passati un sacco di anni e vorrei dire che è cambiato tutto, ma sono abbastanza intelligente da capire che nell'aria ci sono sensazioni ed emozioni che condividiamo e proviamo entrambi.
Sono abbastanza intelligente da capire che lui sa come mi sento davvero, e sarebbe solo da stupidi negarlo.
Del resto, non ci siamo mica lasciati perché tra noi non funzionava più o perché avevamo smesso di amarci.
<<Cos'è che ti sta passando per la testa adesso?>> indaga ancora.
<<Non puoi neanche proteggerlo Mason. Tuo figlio. Te lo sei tenuto lì, nel tuo branco, e adesso lo odiano tutti anche se è un bravo ragazzo. E.nessuno.lo.protegge>> bisbiglio cambiando discorso.
E inevitabilmente va sempre a finire tutto lì, ogni mia parola ha bisogno di sottolineare come portando via Jade, volevo solo fare la cosa giusta e non ferire lui. Mai ferire lui.
Caspita, ci tengo proprio un sacco a sottolineare che non volevo fargli del male.
<<Lo proteggo io>> mi assicura.
<<Potrebbe non bastare>>
<<Non è bastato stavolta. Ma è bastato in sedici anni e basterà ancora per i prossimi>>
<<E chi protegge te?>>
Mi esce fuori così, senza passare dalla testa, dal filtro bocca-cervello, dalla ragione.
Mi esce dritto dritto dal cuore.
E lui non risponde ma mi regala un sorriso sincero e felice, vede che mi preoccupo per lui e la cosa gli fa immensamente piacere.
E io gli do pure corda, sono una stupida.
Scuoto la testa e guardo altrove.
<<Avery?>>
<<Mmh?>>
<<Hai detto che lo odiano tutti anche se è un bravo ragazzo. Ti sembra giusto questo?>>
Quella domanda resta sospesa lì, e io non ho neppure una risposta.
Dopo Jade ieri, oggi ci si mette anche lui con questi discorsi. E a me sembra che stiano complottando tutti contro di me con questa storia.
E poi vedo lo stesso tipo di pensiero di Jade nella testa di Mason, e poi vedo quanto sono uguali.
E l'ho sempre notato quanto Jade fosse diversa da me, ma ora non potevo più fingere di non accorgermi quanto non solo fosse diversa da me, ma anche uguale a suo padre.
Non c'era solo il suo sangue nelle vene di Jade, c'era proprio un pezzo di lui.
Un pezzo di Mason più grande di un pezzo di me.
E non era gelosia quella che provavo. Era la paura di averle tolto qualcosa di troppo importante.
Era la paura che un giorno, se ne rendesse conto e mi odiasse.
Dio, Dio, Dio. Le avevo tolto suo padre.
E solo ora sembravo rendermi conto della gravità di quella scelta.
<<Avery? Sei sbiancata, stai bene? Non voglio turbarti>>
<<Oh, ma ti prego! Tu non fai che turbarmi eccome invece>> esplodo.
Poi l'occhio mi cade sull'orologio appeso alla parete, e inizio ad andare nel panico anche per un'altra ragione.
Quando Mason si accorge della mia insistenza nel guardare le lancette che girano, intuisce tutto e si alza.
<<Me ne vado>>
Grazie al cielo.
Lo accompagno subito alla porta.
<<Hai paura di lui Avery?>>
Ancora?
Cos'è, la ciliegina sulla torta?
Oggi vuoi proprio esagerare eh?
Senza contare che tutti questi riferimenti a Mark non poteva proprio permetterseli visto che non lo conosceva affatto.
<<Non è la paura che credi tu stupido>>
<<Lo spero. Perché tu non devi temere niente e nessuno. Perché sai difenderti Avery Sloan, e io lo so. E dove non dovessi arrivare tu, ci penso io>>
Le sue confessioni significavano così tanto.
Ma non avrebbe mai dovuto farle, non era giusto, non era giusto piombare qui dopo tutto questo tempo e tentare di risvegliare certi sentimenti.
<<Ti ho detto che non ho paura di lui. Semmai, paura di ferirlo, di litigarci, di perderlo>>
Quella risposta, era senza dubbio dettata dalla rabbia.
E se volevo ferirlo ci ero riuscita, se volevo che almeno un pizzico cominciasse a odiarmi anche lui ci ero riuscita, se volevo che andasse via ci ero riuscita.
D'accordo, non era stato carino sbattergli in faccia che amavo un altro.
Detestavo averlo trattato in quella maniera, la mia uscita precipitosa mi si era ritorta contro.
Non avrei dovuto dire quelle parole.
Anche perché, non ero neppure più sicura che fossero vere.

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Finché Respiro (Until I Breathe #1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora