Mason
Mai come adesso sarei stato più d'accordo sul fatto che il mondo girasse al contrario.
Mi avevano messo dentro per un reato che non avevo commesso, e adesso che stavo uscendo, avevano pure il coraggio di guardarmi come se fossi un bastardo fortunato.
Ma le loro occhiate amareggiate e accusatorie non sarebbero bastate a farmi abbassare la testa, no.
La tenevo alta e guardavo dritto in faccia ognuno di loro, ognuno di quei poliziotti con l'aria di superiorità e una coscienza che non ero poi così sicuro fosse più pulita della mia.
Io sapevo di non aver fatto nulla.
Sapevo di poter essere in pace con me stesso.
E sapevo che molta di questa gente, forse non poteva dire lo stesso.
Perciò, non me ne importava davvero un cazzo di ciò che pensavano di me.
Ma non era comunque piacevole essere considerato un criminale quando non avevi mai fatto del male in vita tua.
Ad ogni modo, l'unica cosa su cui volevo concentrarmi adesso, era il fatto che stessi tornando a casa da Evan.
Quel bambino che chissà quando e chissà come si era trasformato in un ragazzo fatto e finito, e che dal momento in cui era nato, non c'era stato giorno che non avesse passato vicino a me.
Ora di colpo mi ero ritrovato a non vederlo per due settimane, e la cosa aveva aperto dentro di me ferite parecchio dolorose.
Ancora una manciata di ore e il mio cuore sarebbe morto davvero senza di lui.
Senza il suo braccio che mi si posava sulla spalla senza abbracciarmi mai davvero, perché credeva che gli uomini non lo facessero. Senza vedergli quei sorrisi spensierati e felici in volto, quando tornava a casa e aveva fatto qualcosa di interessante e aveva la testa fra le nuvole, e forse pensava che non me ne accorgessi. Senza i suoi guardi attenti e indagatori quando ero nervoso, e lui cercava di captare cosa ci fosse che non andava in me quel giorno.
Tutti i Lupi erano la mia famiglia, ma Evan era la mia vita.
Vivendo in simbiosi per tutti quegli anni, avevamo creato un legame che sapevo già non avrei avuto con nessun altro.
Però volevo ancora provare a crearlo con Jade.
E poi, ritrovare quello con una certa ragazza dagli occhi verdi.Quando finalmente si aprono le pesanti porte di ferro del carcere, sono la luce del sole e l'aria pulita le prime cose da cui mi lascio investire, e che resto a godermi ad occhi chiusi per qualche secondo.
Poi rialzo le palpebre, e vedo subito Thomas poggiato alla sua moto che mi aspetta.
Mi sorride, mi fa l'occhiolino, e inclina la testa verso il lato opposto della strada.
Seguendo il suo sguardo, alle mie spalle trovo Avery.
Quella Avery. La mia Avery.
Non mi sarei mai aspettato che venisse oggi.
Aveva sempre cercato di mantenere un certo contegno vicino a me, e perciò la cosa che più di tutto mi stupiva, era il fatto che stavolta il suo viso non cercasse di celare nulla.
Era preoccupata da morire, così tanto che era pallida e aveva le occhiaie. E non ci aveva provato nemmeno a coprire quelle imperfezioni su un viso altrimenti perfetto con del trucco.
Nonostante non volessi che si preoccupasse per me, nonostante gli avessi detto di stare tranquilla, avrei dovuto aspettarmelo quello sguardo un po' stanco e un po' perso.
Perché quando tieni a una persona, essere in pensiero per quella persona è inevitabile .
Ed Avery teneva ancora a me.
Ed era bello vedere fino a che punto ancora le importasse del sottoscritto.
Perché in quei solchi profondi sotto agli occhi e in quell'espressione a metà tra sofferente e sollevata, ci era inciso chiaramente la portata del sentimento che provava.
A noi non servivano le parole. Noi ce lo leggevamo addosso l'amore che provavamo.
Mi riscuoto da quei pensieri, vado a stringere Thomas in un abbraccio veloce, e poi mi incammino piano verso di lei, che se ne sta poggiata al cofano della macchina con le braccia conserte.
Sembrerebbe perfettamente padrona di se stessa, ma io lo noto che si tortura le dita e che si morde una guancia, e che le sue gambe non sono in grado di stare ferme per più di tre secondi di fila.
Le vado di fronte.
Le chiedo che ci faccia qui.
E i suoi occhi si fanno lucidi e le sue braccia mi tirano in un abbraccio.
E dopo quello che ho passato nelle ultime settimane, me lo prendo tutto quell'abbraccio, e la stringo a mia volta e affondo il viso nel suo collo e lascio che mi accarezzi la schiena.
E quante volte da ragazzi l'ho tenuta e avuta così, e quante volte soprattutto negli ultimi mesi ho pregato perché la riavessi con questa stessa intimità e sentimento.
E senza guardie a contare i secondi, e senza manette a impedirmi di mettere le mani dove volevo.
Giuro che questo contatto, per un momento mi fa girare la testa.
Mi inebria.
Diventa un po' come la mia oasi nel deserto.
<<Avery>> mormoro emozionato.
Non dice nulla, ma quell'abbraccio parla già molto di più.
Quando a malincuore mi allontano dalla sua stretta e mi volto a guardare Thomas, le dita di Avery mi stringono la maglietta richiamando all'istante la mia attenzione.
<<Vieni con me>> mi soffia sul viso.
Quelle parole sono un sogno.
Un desiderio che non ho mai smesso di esprimere e che adesso non mi importa più se ci sono voluti anni perché si avverasse.
E davvero non serve che me lo chieda ancora per farmi dire sì.
Non so che significhi per lei, ma per quanto mi riguarda non c'è niente che voglia di più che seguire questa donna.
Tranne forse, vedere Evan.
<<Voglio vedere mio figlio Avery>>
La sua mascella e le sue mani vengono attraversate da uno spasmo involontario.
<<Ti ci porto io>> mormora alla fine.
Non mi sembra molto convinta però.
<<Sei sicura?>>
<<Si>>
Le chiedo di aspettare un attimo, e vado a scusarmi con Thomas e a dirgli che tornerò presto.
E intanto mi domando cosa sia quello sguardo corrucciato ed evasivo.
<<Thomas? Tutto bene?>>
<<Ci sono delle cose che devi sapere>>
<<Puoi darmi qualche ora?>>
Annuisce, mi stringe una spalla, e mi lascia tornare da Avery che si è già infilata in auto.
Spero di sbagliarmi, ma ho l'impressione di sentirla già più distaccata di prima.
No, non distaccata: distante.
Mette in moto in silenzio, e io non la perdo di vista un attimo fingendo di guardare fuori ma controllandola con la coda dell'occhio. Quando gli scivola fuori una lacrima, capisco che non sta bene e le poso una mano sul ginocchio.
<<Che succede Avery? E ferma quest'auto, calmati prima di guidare>>
Fa subito come dico.
Che ti succede tesoro? Stai facendo preoccupare me adesso.
Cerco una spiegazione e mi dico che potrebbe essere lo stress degli ultimi giorni, perché ricordo che anche da ragazza quando faticava a reggerlo a un certo punto scoppiava in lacrime di punto in bianco.
<<Non ti meriti quello che hai dovuto passare>> bisbiglia con la voce rotta.
<<Va tutto bene. L'ho superato>>
<<Non è giusto comunque. Non erano giusti i lividi e gli schiaffi a sedici anni, non è stato giusto che tu abbia perso me e una figlia, non era giusto che andassi in prigione per nulla. Questa vita ti butta fango addosso di continuo, e tu cammini sempre a testa alta, e tu resti sempre così forte e perfetto. E poi, io che ci provo a fare la forte quando non ho sofferto neanche la metà delle cose che hai sofferto tu, non ne faccio una giusta>>
Quei pensieri erano le ultime cose che mi aspettavo.
<<È questo quello che vedi di te stessa? Perché di certo non è quello che vedo io, e sono abbastanza sicuro che tu stia solo avendo un crollo. Avery! Avevi solo diciassette anni quando hai messo da parte te stessa per dedicarti completamente a Jade, l'hai cresciuta così bene, così forte. E poi sei tornata a scuola, ti sei laureata, e adesso hai un lavoro e uno stipendio stabile... è una gran bella vita quella che ti sei costruita, ok? Non c'entra niente quello che ho passato io>>
<<Forse. Ma mi rendo conto che non lo sopporto, esattamente come non lo sopportavo vent'anni fa>>
I suoi occhi mi stanno dicendo qualcosa che a parole non ha ancora il coraggio di dire.
Significa che posso osare di più anche io?
Mi fermerà nel caso.
Le prendo il viso fra le mani, e mi avvicino fino a posare la fronte sulla sua.
Scossa allo stomaco, brivido lungo la schiena, pelle d'oca sulle braccia.
<<Sai che significa questo? Sai cos'è questa cosa che provi?>>
<<Lo so. Lo so Mason>> sospira, mentre le sue mani corrono a circondarmi i polsi, ma non per allontanarmi, ma per accarezzarli.
Le tue carezze sono sempre la cosa più dolce che possa entrare nel mio mondo ruvido e buio.
Se solo capissi davvero quanto ne ho bisogno.
Non me le avresti negate per tutto questo tempo.
<<Te la senti di ripartire?>>
Annuisce, e mi porta a casa sua.
Le tremano le mani mentre apre la serratura.
E nella mia testa suona un momentaneo campanello di allarme che ignoro per porle una domanda.
<<Evan è qui da te? Con Jade?>> chiedo speranzoso.
Non mi risponde.
Cammina verso il salotto e mi chiede se voglio riposare, se voglio dell'acqua, se mi serve il bagno.
E allora quel campanello d'allarme suona più forte.
Cammina per le stanze e io la seguo, la chiamo, ma non si ferma né si gira a guardarmi negli occhi.
Qualcosa non va.
Le blocco un braccio, e la faccio voltare.
<<Avery? Ti ho fatto una domanda. Evan>>
Mi rivolge una sguardo che non riesco a decifrare. Neppure quello promette nulla di buono però.
Con gesti metodici, si sfila il giubbotto dalle spalle, lo lascia cadere su una sedia, si sfila l'elastico dal polso e si fa una coda svelta, e infine sospira, mi spinge a sedere sul divano e annuisce.
<<Non ti hanno detto come mai ti hanno rilasciato vero?>>
<<No... No>>
E adesso mi sento uno stupido per non essermelo chiesto. In tutto quel caos mi è davvero passato di mente.
<<Perché hanno capito che non ho fatto nulla immagino, perché hanno trovato il vero colpevole>> vado a tentoni.
<<Hanno preso qualcun altro ma dubito che sia il vero colpevole>> replica, la voce ridotta a poco più che un sussurro.
E all'improvviso, lo so.
Senza che lo dica, io lo sento dentro quello che c'è nella sua testa, quello che è accaduto.
<<Dillo>> le intimo.
<<Hanno preso Evan. L'anello... hai detto che era tuo ma è di una misura troppo piccola, e allora la polizia è andata a parlare con lui, ed Evan ha ammesso che era suo. Lo hanno portato in un carcere minorile. Mason, mi dispiace tantissimo, avrei voluto poter fare qualcosa. Ma lo tireremo fuori di lì, tireremo fuori anche lui e...>>
Avery continua a parlare, continua a sforzarsi di far uscire parole che dovrebbero rassicurarmi, ma la sua voce diventa una sorta di ronzio indistinto alle mie orecchie.
Non la sento più, non le bado più.
La mia attenzione si è ridotta alla sensazione di soffocare che mi prende alla gola, alla sensazione di essere stato risucchiato da un mare in tempesta ed essere stato trascinato giù nel buio del fondale marino.
Non c'è di nuovo luce, non c'è ossigeno, non c'è vita.
Non finché la paura e il panico non sfumano in qualcos'altro. E allora è un nuovo sentimento che inizia a impadronirsi di me.
La rabbia.
Una rabbia mai provata prima, una rabbia oscura, una rabbia che mi fa perdere il controllo non solo delle mie emozioni ma anche del mio stesso corpo.
Balzo su dal divano, e non riesco a impedire alle mie gambe di prendere a calci la poltrona lì accanto, non riesco a impedire alle mie mani di precipitarsi sul tavolino al centro della stanza e spingere a terra tutto il suo contenuto, non riesco a impedire alle mie braccia di rovesciare pure quel dannato tavolino.
Quando non mi resta più niente da distruggere, le mie dita finiscono tra i capelli e cominciano a tirare e torturare quelli.
Torno in me solo quando in tutto quel caos, incontro le iridi spaventate e piene di lacrime di Avery.
Mio Dio.
Cristo.
Cosa devo sembrare ai suoi occhi in questo momento?
Che casino ho combinato in casa sua, la casa in cui mi ha accolto?
<<Dio, mi dispiace. Oddio, guarda cosa ho fatto, guarda cosa...>>
Lei mi prende tra le braccia e mi dice che non importa, che mi capisce.
Mi toglie le mani dai capelli e mi impedisce di fare del male a me stesso.
Io le distruggo casa, e lei mi salva.
Io le mostro la versione peggiore di me, e lei invece di scappare via mi viene addosso.
Tutto questo amore ha il potere di ridurmi a un cucciolo innocuo adesso.
Lascio ricadere le braccia lungo i fianchi, e mi permetto di piangere.
<<Guarda cosa ho fatto...>> riprendo a bisbigliare.
<<Non importa. Sono solo oggetti, non è niente. Lo so. Lo so, ok? Siamo genitori entrambi e lo so. Fa male come nient'altro ha mai fatto male così. Ma tu respira, tu continua a respirare lo stesso Mason>>
<<Lo dobbiamo tirare fuori, dobbiamo...>>
<<E lo faremo!>> mi conferma mentre mi asciuga le lacrime, sebbene sono certo neppure lei abbia idea di come mai potremmo riuscirci.
<<Devo tornare a casa mia. Devo parlare con gli altri....>>
<<Resta un altro po'. Devi calmarti prima. Non puoi fare niente ormai stasera, hai bisogno di riposare, hai...>>
<<Vieni con me>> le chiedo di getto.
<<Io.. non lo so. È presto>> tentenna, pregandomi di capirla.
Non insisto oltre, e lei mi manda in bagno per sciacquarmi il viso.
Una volta lì, mi prendo cinque minuti per guardarmi allo specchio.
Basta vedere i miei occhi rossi per capire che dentro sono un disastro.
E le parole di Avery, anche se so che oggi non le ripeterebbe mai, mi rimbombano per la testa. Quando diceva che per via di ciò che ho scelto di essere, non posso neanche proteggerlo...
È vero, adesso non ci sono riuscito.
Ho fallito.
E il padre è l'unica cosa buona che credevo di aver fatto negli ultimi anni, e ora mi ritrovo con questo che cancella tutto.Mi riscuoto solo quando sento delle voci al piano di sotto.
Delle urla, per la precisione.
Torno da Avery, e la trovo con un uomo che so benissimo chi è.
<<Avery! Non so che diavolo ti sia preso, ma sei una stupida se credi che ti lascerò chiudere questo rapporto...>>
<<Io le toglierei quella mano dal braccio. E abbasserei la voce>> ringhio, palesandomi e avanzando verso di loro.
Il viso di Mark sbianca.
<<Adesso!>> tuono.
Poi circondo con un braccio la vita di Avery, e me la tiro addosso.
Eh si, a modo mio marco il territorio come un dannato cane.
E il modo in cui lei si lascia salvare, il modo in cui mi si spalma addosso, mi da il primo soffio di vita di quel giorno.
<<Non ci credo. Ti sei rimessa con quel delinquente?>> ricomincia a sbraitare il suo ex. <<Con questa nullità, con questo perdente, con questo...>>
Avery avanza e gli molla uno schiaffo.
Che ci stupisce tutti.
Anche se stessa.
Poi indietreggia, riprende la mia mano, e mi prega di portarla via.
Afferro le chiavi della sua auto dal divano, e la conduco fuori sotto lo sguardo attonito di Mark.
<<Avery, non so dove altro portarti se non...>>
<<Portami a casa con te. Jade è già lì, portami a casa con te Mason>>
In mezzo al casino che ho per la testa, non posso fare a meno di pensare che sono diciassette anni che aspetto di sentire queste parole.
Mi domando perché appena ottengo qualcosa, devo sempre perderne un'altra di troppo importante.
Mi chiedo se sono destinato a non sapere cosa voglia dire sentirsi interi. Integri. Felici.
Felici a trecentosessanta gradi.
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Finché Respiro (Until I Breathe #1)
ChickLit#1 La Storia Di Jade e Jude "Se fossi una favola, saresti Alice nel Paese delle Meraviglie. Hai la follia del Cappellaio Matto e il sorriso dello Stregatto." * * * Era iniziato tutto come un gioco fra Jade e Jude. L...