Jude
Ormai alle mie sessioni d'allenamento e di lotta in palestra, si erano regolarmente aggiunte anche le sedute dallo psicologo gentilmente offerte da Krystian.
Stamattina, dopo quasi due ore di lezione, mi ha costretto a farmi una doccia, cambiarmi e andare a bere qualcosa al bar con lui.
Ha affidato un suo allievo ad un altro allenatore per me, per accertarsi che una volta fuori dalla sua palestra, non crollassi mentalmente.
Il problema era che la mia faccia parlava sempre troppo.
E un altro problema, era anche il fatto che questo sport non mi aiutasse più come prima.
La sensazione di estraniamento dal mondo, durava giusto un paio di secondi dopo che ero sceso dalla pedana.
Poi tutto mi ripiombava addosso con la stessa intensità di prima.
Ad ogni modo, parlare senza filtri con Krystian mi aveva fatto bene.
Anche solo per quei dieci minuti, mi ero sentito come se stessi affidando le mie paure e il mio dolore alle mani di un altro uomo. Mi ero sentito meno solo, e avevo sperato che lui sapesse offrirmi la soluzione.
Restava ancora l'uomo più saggio che avessi mai conosciuto, Krystian.
Ma, quando voleva, anche quello più enigmatico.
Invece di darmi dei consigli in una lingua comprensibile anche per il sottoscritto, se ne era uscito con delle frasi contorte da cui io avrei dovuto estrapolare il significato.
Significato che avrei dovuto carpire da dentro me stesso.
Ci avevo rimuginato su per tutto il tragitto di ritorno a casa, e alla fine, ero arrivato ad un paio di conclusioni.
Per quanto riguardava Jade, dovevo decidere se dare più importanza al nostro amore, o alla sua discendenza.
Il punto era che non riuscivo a decidere. Non ci riuscivo e basta.
Per quanto riguardava me stesso, avrei dovuto darci un taglio con i sensi di colpa, col tentare di riparare ciò che non si poteva più aggiustare, e provare ad andare avanti o ricominciare.
Non riuscivo a fare neanche quello.
C'erano come delle dita invisibili che mi ancoravano al passato, ai sensi di colpa, alla rabbia, all'incapacità di passare oltre e perdonare.
Dita invisibili? No, Jude.
Sono dita maledettamente reali. Anche se non ti stanno fisicamente aggrappate addosso ventiquattro ore su ventiquattro, sono reali.
E ovviamente, appartengono a tua figlia.~🐺~🐺~🐺~
Quando torno a casa, è da poco passata l'ora del pranzo. Trovo mia madre in cucina che lava i piatti, e Summer che colora un album sul tavolo.
Poso un bacio sulla testa di entrambe, e tiro fuori dal frigo un tramezzino al prosciutto.
<<Jude, abbassa il volume alla tv, ho delle novità per te>>
Faccio come dice, mentre mamma asciuga l'ultimo bicchiere e viene a sedersi accanto a noi.
Ha un'espressione felice in volto, che le vedo di rado.
Che nell'ultimo anno e mezzo le ho visto in volto di rado, mi correggo.
<<Allora! Stamattina io e Summer siamo andate a iscriverci a scuola, vero amore?>> esordisce, mettendo su una voce forzatamente allegra.
Guardo subito Summer che punta gli occhi nei miei, che prova a sollevare le labbra in un sorriso senza riuscirci, e che mi guarda tanto intensamente che lo capisco subito che mi sta chiedendo aiuto.
Non ci vuole andare.
Ha ancora la stessa paura del mondo di diciotto mesi fa.
Mentre mia madre continua a parlare, io prendo la mano della mia bambina e provo a farle capire che andrà tutto bene.
Solo che, è difficile rassicurarla su una cosa del genere quando non ci credo io per primo.
<<... e abbiamo conosciuto la maestra della sua classe, sembra tanto carina, vero tesoro? Comincerà a Settembre, e poi...>>
Non guardarmi così Summer.
Non guardarmi con quegli occhi persi, che mi fai venire voglia di rapirti e portarti via da questa città.
Se avessi i soldi, forse lo avrei già fatto.
Io e te da soli, magari in un'isola calda e sperduta, un'isola dove tutti gli abitanti siano gentili.
Se potessi, lo farei. Se avessi la certezza di farti del bene così, lo farei, anche se adesso solo Dio sa quanto mi costerebbe.
Perché in questa dannata città ci lascerei un pezzo di cuore.
Un pezzo di anima, un pezzo di me.
Ma comincio a sospettare che essere estremamente protettivo nei tuoi confronti, non sia un gesto gentile.
Solo un gesto egoista piuttosto.
<<Jude? Mi ascolti?>>
<<Sì mamma, ho capito>>
Poi mi rivolgo a Summer, e me la tiro sulle gambe.
Sta tremando.
<<Sono tanto orgoglioso di te piccola. Anzi, tantissimo. Andrà bene. Starai bene. Tutte le esperienze nuove fanno paura, ma senza rischiare non si trovano le cose belle, giusto? E se avrai bisogno di qualcosa, sai che ti aiuterò sempre. E se non dovesse andare bene, troveremo un'altra soluzione. Tu devi solo provarci>> la tranquillizzo, posandole un bacio sulla testa e aspettando che annuisca.
Lo fa, e allora la lascio tornare sulla sua sedia e ai suoi colori.
Percepisco che mamma non è tanto contenta dell'ultima frase, ma penso che sia altrettanto importante per Summer sapere che avrà sempre una via d'uscita se mai la situazione dovesse rivelarsi troppo pesante.
Penso che sia importante per lei sapere che non sarà mai più in trappola.
<<Jude, c'è un'altra cosa. Che riguarda me>>
Inarco un sopracciglio, e la lascio continuare.
<<Visto che Summer torna a scuola, sono andata a parlare con l'agenzia dove lavoravo. E, be', sono disposti a riprendermi con loro. Ricomincerò a lavorare Jude!>>
È talmente felice, che non posso far altro che mettere da parte almeno per un momento le paranoie, e abbracciarla.
Ha rinunciato a gran parte della sua vita lavorativa e sociale per una bambina che non aveva neppure scelto di avere.
Si merita di tornare in carreggiata.
<<Il capo mi ha...>>
Qualsiasi informazione stesse aggiungendo, viene troncata sul nascere dall'urlo agghiacciante che si sprigiona nella cucina.
Summer.
Sia io che mia madre ci paralizziamo per un momento sul posto, presi alla sprovvista dalla reazione inaspettata di Summer, che adesso sta fissando la televisione con gli occhi spalancati e spaventati, e il colorito all'improvviso cadaverico.
Ci alziamo di scatto, ed entrambi proviamo a prenderla in braccio mentre lei ancora fissa l'uomo alla tv tremando in modo incontrollato.
L'uomo alla tv.
Lo conosco.
Torno alla mia bambina non appena le sue piccole unghie mi si conficcano nella pelle.
<<Summer? Summer, è lui? Chi è quell'uomo, eh? Ti ha fatto del male vero?>>
Provo a scuoterla, la riempio di domande, aspetto delle risposte che non arrivano.
Lei è come finita in trance, e non vede né sente altro che il servizio alla televisione.
Quando la spengo, i suoi occhi si posano per un istante nei miei prima che il suo corpo abbandoni la postura rigida, e crolli tra le braccia di mia madre.
È svenuta.
<<Oddio Jude! Chiama un medico, la porto a letto>> mi ordina lei, più agitata di me.
Il mio cuore, il mio cuore che corre come una macchina che ha imboccato l'autostrada.
Chiamo subito il medico di famiglia, lo prego di venire al più presto, e poi vado nella stanza di Summer dove la trovo ancora svenuta con mamma che piange in silenzio e le accarezza i capelli.
<<Jude? Secondo te... quell'uomo...l'ha rapita lui? Ma sembrava un poliziotto, com'è possibile... cosa...>>
Fermo il suo farfugliare incontrollato posandole una mano sulla spalla.
<<Non lo so>>
Non lo so, però lo sento.
O sono pazzo, o giuro che adesso lo sento.
Se solo mi avessi lasciato qualche indizio, piccola mia.
Comincio a guardarmi in giro per la stanza, e poi prendo a frugare nei cassetti del suo armadio e del comodino.
<<Cosa... cosa stai facendo?>>
<<Cerco qualcosa. E non chiedermi cosa, perché non ne ho idea>>
Se qualcuno mi vedesse in questo preciso istante, probabilmente mi darebbe un sedativo per calmarmi.
Potrei davvero essere uscito fuori di testa.
Sto gettando roba per terra mentre frugo in mezzo ai vestiti e ai giochi, e controllando ogni angolo possibile della stanza.
Mi guardo intorno come se potessero comparire dal nulla tutte le risposte che cerco.
Poi osservo ancora Summer, il letto, e ricordo.
Ricordo la sua abitudine di nascondere i disegni lì sotto.
Senza agitarla troppo, infilo le mani sotto al materasso e incontro decine di fogli.
Li esco tutti, sotto lo sguardo attonito di mia madre, e li sparpaglio per terra.
Alcuni ritraggono la nostra famiglia, ma molti, hanno come soggetto un'unica persona.
Un omino stilizzato, con una massa di capelli neri.
Sono tutti uguali, e la semplicità del corpo e dell'ovale che rappresenta la faccia, contrasta da morire con il colore marcato e ripassato più volte dei capelli.
L'uomo del disegno è al novantanove percento l'uomo che le ha fatto del male.
E, facciamo al novanta percento, l'uomo che ha visto in tv.
Tutta la rabbia di anni, si concentra sul mio corpo.
Sulle mie mani che vogliono colpire, e sulle mie gambe che vogliono scattare.
Se sei stato davvero tu, questo giorno sta per diventare il peggiore della tua vita, bastardo.
E, fossi in te, pregherei di sopravvivergli.
STAI LEGGENDO
Finché Respiro (Until I Breathe #1)
ChickLit#1 La Storia Di Jade e Jude "Se fossi una favola, saresti Alice nel Paese delle Meraviglie. Hai la follia del Cappellaio Matto e il sorriso dello Stregatto." * * * Era iniziato tutto come un gioco fra Jade e Jude. L...