Trentacinque ~ Dalla Parte Giusta

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Jade

Sembrava passata una vita.
Una vita da quando per la prima volta avevo percorso queste stesse strade sterrate su questa stessa moto, aggrappata ad Evan, terrorizzata e con il cuore a mille.
Una vita da quando quel viaggio mi aveva portata da casa mia a casa loro. Da mio padre.
Oggi -sebbene per ragioni diverse- provo ancora paura, ansia, e il mio cuore corre di nuovo una maratona tutta sua. Ma stavolta sto per incontrare altra gente, gente che Evan definiva "un pezzo di famiglia".
Stavolta, sto per addentrarmi di mia spontanea volontà in quello che sarà un piano folle per salvare mio padre, e so che da questo non potrò più tirarmi fuori.
E speravo, speravo di sapere davvero ciò che stavo facendo, speravo che ne avrei saputo di più fra un ora, speravo di non sentirmi fuori luogo in mezzo a quella strana famiglia allargata, speravo che insieme magari l'avremmo trovata sul serio una soluzione.
Per quanto poco ci credessi.
Che mai potevamo fare noi?
Era anche vero però che finché non c'era il processo e finché non c'era la condanna, tutto era ancora possibile.
Ed era proprio questo tempo che dovevamo sfruttare.
Scuoto la testa nel tentativo di liberare la mente dalla paranoia anche solo per un attimo, e mi soffermo ancora una volta a osservare il paesaggio cambiare drasticamente.
Ma questa trasformazione mi fa meno impressione adesso, perché sono sempre più sicura che la bellezza del mio quartiere sia come una maschera.
Come spruzzare troppo profumo sulla puzza di marcio.
E allora meglio questi edifici bui, tristi e decadenti, meglio tutto questo verde e questo grigio, meglio tutta questa povertà.
Meglio essere accolti dalle braccia tatuate dei Lupi che protetti dal cuore cattivo di Charleston.
Ci sono almeno venti minuti di strada fra casa mia e casa sua, eppure il tragitto sembra sempre durare una manciata di secondi.
Evan ferma la moto davanti al loro locale, e io mi guardo intorno nonostante in giro non ci sia nessuno.
<<Sono già tutti dentro>> mi informa, prendendomi per mano e scrutandomi attentamente.
<<Tutti? Tutti chi? Tutti i Lupi?>>
La domanda mi esce con una voce stridula. Evan trattiene un sorriso, mi prende anche l'altra mano e mi posa un bacio sulla testa per tranquillizzarmi.
<<Be', non proprio tutti tutti ovviamente. Quelli più vicini a papà. Quelli più stanchi dell'ipocrisia di Charleston>> mi spiega, aspettando che io gli dia il permesso di trascinarmi dentro.
Annuisco, ma la verità è che al momento fatico persino a respirare.
<<Non ti mangeranno Jade>> scherza, accarezzandomi la schiena.
<<Bella battuta>> sbuffo, incenerendolo con lo sguardo.
Mi sforzo di apparire forte, ma in realtà non lo sono per nulla.
E non so perché questa cosa mi terrorizzi tanto, ma so per certo che non è paura che mi facciano del male.
Forse di non piacergli, di trovarmeli tutti davanti, di non sapere come comportarmi.
Forse è perché non so cosa aspettarmi.
Le braccia di Evan mi avvolgono.
Nei miei confronti sprigiona un amore e una premura che non ti aspetteresti mai da qualcuno cresciuto tra i boschi e in mezzo a tutti questi uomini.
E invece è proprio il fratello migliore che potessi immaginare, e ha imparato a esserlo in poco più di un anno.
<<Loro non vogliono certo farti del male, ma in ogni caso sai che non lo permetterei. Non succederà nulla di brutto là dentro, anzi, probabilmente ti sentirai a casa per la prima volta in vita tua. Devi solo superare quella porta. Per papà, Jade>>
<<Per papà>> sussurro di rimando, prima di stringere la sua mano e comunicargli con gli occhi che può portarmi dentro.
Mi concentro sul contare i passi, sento la porta aprirsi, vengo avvolta dal calore del locale e da un leggero chiacchiericcio, e allora smetto di guardare per terra e alzo la testa.
Perché la prima cosa che voglio che vedano, non è certo una bambina impaurita.
E stranamente quando vedo i loro volti, quando incontro tutti i loro sguardi passandoli in rassegna e ricambiandoli uno per uno, la paura sparisce davvero.
E quegli occhi non mi giudicano, sono solo curiosi ma anche combattivi.
Carichi come una pistola appena comprata che non vede l'ora di essere usata.
Questi uomini vogliono giustizia, proprio come me.
Ce ne saranno una trentina, seduta ad un tavolo scorgo anche una ragazza un po' più grande di me, che mentre si sposta le ciocche blu dietro le orecchie mi rivolge un sorriso. Lo ricambio.
E mi accorgo che non mi intimoriscono.
Ed Evan aveva ragione, un po' mi ci sento davvero in famiglia.
Ma non è casa senza mia madre.
Continua ad esserci un pezzo di me a cui manca qualcosa, ma stavolta è l'altro pezzo, quello a cui è sempre mancata questa di casa.
Non sono solo un Lupo, sono un Ibrido. Sono frutto di mia madre che non appartiene a questo posto, ma nelle vene mi scorre indubbiamente anche il loro sangue.
Sarà molto più difficile gestire questa realtà adesso.
Nel locale c'è improvvisamente così tanto silenzio, che inizia a pesare.
Poi un uomo mi si avvicina, e mi porge la mano.
Lo riconosco.
La stringo.
<<Io sono Thomas. Ti abbraccerei se non temessi di spaventarti. Sono diciassette anni che aspetto di averti qui. Sono il migliore amico di Mason. Sono suo padre, sono suo fratello. Sono l'uomo su cui ha sempre potuto contare, l'uomo su cui ha sempre potuto contare anche Evan. E questo adesso vale anche per te. Qualsiasi cosa ti serva, ora che non può dartela tuo padre, chiedila a me>> conclude risoluto.
E pensava di terrorizzarmi con un abbraccio? Le sue parole lo fanno molto di più.
E io sento subito un legame con quest'uomo, è assurdo.
Mi limito ad annuire perché non trovo le parole.
Poi lui mi affianca, e si rivolge agli altri uomini che continuano ad avere gli occhi puntati su di noi.
<<Chiunque fosse abbastanza vicino a Mason, sapeva di Jade. Non succede quasi mai che un figlio che ci viene portato via, in qualche modo ci venga poi restituito. Ed è incredibile, ma oggi è successo. Questa ragazza è tornata a conoscere la sua famiglia. Le hanno tolto suo padre, e adesso noi l'aiuteremo a riprenderselo. Vogliamo tutti riportare a casa nostro fratello, e vogliamo smetterla di essere succubi di questa città. Non siamo il nemico. Ma combatteremo se ci tratteranno come tale>>
Quel discorso mi fa venire la pelle d'oca. E mi da forza.
Intanto che Thomas si allontana per prendere da bere al bancone, un po' di ragazzi vengono a presentarsi: mi dicono che sono a mia disposizione, che mi aiuteranno ad avere giustizia, che non sono sola.
E io mi sento una sorta di capobranco e non ci capisco nulla.
Sono confusa, ma mi sforzo di non mostrarlo.
Evan resta sempre al mio fianco, mi fa sentire la sua presenza e mi chiede silenziosamente come sto.
Io abbozzo un sorriso, poi gli chiedo che succederà adesso, e lui mi informa che inizieremo a pensare a qualcosa per aiutare papà.
E quando le birre cominciano a passare di mano in mano, quando tutti ci sediamo vicini, io mi guardo intorno e mi accorgo che tutta la paura che mi portavo addosso fino a dieci minuti prima è già svanita. Sto sempre meglio. Mi sento parte di qualcosa.
Mi sento dalla parte giusta.
Dalla parte di chi, quando ha paura, sceglie di lottare per sottrarsi a questa condizione che non merita.
E non dalla parte di chi, quando ha paura, preferisce fare la vittima e puntare il dito.

Finché Respiro (Until I Breathe #1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora