Trentaquattro ~ E Tu? Tu Cosa Provi Avery?

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Avery

"E invece credo di amarti ancora così tanto Avery"
Mason Davis credeva di amarmi.
Io invece, sapevo per certo che era proprio così, che dopo diciassette anni quell'uomo mi amava ancora.
Se non avesse mai smesso o se avesse ricominciato quando ero improvvisamente piombata nella sua vita, quello non lo sapevo.
Avrei optato per la prima però.
E tu? Tu cosa provi Avery?
Avrei dovuto prendermi un attimo per riflettere e analizzare a fondo i miei comportamenti, i miei sentimenti, le mie sensazioni, ma per quello non ero pronta.
C'erano già troppi casini che affollavano la mia testa al momento, e l'unica cosa che non potevo più rimandare, era una certa chiacchierata con Mark.
Stare così con lui non era giusto, per nessuno di noi.
E io non avevo più certezze su cosa provassi per quell'uomo, non ne avevo abbastanza per restargli accanto.
Sapevo soltanto che c'erano stati giorni in cui mi emozionavo come una ragazzina alla sola idea di vederlo, all'idea di un uomo che finalmente mi facesse stare bene.
E poi c'erano stati giorni in cui fremevo nel pensare che dopo una lunga giornata di lavoro, la sera mi sarei rotolata sotto alle lenzuola con lui. E poi c'era stato il giorno in cui mi aveva chiesto di sposarlo, e io per poco non ero scoppiata in lacrime perché per tanto tempo avevo temuto che quel momento per me non sarebbe arrivato mai.
Mark aveva riempito una parte importante di pensieri ed emozioni che andavano riempiti da un uomo.
Ma ad un certo punto, cos'era successo?
Di tutto quello, cos'era rimasto?
Ad un certo punto, a quelli si era sostituita l'adrenalina per rivedere Mason, la preoccupazione di Mason in prigione, i ricordi di una me più giovane e più felice di quanto -nonostante la vita che mi ero costruita- fossi mai stata.
Mason Mason Mason.
Mason ovunque cazzo.
Nell'aria che respiravo di giorno, nei sogni che prendevano il sopravvento la notte.
Tra le braccia di Mark, tra le braccia di Morfeo.
Mi serviva una pausa da Mark.
E forse mi sarebbe anche servita una pausa dal padre di mia figlia, del tempo per me stessa, ma vista la situazione in cui Mason si trovava, allontanarmi da lui adesso era proprio impensabile.
E poi, ne avevo avuti di anni di pausa da quell'uomo.
E mi ero persa così tanto.
Così tanto che ogni volta che apriva bocca, oltre che ascoltare le sue parole mi sforzavo di captare indizi del nuovo Mason.
Forse era per questo che adesso ogni nostro incontro era così intenso da destabilizzarmi, così intenso da risucchiami tutte le energie e lasciarmi accasciata su una sedia.
Ad ogni modo, dovrei decisamente ragionare sulle parole da riferire a Mark, ma accidenti, l'immagine di un Mason rassegnato non ne vuole sapere di abbandonare la mia testa.
E io un po' lo odio per questo, per aver permesso a chiunque lo abbia incastrato di ridurlo così, per aver quasi perso le speranze.
Se non si aiutava lui per primo, io da sola non avrei saputo cosa fare.
Ma d'altra parte, non potevo neppure biasimarlo: non avevo idea di che razza di vita si vivesse dietro quelle sbarre, non avevo idea di come poteva essere vedere la propria esistenza ridotta ad una cella e lontano da casa tua. E sopratutto lontana da tuo figlio.
Se ci fossi stata rinchiusa io in quella prigione e avessi Jade là fuori e la sapessi senza nessuno a prendersene cura, ne morirei.
E considerato che io facevo quel pensiero in via ipotetica, non osavo immaginare come stesse Mason.
Mi ero sempre ritenuta una persona empatica, in ospedale ne vedevo di persone soffrire, ne sentivo di stragi raccontate dai pazienti finiti sotto le macchine o sotto una pioggia di pugni, e ogni volta ci mancava poco che scoppiassi a piangere lì con genitori e figli distrutti mentre li medicavo.
Ma quel tipo di empatia che provavo ora, era troppo forte perfino per me, e non sapevo se fosse perché riuscivo a mettermi nei panni di Mason più di quanto avessi mai saputo fare con gli altri, o per quello che mi legava a lui.
Che non era solo Jade.
Che erano ricordi di una me adolescente che aveva vissuto la vita appieno grazie a lui, ricordi che ancora oggi mi facevano sorridere se facevo un salto indietro nel tempo.
Che erano fantasie che non riuscivo a impedire a me stessa di avere, erano i sogni che facevo la notte.
Che era questo fuoco che aveva bruciato un sacco di anni fa -un fuoco di cui oggi non sarebbero dovute restarne neanche le ceneri- e che invece si era riacceso come se la fiamma non si fosse mai spenta.
Era come se fossero passati minuti, non anni.
Mason aveva sfidato le leggi del tempo, e aveva vinto. Contro ogni logica. Contro ogni mia resistenza. Contro tutto quello e tutti quelli che ci volevano lontani.

Finché Respiro (Until I Breathe #1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora